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  • Martedì 16 dicembre 2025

Sulla cannabis light si va avanti a ricorsi e sentenze

I divieti imposti dal governo sono stati di volta in volta confermati o sospesi, alimentando molta confusione

Un produttore di cannabis light di Viterbo
Un produttore di cannabis light di Viterbo (Franco Origlia/Getty Images)
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Il Consiglio di Stato ha sospeso di nuovo il decreto che aveva reso illegale vendere prodotti contenenti cannabidiolo – o CBD, un principio attivo della marijuana – se non in farmacia e dietro ricetta medica. Non è la prima volta che i giudici discutono e si esprimono sulla cannabis light: negli ultimi anni i produttori hanno presentato decine di ricorsi contro i divieti imposti dal governo che i giudici hanno di volta in volta confermato o sconfessato, alimentando molta confusione sulle regole.

Il primo divieto era stato introdotto nell’agosto del 2023 dal ministro della Salute Orazio Schillaci e aveva reso illegale la vendita di prodotti a base di CBD inserendoli nella categoria delle sostanze stupefacenti. Il cannabidiolo, o CBD, è uno dei tanti principi attivi contenuti nella marijuana, e se assunto ha tra gli effetti principali quello di dare una sensazione di rilassatezza.

Il principio attivo comunemente associato all’effetto stupefacente della marijuana è invece il tetraidrocannabinolo (THC), anch’esso vendibile legalmente solo in farmacia e dietro prescrizione medica. Tutta la politica del governo sulla cannabis light si fonda appunto in modo strumentale sul presupposto che la cannabis light sia una sostanza stupefacente.

Un divieto ancora più restrittivo è stato inserito lo scorso aprile nel cosiddetto decreto sicurezza, che impedisce in qualsiasi modo la coltivazione e vendita di cannabis light. È un provvedimento che ha causato enormi problemi al settore, mandando in crisi aziende e causando il licenziamento di molti lavoratori. Il decreto infatti vieta «la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa coltivata anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati». Di fatto vieta tutto.

La storia giudiziaria del primo divieto è piuttosto lunga. Dopo una prima bocciatura al tribunale amministrativo (TAR), nel giugno del 2024 il ministro Schillaci aveva riproposto il testo identico motivando il divieto con un parere dell’Istituto Superiore di Sanità. Le aziende avevano fatto di nuovo ricorso al tribunale amministrativo che aveva dato loro torto, fino alla sospensione arrivata lunedì al Consiglio di Stato. I giudici hanno consentito di nuovo la vendita di prodotti a base di CBD considerando le possibili conseguenze economiche per gli imprenditori e il conseguente licenziamento di molti lavoratori. Il ricorso sarà discusso nel merito nel maggio del prossimo anno.

L’effetto della sospensione è paradossale. Il Consiglio di Stato dice che la vendita di prodotti a base di CBD è possibile anche per evitare conseguenze economiche per le aziende, ma allo stesso tempo il decreto sicurezza vieta qualsiasi tipo di vendita. C’è insomma molta confusione: negli ultimi mesi le stesse forze dell’ordine hanno applicato il divieto in modi diversi, a volte aprendo inchieste per spaccio di sostanze stupefacenti, a volte solo sequestrando la merce.

Per di più nei tribunali ci sono così tanti ricorsi che a causa dei tempi lunghi della giustizia è complicato stare dietro alle nuove regole e ai divieti imposti dal governo. A novembre, per esempio, il Consiglio di Stato ha discusso un ricorso di alcune imprese e associazioni di produttori di cannabis light a una legge del 2016 che ha vietato di utilizzare foglie, infiorescenze, olio e resina. L’incertezza sulle norme ha convinto i giudici ad appellarsi alla Corte di Giustizia europea che dovrà chiarire se le leggi europee (almeno quella del 2016) violino i principi della libera circolazione delle merci e la libera concorrenza tra i paesi dell’Unione Europea.

L’esito del ricorso potrebbe però avere effetti anche sul decreto sicurezza: se i giudici della Corte di Giustizia europea diranno che la legge italiana è in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, il Consiglio di Stato dovrà riconsiderare l’intera normativa italiana.