Storia dell’inutile emendamento sull’oro nella legge di bilancio
E dell'evitabilissima lite che ha generato tra il governo italiano e la Banca Centrale Europea

Il governo ha infine presentato l’emendamento alla legge di bilancio che chiude definitivamente la questione delle riserve auree della Banca d’Italia, un patrimonio di oltre 200 miliardi che serve in caso di crisi finanziarie o valutarie. La storia era iniziata qualche settimana fa, quando il senatore di Fratelli d’Italia Lucio Malan aveva proposto un emendamento che ribadiva che queste «appartengono allo Stato, in nome del Popolo Italiano», richiamando un’antica battaglia della destra dei tempi in cui aveva posizioni antieuro.
È un tema di scarsissima rilevanza pratica ma che ha di fatto monopolizzato la discussione sulla legge di bilancio nelle ultime settimane per gli screzi istituzionali che ha generato, sovrastando anche le questioni più concrete. Com’era prevedibile il governo è ora tornato indietro e ha depotenziato la formulazione originale, che però nel frattempo ha avuto come unico effetto concreto quello di creare uno scontro del tutto inutile con la Banca Centrale Europea.
A fine ottobre il governo, come ogni anno, ha presentato il disegno di legge di bilancio in parlamento, il provvedimento che semplificando molto definisce la spesa pubblica e la tassazione dell’anno successivo. Il parlamento la discute e la deve approvare ogni anno entro il 31 dicembre, ma prima della votazione finale passa settimane in commissione Bilancio, durante le quali i parlamentari possono presentare emendamenti.
In questa occasione i parlamentari cercano di posizionarsi politicamente sui temi di cui si occupano di più, presentando proposte di modifica che nella maggior parte dei casi hanno poche probabilità di passare. Alla fine poi il governo presenta a sua volta una serie finale di emendamenti per chiudere la discussione e arrivare in aula con un testo definitivo: è quello che sta facendo in questi giorni, emendando sia il testo originale che a sua volta gli emendamenti dei parlamentari.
A fine novembre il senatore Malan aveva presentato la prima versione del discusso emendamento sull’oro della Banca d’Italia, che addirittura al primo articolo del disegno di legge di bilancio proponeva di inserire questo testo: «Le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del Popolo Italiano».
Era evidentemente un emendamento dal significato esclusivamente simbolico e politico, perché di fatto l’oro è già dello Stato italiano e a disposizione per gli interessi della popolazione italiana: la Banca d’Italia è a tutti gli effetti un’istituzione pubblica, benché formalmente indipendente dalla politica. La destra italiana sostiene da tempo che le riserve d’oro italiane debbano essere però nelle disponibilità del governo, e non della Banca d’Italia, perché a suo dire in estrema sintesi il governo di un paese rappresenterebbe in maniera più compiuta il «Popolo Italiano» rispetto a un organismo non eletto.

A sinistra il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti; a destra il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, a novembre (Mauro Scrobogna / LaPresse)
Se potesse davvero spendere le riserve auree dello Stato italiano, il governo potrebbe teoricamente impiegarle per abbassare le tasse, o per costruire il ponte sullo Stretto, oppure per approvare misure specifiche contro la povertà. Gran parte degli economisti la considera una pessima idea, non solo perché uno Stato che vende il suo patrimonio per racimolare i fondi per misure ordinarie trasmette un senso di precarietà, ma anche perché le riserve auree, insieme a quelle di valuta estera, hanno un fine preciso: sono da usare in caso di emergenze, come una crisi finanziaria.
L’emendamento proposto da Malan non si spingeva evidentemente fino a spostare la competenza delle riserve al governo, ma ribadire la proprietà del «Popolo Italiano» suggeriva velatamente che questa era la posizione del principale partito della maggioranza di governo. Era evidentemente solo una battaglia di principio, che richiamava le posizioni antieuro che fino a qualche anno fa erano centrali nei programmi di Fratelli d’Italia e della Lega, e che quindi faceva contenta una parte del loro elettorato.
Questo emendamento aveva però comunque creato un certo screzio istituzionale con la Banca d’Italia e soprattutto con la Banca Centrale Europea, che hanno la competenza esclusiva della gestione dell’oro: la Banca d’Italia custodisce e gestisce l’oro in accordo con la BCE, dato che l’Italia aderisce al sistema dell’euro. I trattati europei vietano ovviamente non solo tutto quello che sottende l’emendamento di Malan, ma anche la procedura con cui è stato presentato: Malan non aveva consultato preventivamente la BCE, e il governo l’ha interpellata solo una volta che il pasticcio era stato fatto.
A quel punto la BCE ha pubblicato un dettagliato parere in cui ha sottolineato che non solo lo spirito dell’emendamento e il modo in cui era stato presentato erano evidentemente in contrasto con le regole europee, ma anche che non era chiara quale fosse la finalità concreta di sottolineare in quel modo che l’oro della Banca d’Italia è del «Popolo Italiano». Di fatto ne dava un parere negativo, e invitava a riformulare l’emendamento o a ritirarlo.
Il testo è stato poi più volte riformulato. Prima, così: «Il secondo comma dell’articolo 4 del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, si interpreta nel senso che le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono al Popolo Italiano». Non cambiava granché nella pratica, e continuava a non essere chiara la finalità della misura. Poi, dopo un ulteriore intervento del ministero dell’Economia, è stato di nuovo corretto così: «Fermo restando quanto previsto dagli articoli 123, 127 e 130 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il secondo comma dell’articolo 4 del testo unico delle norme di legge in materia valutaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148, si interpreta nel senso che le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia, come iscritte nel proprio bilancio, appartengono al Popolo Italiano».
Quest’ultima versione, prima ancora di essere presentata ufficialmente alla commissione Bilancio del Senato, era stata inviata dal ministero dell’Economia alla BCE, per ottenere un parere preventivo. E la BCE, l’8 dicembre, aveva espresso una nuova opinione critica, ribadendo sostanzialmente le stesse perplessità già segnalate: «nonostante le modifiche apportate alla proposta di disposizione rivista, non è ancora chiaro alla BCE quale sia la concreta finalità della proposta di disposizione rivista».
Ma del resto era proprio quello il punto: non c’era davvero alcun punto, se non quello di richiamare una vecchia battaglia ideologica e distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da questioni ben più importanti sulla legge di bilancio, come il fatto che non ci sono soldi per finanziare misure per la crescita.

A sinistra la presidente della BCE Christine Lagarde mentre stringe la mano al governatore Panetta, a maggio del 2024; a destra Giorgetti (ANSA/JESSICA PASQUALON)
Dopo il secondo rigetto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha deciso di intervenire in prima persona. Anzitutto scrivendo una lettera alla presidente della BCE Christine Lagarde; poi, giovedì scorso, Giorgetti ha incontrato Lagarde a Bruxelles in occasione dell’Eurogruppo, la riunione dei ministri dell’Economia dei paesi che aderiscono all’euro. Giorgetti ha fatto leva sul passaggio finale dell’opinione dell’8 dicembre, laddove la BCE scriveva che «in assenza di spiegazioni in merito alla finalità della proposta di disposizione rivista, le autorità italiane sono invitate a riconsiderare la proposta di disposizione rivista, anche al fine di preservare l’esercizio indipendente dei compiti fondamentali» della Banca d’Italia. Il ministro si è appigliato proprio a quell’«in assenza di spiegazioni», affermando in buona sostanza di aver appunto rassicurato Lagarde, personalmente, che l’emendamento serve solo a ribadire un «principio politico», che però a suo dire era giusto che venisse inserito in una legge. Giorgetti ha poi concluso dicendo che Lagarde aveva compreso, ma che comunque teneva a rivendicare l’indipendenza dalla politica delle azioni di Banca d’Italia e della BCE.
E così, lunedì sera lo stesso Giorgetti in commissione Bilancio ha presentato il nuovo testo dell’emendamento, che è esattamente lo stesso già oggetto delle critiche della BCE dell’8 dicembre. «Siamo a posto: riteniamo che la questione si possa ritenere chiusa», ha detto il ministro davanti alla commissione.
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