Dieci canzoni di Bjork

Selezionate da Luca Sofri nella versione aggiornata del suo libro “Playlist”, da riascoltare oggi che compie sessant'anni

Bjork durante un concerto del tour "Cornucopia" nel 2023 a Leipzig, in Germania. (Santiago Felipe/Getty)
Bjork durante un concerto del tour "Cornucopia" nel 2023 a Leipzig, in Germania. (Santiago Felipe/Getty)
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Il 21 novembre 2025 Björk, una delle cantanti di pop sperimentale più apprezzate e influenti al mondo, compie sessant’anni. Queste sono le dieci canzoni di Björk che Luca Sofri, il peraltro direttore editoriale del Post, ha scelto per il suo libro Playlist: una raccolta di storie intorno a più di tremila canzoni, pubblicata per la prima volta nel 2006 e disponibile ora in libreria in una versione aggiornata e ampliataPlaylist è pubblicato da Altrecose, il marchio editoriale del Post in collaborazione con l’editore Iperborea.

Björk
(1965 Reykjavík, Islanda)
Quando Björk arrivò, fu quello che ci voleva. Quello che ci voleva per gli appassionati di musica in attesa di qualcosa che suonasse nuovo, e per i vanitosi in attesa di qualcosa che suonasse strano. Usciva da una band già apprezzata dagli addetti ai lavori, gli Sugarcubes, e aprì la rotta a una serie di islandesi anche più strani di lei che arrivarono negli anni successivi. Capace di cacofonie intollerabili e melodie celestiali, ha sempre avuto voglia di provare cose nuove ma finora non ha mai fatto un duetto con Zucchero.

Like Someone in Love
(Debut, 1993)
Una cover – con arpa dell’ottantenne Corky Hale – nel suo primo disco dopo aver lasciato gli Sugarcubes. Uno standard jazz celebrato da tutti e che diede il titolo a un famoso disco di Ella Fitzgerald. L’avevano scritta Johnny Burke e Jimmy Van Heusen, gli autori di Polka Dots and Moonbeams.

Venus as a Boy
(Debut, 1993)
La canzone che qualunque ragazzo avrebbe voluto che la sua ragazza gli dedicasse. “His wicked sense of humour suggests exciting sex”.

It’s Oh So Quiet
(Post, 1995)
L’originale era una canzone del 1948 cantata da Betty Hutton e intitolata “Blow a Fuse”. Björk racconta che la cantava il produttore Guy Sigsworth sul pullman quando erano in tournée, e che il formidabile successo della sua cover la seccò non poco. Possibile che la sua canzone più celebre fosse di qualcun altro? Possibile.

You’ve Been Flirting Again
(Post, 1995)
«È come aver superato l’esame di matematica», disse dopo aver messo insieme il suo primo arrangiamento di archi, ciliegina centrale su questa torta.

It’s Not Up to You
(Vespertine, 2001)
È un vecchio trucco di maniera nel mondo dei compositori pop: costruire una strofa ardua, discontinua, poco melodica, che sia al servizio del senso di liberazione ottenuto con un ritornello che è tutto il contrario: “it’s not up to youuuuu…”.

Oceania
(Medúlla, 2004)
La cantò all’inaugurazione delle Olimpiadi di Atene. A cantare è l’oceano, rivolto al resto del mondo, figlio suo. “Il vostro sudore è salato, il perché sono io”.

Vökuró
(Medúlla, 2004)
Björk dice di essere stata influenzata dall’ascolto di “Bohemian Rhapsody” dei Queen, ma lei si è spinta decisamente più avanti. O più indietro.

Who Is It
(Medúlla, 2004)
Ritmo elettronico fornito da Rahzel dei Roots, alleggerito dal refrain contagiosissimo: “who is it”.

Cosmogony
(Biophilia, 2011)
Una cosa celestiale, evocativamente e letteralmente. Brava lei, bravi i fiati.

Stonemilker
(Vulnicura, 2015)
Una canzone un po’ ingenua e goffa, disse lei, per una storia d’amore finita male.