Storia e fuga di Elia Del Grande
Ha passato 25 anni in carcere per l'omicidio dei suoi genitori e di suo fratello, e una settimana fa è scappato da una struttura di Modena

Da oltre una settimana le forze dell’ordine stanno cercando un uomo fuggito da una struttura di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena, che ospita tra gli altri persone sottoposte a misure di sicurezza perché ritenute socialmente pericolose. L’uomo si chiama Elia Del Grande, ha 50 anni, e ha passato metà della sua vita in carcere per avere ucciso i genitori e il fratello nella notte tra il 6 e il 7 gennaio 1998 a Cadrezzate, un piccolo comune in provincia di Varese. Per ora non si sa dove sia, anche se non è esattamente scomparso nel nulla.
Lui stesso ha infatti spiegato le ragioni della sua fuga in una lettera inviata al quotidiano locale VareseNews, pubblicata giovedì. Ha scritto di essere scappato perché a suo parere l’istituto in cui si trovava era inadeguato e somigliava troppo a un centro di detenzione per persone con patologie psichiatriche. Ha aggiunto che prima di finire a Castelfranco Emilia aveva scontato la sua pena e si stava ricostruendo una vita, ma poi si è «visto crollare il mondo addosso».
Del Grande aveva 22 anni quando uccise la sua famiglia. Disse di averlo fatto perché i suoi genitori, Enea e Alida, non approvavano la ragazza che aveva conosciuto a Santo Domingo, la capitale della Repubblica Dominicana, e con cui si era fidanzato. Li uccise sparando a ciascuno di loro e al fratello Enrico due colpi di fucile. Dopo l’omicidio tentò di scappare in Svizzera ma fu fermato a Lavena Ponte Tresa, un comune sul lago di Lugano al confine, e confessò. Il triplice omicidio di Cadrezzate è conosciuto anche come la “strage dei fornai”, perché la famiglia Del Grande era proprietaria di un panificio in paese.

Elia Del Grande in una foto sulla carta d’identità nel 1998 (FERRARO/ANSA/KLD)
Per l’omicidio della sua famiglia Elia Del Grande fu condannato in primo grado all’ergastolo, poi la Corte d’appello gli riconobbe la seminfermità mentale e ridusse la pena a 30 anni. Trascorse complessivamente circa 25 anni in prigione: nel 2015 tentò di evadere dal carcere di Pavia, ma il piano non riuscì. Nell’estate del 2023 uscì in libertà vigilata, e da allora aveva vissuto per un periodo in Sardegna (gli ultimi anni di detenzione li aveva trascorsi lì), come raccontò lui stesso a VareseNews, e poi a Cadrezzate.
I giornali locali scrivono che negli ultimi mesi era stato accusato di alcuni atti vandalici e molestie al vicinato, e a fine settembre il tribunale di sorveglianza aveva deciso di sottoporlo alla misura di sicurezza della permanenza nella “casa lavoro” di Castelfranco Emilia. Le misure di sicurezza sono disciplinate dal codice penale e servono, in sintesi, a impedire a persone ritenute da un giudice socialmente pericolose di commettere dei reati. Il loro obiettivo è la rieducazione e il reinserimento delle persone nella società: nel caso delle “case lavoro” questo processo si fa appunto in strutture dove le persone vengono impiegate in una qualche attività lavorativa.
Del Grande era stato portato in quella di Castelfranco Emilia dove avrebbe dovuto restare per sei mesi, dopo i quali la sua situazione sarebbe stata rivalutata dal tribunale di sorveglianza. Il 30 ottobre però è scappato scavalcando il muro della struttura con una fune ricavata dall’unione di fili elettrici che era riuscito a recuperare.
Quella di Castelfranco Emilia è in realtà una struttura che ha due funzioni. Oltre alla casa lavoro è una casa di reclusione, dove ci sono persone detenute in regime di custodia attenuata. L’associazione Antigone, che si occupa dei diritti delle persone detenute, l’ha visitata a dicembre del 2024 e complessivamente ne ha giudicato buone le condizioni, sia per quanto riguarda gli spazi fisici come le celle e le sale comuni, sia per il personale, le attività culturali e ricreative, e le proposte di lavoro.
Nella lettera a VareseNews Del Grande sostiene invece che la casa lavoro somigli a un ospedale psichiatrico giudiziario, e che le persone rimangano lì molto più del dovuto perché non hanno una casa o una famiglia che permetta loro di riprendere una vita all’esterno. Accusa il tribunale di sorveglianza, «che mi ha nuovamente rinchiuso facendomi fare almeno mille passi indietro riproponendomi soltanto la realtà repressiva carceraria». Racconta che il disagio provato lì lo ha spinto a «provare il tutto per tutto pur di uscire da quella situazione», e si dice amareggiato per il fatto di percepire ancora su di sé lo stigma del «pazzo assassino» evaso per come è stata raccontata la vicenda in questi giorni sui giornali.
Tecnicamente una persona sottoposta a una misura di sicurezza non è come una persona detenuta, anche se il confine può essere labile. Chi si sottrae a una misura di sicurezza non è infatti del tutto equiparabile a chi evade dal carcere, ma deve poi comunque ricominciare tutto daccapo, cioè non viene tenuto conto del tempo che ha già trascorso sottoposto a quel provvedimento.
Roberto Cavalieri, garante regionale delle persone detenute dell’Emilia-Romagna, ha detto al Corriere della Sera che Del Grande potrebbe avere «vissuto come un fallimento il ritorno in una struttura penitenziaria, seppure da internato [come si definisce persona sottoposta a misura di sicurezza detentiva]». Secondo Cavalieri Del Grande con la lettera «sta preparando il terreno per un atteggiamento indulgente da parte del giudice. Come se mettesse le mani avanti».
Al momento secondo i giornali locali le ricerche di Del Grande si stanno concentrando nelle zone dove l’uomo ha vissuto, in provincia di Varese e in Sardegna.



