L’indagine sul museo calabrese dedicato a Steven Tyler degli Aerosmith
Il comune di Cotronei ha ricevuto dalla regione un finanziamento da 1,3 milioni di euro per realizzarlo, ma alla fine non se n'è fatto nulla

Una diffida presentata da Steven Tyler, cantante della famosa rock band statunitense degli Aerosmith, ha portato all’apertura di un’indagine che coinvolge ex amministratori e dirigenti di Cotronei, il comune in provincia di Crotone di cui era originario il nonno di Tyler. L’inchiesta riguarda un progetto per la realizzazione di un museo dedicato alla carriera di Tyler, mai inaugurato nonostante un finanziamento di 1,3 milioni di euro stanziato dalla Regione Calabria.
Sono indagate in tutto 15 persone, accusate di falso ideologico: entro venti giorni, la procura di Crotone potrebbe chiedere il rinvio a giudizio per coloro che non riusciranno a dimostrare la propria estraneità ai fatti.
Un lontano cugino di Tyler, l’avvocato Nino Grassi (i rispettivi nonni erano fratelli), ha detto a Repubblica che l’idea era nata nel 2013, quando Tyler, il cui vero nome è Steven Victor Tallarico, visitò Cotronei per la prima volta. L’amministrazione dell’epoca gli propose di aprire un museo del rock dedicato alla sua carriera, che comprendesse anche una scuola di musica per i meno abbienti.
Tyler accettò, impegnandosi anche a presenziare alla futura inaugurazione insieme alla figlia, l’attrice Liv Tyler. Pose però una condizione: ossia che il museo fosse realizzato a Palazzo Bevilacqua, la residenza in cui suo nonno, Giovanni Tallarico, aveva vissuto prima di emigrare negli Stati Uniti.

Steven Tyler durante la visita nel 2013 ai parenti a Cotronei (ANSA/GIUSEPPE PIPITA)
Il progetto fu presentato alla Regione Calabria, che ne approvò il finanziamento. Successivamente, però, l’amministrazione guidata dall’allora sindaco Nicola Belcastro, del PD, decise di spostare la sede in un immobile acquistato appositamente. Nel 2022 l’attuale sindaco, Antonio Ammirati, portò a compimento il trasferimento del progetto nella nuova sede, formalizzando la decisione della precedente amministrazione. A quel punto Grassi avvisò Tyler, che decise di diffidare il comune.
Belcastro sostenne di non essere riuscito a raggiungere un accordo con gli attuali proprietari di Palazzo Bevilacqua, e che l’edificio era troppo malridotto per essere utilizzato. Secondo la procura però le cose non sono andate così: le procedure per l’esproprio non sarebbero mai state avviate e i proprietari mai contattati, e la decisione di spostare il progetto sarebbe stata motivata dal timore di perdere il finanziamento regionale, che rischiava di decadere a causa dei ritardi accumulati.
Dalle indagini è emerso anche che il comune non ha mai chiesto il nulla osta paesaggistico alla Soprintendenza Archeologi Belle Arti e Paesaggio, un passaggio obbligatorio per poter procedere con l’acquisizione e l’utilizzo dell’edificio.



