Il dibattito sulla musica di sottofondo nei ristoranti

Secondo il compositore Nicola Piovani è un «malcostume» a prescindere dalla qualità delle playlist: molti non sono d'accordo

Clienti che cenano al ristorante Lola's di New York, il 20 agosto 2024. (Colin Clark/The New York Times/Contrasto)
Clienti che cenano al ristorante Lola's di New York, il 20 agosto 2024. (Colin Clark/The New York Times/Contrasto)
Caricamento player

Alcuni giorni fa il famoso compositore Nicola Piovani ha scritto su Repubblica un articolo d’opinione contro la musica di sottofondo in negozi, bar e in particolare nei ristoranti. Piovani scrive di mal sopportarla al punto da aver cominciato a prenotare nei ristoranti solo dopo essersi assicurato, chiedendolo, che non abbiano la musica. «Sarebbe troppo sperare che i locali senza tappeti musicali – ce ne sono – fossero segnalati, raggruppati nell’informazione? Se sul sito fossero contraddistinti come locali “SMS” – Senza Musica di Sottofondo?».

Piovani, che aveva già scritto della questione anni fa, ha una posizione piuttosto estrema sull’argomento, anche perché sostiene che valga a prescindere dalla qualità della musica. In questi giorni il dibattito è stato portato avanti dai giornali, con interviste a vari chef che si sono invece detti contrari all’idea di togliere la musica dai loro ristoranti. È un dibattito che riguarda anche molte persone comuni: quelle che trovano la musica di sottofondo fastidiosa e quelle che invece si straniscono nei ristoranti che non ce l’hanno.

In alcuni ristoranti, specialmente quelli molto eleganti, la selezione musicale fa parte della preparazione della sala: così come si apparecchia la tavola o si decora il tavolo, viene scelta con particolare cura anche la musica di sottofondo, spesso solo strumentale. Per esempio Livia Iaccarino del ristorante stellato Don Alfonso 1890 ha detto di aver «fatto fare uno studio ad hoc da un musicologo e un musicoterapista». Altri chef hanno raccontato di avere playlist pensate per i vari momenti del giorno, della settimana e per i diversi menù.

Massimo Bottura, tra i più famosi e importanti chef italiani, ha detto al Gambero Rosso di avere da parte una ricca playlist di canzoni jazz ma che nel suo ristorante Gatto Verde ha scelto canzoni rock del decennio 1965-1975: «Led Zeppelin, Bob Dylan, Jackson Browne, Lou Reed… Ho trovato che fosse una scelta appropriata e non invadente e soprattutto che si sposasse bene con un ristorante di barbecue contemporaneo». Tutti gli chef intervistati sono comunque d’accordo sul fatto che la musica deve rimanere a un volume sufficientemente basso da non interferire con le conversazioni dei commensali.

Nei ristoranti meno sofisticati – la maggior parte – però le playlist non sono sempre curate con particolare attenzione. Spesso si usano la musica della radio o le playlist che si trovano facilmente sia su Spotify che su YouTube. Su queste piattaforme sono organizzate genericamente in categorie di “ambience”, cioè a seconda del tipo di atmosfera che vogliono creare. Per esempio una playlist chiamata “Soft elegant dinner” contiene solitamente suoni morbidi, ritmi lenti e cantati con timbri caldi che dovrebbero trasmettere un senso di eleganza.

– Leggi anche: Musica per le nostre orecchie

Per chi non se ne intende o non è particolarmente attento alla musica che lo circonda queste playlist non sono un problema, ma per i più sensibili possono diventare molto fastidiose. Non essendo curate da una persona ma generate da algoritmi, risultano spesso impersonali, incoerenti e ripetitive (se durano meno di un pranzo o una cena e dopo un po’ ricominciano). Tra le meno apprezzate ci sono le playlist composte da cover di canzoni celebri riarrangiate in uno stile diverso da quello originale e pensato apposta per fare da sottofondo in modo discreto, ma nel risultato molto brutte da sentire.

Nel 2018 il famoso musicista e compositore Ryuichi Sakamoto propose al proprietario del suo ristorante giapponese preferito a New York, Kajitsu, di occuparsi personalmente a titolo gratuito di curare il sottofondo musicale del locale, perché lo frequentava talmente spesso che si era stufato della pessima musica che veniva trasmessa come sottofondo musicale. La sua playlist si può ascoltare su Spotify.

Alcuni ristoratori fanno notare che la musica soffusa, oltre a servire come accompagnamento, è utile anche ad altri scopi: coprire i rumori che potrebbero infastidire i commensali, come quelli provenienti dalla cucina, e assicurare che tra un tavolo e l’altro ci sia un minimo di privacy, così che le persone abbiano la libertà di chiacchierare senza che i vicini di tavolo sentano le conversazioni o origlino.

Molte persone si accorgono subito quando in un ristorante non c’è un sottofondo musicale, perché si sentono ascoltate o perché provano fastidio per il rumore delle posate e delle stoviglie, e il vocio degli altri commensali. Il risultato è un “effetto mensa” che fa venire voglia di stare a tavola il meno possibile. Nel suo articolo Piovani ha scritto: «un conoscente mi ha detto che con la musica a tavola si parla di meno, e questo per lui è un pregio».

Alcuni studi infine hanno dimostrato che la musica influenza i nostri comportamenti più di quello che pensiamo, e tra questi anche l’assunzione di cibo. In questo senso sono stati fatti tentativi per sfruttarla sulla base dei suoi effetti psicologici. Per esempio alcuni anni fa uno studio condotto a Stoccolma concluse che la musica ad alto volume portava i clienti a ordinare più pietanze poco salutari e più alcolici rispetto a quando il sottofondo sonoro era più contenuto.