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  • Lunedì 29 settembre 2025

Per gli adulti con ADHD non è facile farsi aiutare

In Italia sono più di un milione ad avere il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, ma è difficile trovare medici e farmaci giusti

(Anna Shvets/Pexels)
(Anna Shvets/Pexels)
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Nel 2010 Giulia si trasferì dall’Italia a New York per fare l’università. Era sempre stata una bambina e poi un’adulta «casinista e caotica, che si dimentica le cose, fa fatica a stare attenta a lungo, fa 10mila cose al minuto», e l’aveva sempre trovato molto faticoso. In quel momento, però, questa cosa la faceva stare particolarmente male, e decise di consultare una psicologa. Nell’arco di una seduta la psicologa le disse: «È chiarissimo: hai l’ADHD».

Molti associano il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (l’ADHD, appunto) solo a bambini e adolescenti: l’esempio tipico sono gli studenti che disturbano costantemente la classe, vanno male a scuola e non riescono a stare fermi. In base ai tanti studi sul tema che sono disponibili oggi, però, si sa che l’ADHD si manifesta anche in molti altri modi, e spesso continua a farlo anche dopo l’adolescenza. In Italia si stima che le persone sopra i 18 anni con ADHD siano circa un milione e mezzo.

Non era strano, insomma, che Giulia fosse arrivata a vent’anni senza una diagnosi. Quel che suonerà strano a chi conosce un po’ la situazione italiana è la rapidità con cui ha ottenuto la diagnosi e, subito dopo, la prescrizione per l’Adderall, uno stimolante del sistema nervoso centrale, a base di sali di anfetamina, che negli Stati Uniti viene usato come farmaco di prima scelta per trattare l’ADHD.

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In Italia, infatti, il percorso di diagnosi per gli adulti che sospettano di avere l’ADHD è molto più lungo, per una serie di ragioni che hanno a che fare soprattutto con il fatto che mancano delle linee guida nazionali e i medici specializzati sono pochi rispetto alle persone che ne avrebbero bisogno, e mal distribuiti sul territorio. C’è poi una grande cautela attorno al genere di farmaci che possono essere prescritti per l’ADHD – che rientrano nella tabella degli stupefacenti – e quindi alle modalità di prescrizione. L’Adderall, comunque, non è autorizzato in Italia, così come nessuno a base di sali di anfetamina.

I farmaci non sono l’unico approccio per gestire l’ADHD: anche quando vengono prescritti, è buona pratica accompagnarli a una terapia psicologica che aiuti a sviluppare strategie per gestire disorganizzazione, procrastinazione e pensieri negativi e, al contempo, sessioni di coaching specializzate nell’organizzazione del tempo e lo sviluppo di routine quotidiane efficaci.

In caso di mancata diagnosi e trattamento, l’ADHD può avere conseguenze anche molto negative sulla salute fisica e mentale di chi ne soffre. Alcuni possono avere problemi a mantenere un lavoro stabile, problemi finanziari dati dall’impulsività nel fare acquisti e difficoltà nel gestire i propri soldi. Molte persone affette da ADHD, poi, sviluppano disturbi dell’umore secondari, come disturbi del sonno, depressione, ansia. È anche più probabile che abusino di alcol e droghe, e che sviluppino dipendenze rispetto al resto della popolazione.

Il processo diagnostico, peraltro, se fatto bene è particolarmente dispendioso in termini di tempo, perché richiede non solo di sottoporre questionari, ma anche di parlare lungamente con il paziente dei suoi sintomi, esaminare la sua storia clinica e intervistare familiari, partner o insegnanti.

In Italia di solito questo vuol dire, semplicemente, che i tempi di diagnosi sono lunghi. Negli Stati Uniti, invece, molti psichiatri saltano molti passaggi: secondo una stima, ci mettono in media 15 minuti a emettere una diagnosi di ADHD. La psichiatra newyorkese di Giulia, per esempio, le ha prescritto l’Adderall senza farle alcun tipo di test e senza avvisarla dei potenziali effetti collaterali.

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Giulia ha chiesto al Post di non usare il suo vero nome, né il suo cognome, perché per lei gli effetti collaterali sono stati molto gravi, e tuttora non ne ha parlato a gran parte dei propri cari. «Appena ho cominciato a prendere l’Adderall è stato come se tutte le mie difficoltà fossero sparite in un secondo. Ricordo di aver pensato che sarebbe stata la soluzione a ogni mio problema: finalmente riuscivo ad avere la calma necessaria per fare tutto quel che volevo fare, a partire dal tenere in ordine la casa e scrivere i temi per l’università in tempo», racconta. «Ma ho iniziato presto ad abusarne. Ti toglie la fame, ti toglie il sonno, e a un certo punto dormivo pochissimo, non mangiavo più, sentivo di star impazzendo». Ci avrebbe messo anni, e varie dipendenze da droghe illegali, prima di uscirne.

Rispetto alla gran parte dei farmaci consigliati per il trattamento dell’ADHD, il potenziale di dipendenza dell’Adderall è considerato più alto: inferiore a quello della cocaina, ma decisamente superiore a quello dei farmaci a base di metilfenidato, come il Ritalin e il Medikinet. Quando è usato correttamente, su persone con ADHD seguite da un medico che monitori la risposta psicofisica del singolo paziente, anche l’Adderall ha un rischio di dipendenza relativamente basso. Negli Stati Uniti, però, è diventato anche uno stupefacente ricreativo molto comune tra studenti universitari e professionisti che vogliono migliorare le proprie prestazioni cognitive.

In Italia non c’è nessun medicinale prescrivibile per l’ADHD che abbia un effetto comparabile a quello dell’Adderall. Ma mancano anche dei farmaci utili che sono regolarmente in commercio in vari altri paesi dell’Europa occidentale e che, secondo gli studi, funzionano molto bene per i pazienti con l’ADHD. E in generale, in Italia, a chi ha l’ADHD si prescrivono molti meno psicofarmaci che nel resto d’Europa.

«In Italia attualmente abbiamo un solo farmaco approvato per l’età adulta: il Medikinet, ovvero una formulazione a rilascio modificato di metilfenidato», riassume lo psichiatra Vito Pinzone, presidente della Rete Italiana ADHD. All’estero oggi esistono anche varie formulazioni a lungo rilascio, che si possono assumere una sola volta al giorno e riducono ulteriormente il rischio di sviluppare una dipendenza. In Italia, però, si possono prescrivere soltanto formulazioni a rilascio intermedio. Altri due farmaci a base di metilfenidato, il Ritalin e l’Equasym, sono approvati solo per il trattamento in età evolutiva, fino ai 18 anni: i medici, però, possono decidere di prescriverli agli adulti in modalità “off label”, con costi totalmente a carico loro.

Il Medikinet è rimborsabile. Molti, però, non riescono ad accedere al sistema pubblico, anche perché non tutte le regioni hanno dei centri specialistici per l’ADHD in età adulta, e i centri di salute mentale sono in generale oberati di lavoro. «Ci sono regioni dove io stesso, da medico, faccio fatica a trovare un collega che possa seguire una persona», dice Pinzone. Rivolgersi al privato, però, vuol dire quasi sempre assumersi il costo di medicinali che vanno presi ogni mese, talvolta anche per molti anni.

Che lavorino nel pubblico o nel privato, i medici che vogliono prescrivere Medikinet devono richiedere dall’ASL di riferimento uno specifico ricettario a ricalco in triplice copia: è un sistema “di vigilanza” che permette alle autorità sanitarie di tracciare e monitorare le ricette per prevenire eventuali abusi. Pinzone, però, racconta che spesso «quando chiedi questo ricettario succede che ti rispondono che non sanno cos’è o se te lo possono dare». Alcuni medici, poi, preferiscono evitare questa trafila e, semplicemente, non ordinano mai il ricettario. «Nel pubblico la situazione è quella che è, ma in questo momento non è che nel privato sia molto meglio: in questo momento occuparsi di ADHD è difficile per tutti, anche solo in termini burocratici».

La mancanza di formazione e consapevolezza è un problema a tutti i livelli: tra gli psichiatri, gli psicologi, i medici di base, i farmacisti. Chiara Reali, per esempio, racconta che studiando Psicologia all’università non si era riconosciuta nei profili di pazienti con autismo e ADHD illustrati dai professori, che erano «profili stereotipici maschili». Pur essendo andata in terapia a più riprese per decenni, ha ottenuto una diagnosi di autismo e ADHD soltanto due anni fa, a 44 anni. Oggi prende, sotto prescrizione, il bupropione, un farmaco utilizzato soprattutto per trattare la depressione che viene però talvolta prescritto anche a persone con l’ADHD, e racconta che «hanno cominciato a succedere cose che non avrei mai pensato possibili: consegno i lavori con ampio anticipo, per esempio».

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L’intero processo, dice, è però molto macchinoso, soprattutto per una persona con l’ADHD. «Da una parte c’è un sistema che è oggettivamente complesso, e quindi magari scoraggia i medici a prescrivere. Dall’altra, il fatto che si tratti di farmaci stupefacenti può suscitare alcuni dubbi: è una cosa carica di stigma», spiega Pinzone, lo psichiatra. Ci sono medici di base che ritengono i farmaci inutili o pericolosi. Alcuni pensano addirittura che l’ADHD non esista.

Nemmeno ottenere i farmaci con la prescrizione è sempre immediato: alcuni farmacisti reagiscono molto male quando qualcuno si presenta da loro con una ricetta di questo tipo, al punto che su Facebook ci sono dei gruppi che raccolgono liste di farmacisti “amici”, che hanno una formazione sul tema. In altri casi, i pazienti hanno l’obbligo di ritirare i medicinali in una farmacia ospedaliera.

«Al netto di questi pregiudizi», dice però Pinzone, «sono farmaci che come medici abbiamo il dovere di conoscere, anche perché sono sicuri e studiati da tempo». Racconta anche che, nel contesto attuale, ci sono italiani che decidono di andare a farsi curare in paesi come la Svizzera, dove il processo è più lineare e ci sono più medicinali diversi che si possono prescrivere agli adulti. Alcuni pazienti, infatti, non rispondono al metilfenidato, e vanno in Svizzera per provare una terapia a base di lisdexamfetamina, un altro tipo di psicofarmaco stimolante.

«Succede soprattutto in quelle situazioni gravi in cui c’è bisogno di un’impostazione farmacologica di un certo tipo. Se continui a stare male, è ovvio che cerchi un’altra soluzione», spiega Pinzone. «Ma, come medico, devo dire che anche io vorrei poter scegliere e personalizzare i trattamenti sulla base di quello che secondo la ricerca è efficace, e non sulla base del poco che abbiamo a disposizione».

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