Dove andranno i monaci della Certosa di Pavia?
Vivono nella basilica dal 1968, ma la loro presenza è diventata inconciliabile con i piani del ministero della Cultura

Quasi tutte le mattine verso le 9:30 uno dei sei monaci che abitano nella Certosa di Pavia, appena fuori dalla città, riceve i turisti nella navata centrale della chiesa e li porta in giro per il monastero. Quando una visita finisce ne comincia subito un’altra, e così fino alle 11:30, quando l’abbazia chiude per riaprire alle visite dalle due alle sei del pomeriggio. È una delle mansioni che i monaci svolgono da quando sono arrivati, nel 1968, e che a partire dal primo gennaio del 2026 non svolgeranno più.
Nel 2023 infatti l’assemblea dell’Ordine cistercense, di cui i sei monaci fanno parte, ha deciso che non avrebbe rinnovato l’accordo di gestione della basilica con il ministero della Cultura. Da gennaio quindi la gestione sarà solo della direzione regionale Musei Lombardia, cioè del ministero. Il direttore Rosario Maria Anzalone ha detto di aver tentato in varie occasioni di convincere i monaci a restare ma che «la comunità cistercense ha considerato irrevocabile la scelta».
I cistercensi non hanno mai motivato pubblicamente questa decisione, ma è da anni che la gestione della basilica è al centro di problemi e dibattiti che riguardano il suo mantenimento e una maggiore apertura al turismo voluta dal ministero della Cultura e poco conciliabile con la vita dei monaci.
Non è chiaro esattamente quando i sei monaci andranno via né dove andranno. I giornali più informati hanno scritto che verranno trasferiti in provincia di Frosinone, nell’abbazia di Casamari, che è la sede principale della loro congregazione. Uno di loro però, il vice priore padre Giorgio, ha detto di aver appreso dai giornali di questa ipotesi e di non voler andare a Casamari. Il sindaco di Certosa di Pavia, Marcello Infurna, ha detto che spera di farli rimanere almeno per qualche mese nel 2026 e che la loro partenza sarà «un dispiacere», perché da quasi sessant’anni sono parte della comunità locale.
La Certosa di Pavia fu costruita per volere di Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano, che nel 1400 la diede in custodia ai certosini di Siena. I cistercensi arrivarono molto dopo, nel 1968 appunto: rispetto ai certosini, che vivevano in isolamento, i cistercensi hanno sempre avuto un rapporto più diretto con la comunità e anche tra di loro.

La Certosa di Pavia a fine Ottocento (adoc-photos/contrasto)
Oggi i monaci cistercensi usano soltanto un’ala del complesso non aperta ai turisti, mentre gli spazi storici – come le celle, la sala da pranzo e parte dei chiostri – sono visitabili. I monaci si occupano di parte dei lavori, ma per le pulizie si avvalgono anche di un’impresa esterna. Organizzano le visite guidate e gestiscono il piccolo punto vendita interno, dove vendono riso carnaroli, che dicono essere «quello vero», tisane, infusi e liquori prodotti nei terreni agricoli annessi al monastero. Intorno alla Certosa infatti c’è un campo di circa 35 ettari (350mila metri quadrati) coltivato con riso e granturco. La Certosa non ha un biglietto d’ingresso, ma i monaci chiedono ai visitatori una donazione a offerta libera per contribuire alla manutenzione.
Fino a una decina di anni fa la Certosa era in condizioni abbastanza precarie. «Nel 2009 – racconta il sindaco, che al tempo era assessore – si riuscì a radunare enti locali, sovrintendenza e il provveditorato delle opere pubbliche». Furono stanziati 7 milioni di euro per la conservazione della basilica, e da allora sono stati fatti lavori sia di recupero architettonico sia di restauro artistico.

L’interno della Certosa di Pavia (Horst Dieter Zinn/laif/contrasto)
Nel 2014 la Certosa tornò al centro del dibattito locale: i monaci lamentavano la mancanza di fondi per la manutenzione ordinaria. Il vice priore stimava servissero circa 500mila euro all’anno. La struttura aveva bisogno di finanziamenti e investimenti, ma non c’era un accordo tra lo Stato, che era proprietario del bene, e i monaci, che lo gestivano. I monaci infatti non volevano firmare una concessione che imponesse loro la manutenzione ordinaria e straordinaria del monastero.
In quell’occasione persino il vice presidente della Camera Luigi Di Maio andò a Pavia per parlare con i monaci e convincerli a firmare l’accordo col ministero. Già allora c’erano comitati ed esponenti della politica locale e nazionale, soprattutto il Movimento 5 Stelle, che ritenevano che la Certosa dovesse diventare un patrimonio gestito esclusivamente dal ministero, in modo che si potesse aprirla maggiormente alle visite turistiche facendo pagare un biglietto.
Nel 2016 venne infine firmato il protocollo d’intesa di cogestione decennale tra i monaci e il ministero. L’accordo scade il 31 dicembre di quest’anno ed è quello che la congregazione ha deciso di non rinnovare.
Tra le possibili motivazioni dietro alla decisione dei cistercensi di lasciare la Certosa, è stata citata una certa stanchezza dei monaci, che sono pochi, anziani e poco adatti al tipo di utilizzo della basilica su cui punta il ministero.
La direzione regionale Musei ha già detto che vuole rendere la Certosa più accessibile per il pubblico introducendo l’orario continuato, che adesso non c’è perché i monaci dalle 11:30 alle 14 fanno il pranzo, la preghiera e la meditazione. È uno dei problemi di cui si discute da più tempo perché «soprattutto nei giorni di alto flusso si traduce in numeri non trascurabili di visitatori che rimangono fuori dai cancelli».
L’ingresso a pagamento dovrebbe servire a sostenere tutte le spese di gestione. Inoltre si cercherà di rendere accessibili alcuni spazi che al momento non lo sono, come le 14 cappelle laterali della basilica, la cella del priore, la sala del Capitolo, la sagrestia nuova e la biblioteca che conserva numerosi manoscritti e codici miniati.



