Gigli, ceri e macchine di santi
In Centro e Sud Italia è pieno di feste patronali che prevedono il trasporto a spalla di strutture alte e pesanti, che in certi casi fanno venire persino i calli sulle spalle

Il 3 settembre a Viterbo migliaia di persone hanno partecipato alla processione di Santa Rosa, la patrona della città laziale. Hanno sfilato per le vie del centro storico, dietro alla “macchina” di Santa Rosa, una torre illuminata da fiaccole e luci elettriche portata a spalla da un centinaio di “facchini”, come vengono definiti. La processione si svolge da molti secoli e le dimensioni della torre, alta una trentina di metri e pesante decine di quintali, hanno provocato nella storia diversi incidenti, come quando nel 1814 due facchini rimasero schiacciati. Quest’anno la macchina, costruita da una ditta locale dopo aver vinto un appalto del Comune, era la più grande di sempre: era alta 33 metri e pesava più di 50 quintali.
A far parlare della festa però è stata la decisione della questura di non spegnere le luci della città durante la processione, come negli anni scorsi, perché nei giorni precedenti due uomini di nazionalità turca che alloggiavano in un b&b lungo il percorso della processione erano stati arrestati per possesso di armi. Si era pensato che stessero preparando un attentato (alla festa avrebbero partecipato due ministri del governo), ma la polizia ha poi escluso questa ipotesi.
La processione di Santa Rosa è solo una delle tante feste patronali in Italia – soprattutto al Centro e al Sud – che si svolgono portando a spalla delle grandi macchine. A fine settembre nel quartiere napoletano di Barra c’è una festa tradizionale in cui le macchine suddette vengono chiamati “Gigli”, ed è parente minore di quella omonima che si svolge a Nola, una cittadina della provincia. Quel giorno sei paranze, cioè gruppi composti da 128 persone, trasporteranno altrettanti Gigli alti 25 metri e pesanti 4,5 tonnellate, costruiti da associazioni locali. La festa dura 24 ore di fila. Comincia con un corteo serale delle associazioni, mentre i Gigli cominciano a sfilare per le vie del quartiere dalle prime ore del mattino. Quando percorrono corso Sirena, la strada più antica, fanno delle rotazioni su se stessi a ritmo di musica, chiamate girate. La processione si conclude a notte fonda.
Le persone che trasportano queste imponenti macchine, a causa del peso da trasportare e per lo sforzo prolungato, sviluppano calli molto evidenti alla base del collo, che vengono considerati simboli della loro appartenenza. A Nola i cosiddetti cullaturi, che portano a spalla i Gigli e li fanno ballare al ritmo dei tamburi, alzandoli e abbassandoli, hanno un grosso bozzo sulla spalla che chiamano pataniello, o “gobba di san Paolino”.
La processione si svolge alla fine di giugno, per la festa di San Paolino. Le paranze, ciascuna composta da 120 persone, portano otto Gigli in legno di abete e di castagno, e in cartapesta, alti 25 metri e pesanti 3 tonnellate. C’è n’è uno per ogni antica corporazione di mestieri: ortolano, salumiere, bettoliere, panettiere, beccaio, calzolaio, sarto e fabbro. Tutta la processione si svolge ballando e cantando, con cantanti e musicisti sulla base quadrangolare di ciascun obelisco. Durante il tragitto i cullatori compiono anche manovre molto difficili per farli passare nei vicoli della cittadina, percorrono alcuni tratti in salita, e in qualche caso corrono.
La processione termina nella piazza della cittadina, dove i Gigli si incontrano con la barca di San Paolino, un veliero con a bordo un personaggio abbigliato come un ottomano, e chiamato tradizionalmente turco: secondo la tradizione sarebbe stato lui a riaccompagnare il santo a casa, a Nola, dopo un periodo di prigionia passato lontano. Chi vuole diventare cullatore deve prima fare esperienza con la barca, che richiede uno sforzo minore perché, a causa delle sue dimensioni, non viene portata in processione nei vicoli.
Si tratta di feste molto antiche, con riti che si ripetono uguali da centinaia di anni. La macchina di Santa Rosa, per esempio, fu ideata nel 1258, per ricordare la traslazione del corpo di Santa Rosa dalla chiesa di S. Maria del Poggio al Santuario a lei dedicato. Si volle ripetere quella processione trasportando un’immagine o una statua della Santa illuminata su un baldacchino, e nei secoli la macchina assunse dimensioni sempre più grandi.
Da un punto di vista religioso, l’imponenza di queste macchine e il sacrificio per trasportarle hanno l’obiettivo di mostrare la devozione verso i santi protettori; ma da un punto di vista più antropologico, servono a rafforzare l’identità territoriale e il senso di appartenenza alla comunità, poiché sia l’organizzazione, che a volte dura tutto l’anno, che il trasporto sono azioni che richiedono la partecipazione di centinaia di persone. «Le feste tradizionali devono offrire qualcosa di straordinario. Ecco allora che il pericolo si trasforma in meraviglia. Tanto che i trasportatori ricevono una benedizione in articulo mortis [“sul punto di morte”, ndr] per il rischio che corrono. È qualcosa che trascende il quotidiano e il razionale», ha spiegato l’antropologa Patrizia Giancotti.
Nel 2006 gli organizzatori costituirono un’associazione chiamata Rete delle grandi macchine a spalla, e nel 2013 l’UNESCO riconobbe queste feste come patrimonio immateriale dell’umanità. Ne fanno parte, oltre alla macchina di Santa Rosa di Viterbo e la Festa dei Gigli di Nola, anche la Varia di Palmi, in Calabria, e la Discesa dei Candelieri di Sassari.
A Palmi, durante la festa per l’ascensione della Vergine Maria alla fine di agosto, 200 ‘mbuttaturi, divisi nelle cinque antiche corporazioni cittadine dei marinai, dei contadini, degli artigiani, dei bovari e dei carrettieri, trasportano un carro votivo alto 16 metri e dal peso di 200 quintali (‘mbuttare significa portare un carico). La Varia cosiddetta è un’enorme macchina, una specie di carro, che ha la forma di una nuvola, con parti rotanti che raffigurano l’universo e altre che rappresentano Dio, gli Apostoli e gli Angeli. Sopra di loro c’è l’Animella, una bambina che raffigura la Madonna assunta in cielo.
A Sassari invece ogni 14 agosto i rappresentanti di antiche corporazioni di arti e mestieri, detti gremianti, fanno sfilare per le vie della città 11 enormi ceri di legno. Ciascuna pesa circa 400 chili ed è alto almeno tre metri. Per portarne in processione uno, facendolo «danzare» con una serie di passi studiati, ci vogliono 8 persone. La discesa (in sassarese faradda) fa tappa al comune e si conclude nella chiesa di Santa Maria di Betlem. Ogni anno partecipano non meno di 100mila persone.
Non hanno invece aderito alla Rete delle grandi macchine a spalla gli organizzatori della storica Festa dei Ceri che si svolge da 900 anni a Gubbio, in Umbria, e neppure altre feste di santi che prevedono grandi spostamenti di statue: quella di Sant’Agata a Catania, per esempio, che è considerata la più grande e partecipata del sud Italia, oppure quella di Santa Rosalia a Palermo.
A Gubbio il 15 maggio tre grandi ceri in legno, di circa 400 chili ciascuno, con le statue di Sant’Ubaldo, patrono della cittadina umbra, di San Giorgio e di Sant’Antonio Abate, vengono portati in processione di corsa prima per le strade della cittadina e poi fino alla basilica di Sant’Ubaldo, sul monte Ingino. I ceraioli, che da regolamento devono essere tutti maschi e cittadini di Gubbio, si danno il cambio in corsa e si sforzano di far correre il Cero il più possibile in verticale, evitando cadute, soprattutto nei tratti in discesa e in caso di pioggia. A Catania durante le Candelore, dieci giorni prima della festa di Sant’Agata, si svolge una processione in cui dei ceri votivi che pesano tra i 400 e i 900 chili vengono trasportati a spalla dai cosiddetti candelai con una caratteristica andatura cadenzata e ritmata che viene chiamata a ‘nnacata.



