Il controverso “canone culturale” svedese voluto dal governo di destra

Controverso non solo perché ha escluso gli Abba, ma soprattutto per l'idea di Svezia che promuove

Da sinistra a destra Benny Andersson, Agnetha Faltskog, Bjorn Ulvaeus e Anni-Frid Lyngstad. (Tsugufumi Matsumoto/AP Photo)
Da sinistra a destra Benny Andersson, Agnetha Faltskog, Bjorn Ulvaeus e Anni-Frid Lyngstad. (Tsugufumi Matsumoto/AP Photo)
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Gli Abba furono tra i maggiori fenomeni del pop globale degli anni Settanta, e tuttora milioni di persone nel mondo pensano a loro quando pensano alla Svezia. Per questo, quando martedì è stato pubblicato il “canone culturale” svedese, ovvero una lista che comprende le 100 opere e riferimenti che hanno formato la cultura e la storia della Svezia, e si è scoperto che gli Abba non c’erano, a molti è sembrato assurdo.

Ma l’esclusione della band di “Waterloo” e “Mamma mia” non è stato l’aspetto più controverso dell’elenco presentato dal governo di centrodestra, voluta particolarmente dai Democratici Svedesi, partito nazionalista che dà l’appoggio esterno in parlamento. Questo perché l’idea stessa di compilare un canone culturale nazionale era per molti un’operazione reazionaria e promuove un’idea di Svezia che esclude le minoranze.

Per il primo ministro Ulf Kristersson, il canone serve per «comprendere la cultura che ha plasmato il paese, specie per chi è arrivato in Svezia ed è cresciuto in famiglie in cui mancano i riferimenti alla cultura nazionale». La sua redazione è durata oltre due anni ed è stata completata da una commissione di esperti indipendenti guidata dallo storico svedese Lars Trägårdh, secondo il quale il canone servirà da «mappa e bussola» nella cultura nazionale per le persone di famiglie immigrate.

Il risultato è piuttosto vario: nella lista sono stati inseriti film, opere d’arte, pratiche e abitudini comportamentali tipicamente svedesi. C’è Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren, Il settimo sigillo del regista Ingmar Bergman, la catena di arredamento Ikea, il diritto di vagabondare, il congedo di paternità, il premio Nobel e le opere del drammaturgo August Strindberg. Non si sa ancora quale sarà precisamente la finalità di questa lista, se per esempio sarà introdotta nei programmi scolastici o se verrà usata nei test per assegnare la cittadinanza. 

Le opere e i riferimenti culturali inclusi nel canone devono avere almeno cinquant’anni di storia. Per questo motivo gli Abba non compaiono nell’elenco: la commissione ha spiegato che i loro contributi più significativi alla cultura svedese sono successivi al 1975, quindi ancora troppo recenti per rientrare nei criteri, nonostante la vittoria all’Eurovision Song Contest con “Waterloo” risalga già al 1974.

L’annuncio del canone non era stato accolto positivamente nel mondo culturale svedese: nel novembre del 2022 trentacinque scrittori e scrittrici, tra cui la giallista Camilla Läckberg, avevano firmato un articolo congiunto sul quotidiano Expressen sostenendo che «un canone nazionale non poteva avere spazio in una democrazia». Il punto è che un canone culturale nazionale riempito di soli elementi vecchi di cinquant’anni o più promuove un’idea di Svezia che non contempla l’apporto alla cultura nazionale delle persone di origine straniera arrivate con i flussi migratori degli ultimi decenni.

Anche alcune istituzioni e organizzazioni che rappresentano le minoranze etniche, tra cui l’Accademia svedese che assegna il premio Nobel per la letteratura e i rappresentanti della popolazione indigena Sami, hanno criticato l’iniziativa definendola troppo limitata ed escludente. Anche dopo la pubblicazione non sono mancate le critiche di giornalisti e intellettuali che hanno definito l’iniziativa assurda e hanno espresso perplessità sulle scelte della commissione. Björn Wiman, responsabile della sezione cultura del principale quotidiano svedese, il Dagens Nyheter, ha detto al New York Times di aver riso non appena vista la lista: «ci sono dipinti del XVII secolo, e non ci sono gli Abba. È ridicolo».  

La Svezia non è il primo paese a introdurre un canone culturale: un progetto simile era stato tentato già nel 2006 in Danimarca e anche in quel caso ci furono grosse polemiche. Anche il canone danese fu proposto dall’ala conservatrice del governo e Brian Mikkelsen, l’allora ministro della Cultura, motivò la decisione spiegando che «l’iniziativa faceva parte di una lotta contro le tendenze antidemocratiche di alcuni ambienti dell’immigrazione musulmana». A oggi la lista danese è poco utilizzata e il suo uso è confinato principalmente ai test per la cittadinanza da parte dei cittadini non comunitari. Anche i Paesi Bassi hanno un canone culturale ma il loro è più ampio e meno “tradizionale”. È stato rivisto nel 2020, dopo un dibattito sul rapporto del paese con il colonialismo, la schiavitù e l’immigrazione e l’ultima revisione si è concentrata sull’inclusione, sulla diversità e sulle prospettive critiche alla storia nazionale.