Non dite agli indiani che i samosa sono poco salutari
Il governo ha citato i tradizionali snack fritti in una campagna contro il consumo di cibi grassi che sta ricevendo molte critiche

Nelle ultime settimane in India ha fatto molto discutere un’iniziativa del governo per ridurre il consumo di grassi tra la popolazione. Il ministero della Salute ha invitato gli uffici dell’amministrazione pubblica, le aziende e le scuole a esporre nelle aree comuni poster che indichino la quantità di grassi contenuti in alcuni cibi, tra cui anche snack molto popolari come i samosa (dei triangoli di pasta fillo fritti e ripieni di patate speziate) o i jalebi (delle frittelle dolci servite con uno sciroppo di zucchero).
Molti l’hanno interpretata come un attacco alla tradizione culinaria indiana, al cibo di strada molto diffuso in India, e ai suoi snack più amati ed economici.
Il numero di persone obese o sovrappeso in India è aumentato negli ultimi anni. Tra il biennio 2015-2016 e il periodo 2019-2021 (cioè quelli analizzati dagli ultimi studi commissionati dal ministero della Salute), la percentuale complessiva è passata negli uomini dal 37,7 al 44 per cento, e nelle donne dal 36,1 per cento al 41,2. Sono aumentate anche le malattie correlate a un’alimentazione poco sana, come quelle cardiovascolari e il diabete di tipo due.
Contemporaneamente il paese continua ad avere un grave problema di malnutrizione: circa il 20 per cento degli uomini e il 23 per cento delle donne indiane sono sottopeso. È un fenomeno che si osserva in molti paesi tra quelli con elevati tassi di povertà, dove il cibo a poco prezzo è spesso anche quello meno salutare.

Jalebi (Preeti Pradhan/Getty Images)
Negli ultimi anni il governo del primo ministro Narendra Modi, nazionalista e di destra, ha promosso una serie di iniziative per ridurre il consumo di cibi ad alto contenuto di sale, zuccheri e grassi, e per la promozione dell’attività fisica. A febbraio di quest’anno, durante un episodio del suo programma radiofonico mensile – Mann Ki Baat – aveva invitato gli indiani e le indiane a ridurre del 10 per cento il consumo giornaliero di oli e grassi e aveva invitato una serie di personaggi famosi a partecipare alla campagna per diffondere il messaggio.
L’iniziativa di cui si discute in queste settimane rientra in questa campagna, ma diversamente dalle altre ha generato molte polemiche. Il governo è accusato di aver preso di mira i prodotti più amati, popolari e accessibili della tradizione culinaria indiana, e di aver tralasciato invece molti prodotti confezionati di importazione che sono altrettanto responsabili del problema.
La celebre nutrizionista indiana Rujuta Diwekar, che su Instagram è seguita da 1,8 milioni di persone, ha scritto: «Cosa hanno fatto i samosa per meritarsi questo? Se vogliamo fare i seri in merito agli avvertimenti per la salute, allora bevande, patatine e biscotti [confezionati] dovrebbero riceverli per primi». Il senatore indiano Milind Deora ha invitato il governo a rivedere le proprie priorità e a non prendere «ingiustamente» di mira gli alimenti della tradizione indiana mentre «la spazzatura occidentale» circola senza problemi.
Molte di queste critiche puntano sul fatto che i samosa e gli altri cibi da strada sono spesso realizzati con pochi ingredienti, e non contengono additivi e altre sostanze potenzialmente dannose che invece sono presenti nei cibi processati. Al tempo stesso però i nutrizionisti hanno fatto notare che l’olio in cui sono fritti viene usato a lungo, e che il fatto che non siano prodotti industriali non li rende più sani.
Un altro genere di critiche riguarda il fatto che la misura rischia di ridurre le entrate di una fascia di popolazione già molto povera, cioè quella dei venditori di strada. Il giornalista Vir Sanghvi ha definito l’iniziativa «una vera cazzata» che prende di mira «persone povere che faticano a guadagnarsi da vivere vendendo pakora [frittelle di farina di ceci con carne, verdure o pesce] e vada pav [una sorta di panino ripieno di una frittella di patate]».
Il governo ha comunque mantenuto l’iniziativa, e ha risposto alle critiche pubblicando un chiarimento: ha specificato che i prodotti di cui dovrà essere segnalato il contenuto di grassi non sono solo quelli tipici della tradizione indiana, ma anche altri prodotti occidentali diffusi come patatine fritte e hamburger. Il senso dell’iniziativa, ha spiegato, è rendere consapevoli le persone del contenuto dei cibi che mangiano.



