Quel modo in cui vi fissano i giovani

Su internet si fa un gran parlare del presunto sguardo disinteressato che sarebbe tipico della generazione Z

Un fotogramma tratto dalla prima stagione di White Lotus (HBO)
Un fotogramma tratto dalla prima stagione di White Lotus (HBO)
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Da qualche tempo, frequentando TikTok e in misura minore Instagram, non è raro imbattersi in video in cui qualche utente, solitamente dai trent’anni in su, sostiene di aver subìto in una qualche occasione un gen Z stare, cioè uno “sguardo da generazione Z”. L’espressione è diventata popolare e molto commentata nelle ultime settimane, e indica uno sguardo vuoto, assente e disinteressato che le persone giovani, sotto i trent’anni, rivolgerebbero a quelle più grandi quando provano a iniziare una conversazione con loro, fare una battuta o interagire in modo cordiale.

L’attenzione verso il “gen Z stare” non è nulla di nuovo: una decina di anni fa diventò virale su internet la cosiddetta resting bitch face (involontaria faccia da stronzo), un modo di fissare la gente vagamente infastidito che alimentò discussioni simili su atteggiamenti dei giovani percepiti come distaccati o freddi. In generale è un modo di fare tipico delle persone giovani che le persone più vecchie hanno sempre un po’ criticato, interpretandolo come un segnale di freddezza, distacco o scarsa educazione, e commentandolo a volte con toni un po’ paternalistici.

Secondo i racconti che se ne fanno sui social, la situazione in cui è più facile ricevere un “gen Z stare” è all’interno dei negozi, quando i commessi più giovani rispondono alle richieste dei clienti fissandoli in silenzio, con un’espressione annoiata, infastidita o distante. Attorno al “gen Z stare” si è sviluppato anche un vivace filone di meme, con decine di video ironici in cui i diretti interessati danno alcuni consigli per fissare gli interlocutori più anziani nel modo corretto, per esempio alzando il sopracciglio per rendere più evidente l’effetto di distacco e straniamento.

Non è facile stabilire quando si sia cominciato a parlarne in questi termini. Il sito Know Your Meme, specializzato nella storia dei meme di internet, lo attribuisce a Meghan Alessi, un’utente di TikTok che nel luglio del 2024 pubblicò un video in cui si lamentava delle interazioni che aveva avuto con alcuni lavoratori più giovani: «lo giuro, ogni volta che sono in giro e parlo con un lavoratore della generazione Z, lui non fa altro che stare a fissarmi», disse. I video sull’argomento, però, sono diventati davvero numerosi soltanto a partire da aprile, quando l’espressione ha cominciato a essere usata con maggiore frequenza sulla piattaforma, e nelle ultime settimane, quando molti commentatori ne hanno scritto sui principali giornali anglosassoni.

Il fatto che questo tipo di contenuti stia ottenendo una certa visibilità non è particolarmente sorprendente, dato che i confronti tra generazioni, soprattutto quando riguardano comportamenti e modi di fare, funzionano molto bene da sempre su TikTok. Per esempio, un paio d’anni fa avevano avuto un certo successo i video parodistici in cui venivano presi in giro i cosiddetti «millennialismi», ossia tutti quei tic che gli attuali trentenni e quarantenni ripropongono spesso nei loro contenuti, e che vengono considerati goffi o superati dalle generazioni successive.

Da quando il “gen Z stare” è diventato una tendenza sui social, giornalisti, esperti di internet culture e creatori di contenuti hanno provato a contestualizzare il fenomeno e a decifrarlo, interpretandolo in modi molto diversi.

La scrittrice Jean M. Twenge, autrice di un apprezzato saggio sulle peculiarità comportamentali che distinguono le varie generazioni, ha detto al New York Times che la pandemia di coronavirus ha influito sulle modalità di interazione delle persone più giovani, perché i lockdown hanno quasi annullato le interazioni di persona proprio negli anni della loro adolescenza, una fase cruciale per imparare a relazionarsi.

Twenge ha aggiunto che chi è nato dopo il 1997 ha trascorso online molto più tempo rispetto alle generazioni precedenti, e ha quindi accumulato meno esperienza nel confronto diretto. Il “gen  Z  Stare” sarebbe dunque un segno distintivo del contesto in cui questa generazione è cresciuta.

Michael Poulin, professore associato di psicologia all’Università di Buffalo, negli Stati Uniti, ha detto a Vox che guardare persone più anziane in modo distaccato non è un tratto esclusivo della generazione Z, e che le lamentele dei millennial nei confronti di questi atteggiamenti «non sono troppo diverse dal modo in cui i nostri genitori ci insegnavano a guardare gli altri dritti negli occhi, a non parlare a voce alta, a non ingobbirci a tavola e a dare strette di mano decise».

Alcuni creatori di contenuti appartenenti alla generazione Z hanno provato a dare al “gen Z stare” una loro motivazione. Per esempio Efe Ahworegba, utente di 19 anni il cui video sull’argomento ha totalizzato più di 11 milioni di visualizzazioni, ha detto che molte persone adulte tendono a rivolgersi ai giovani con arroganza, scortesia o senso di superiorità, soprattutto quando lavorano a contatto con il pubblico. In questi casi, il “gen Z stare” sarebbe una specie di forma di autodifesa: un modo per evitare un confronto indesiderato, esprimere un certo disagio per le parole dell’interlocutore o proteggersi da atteggiamenti percepiti come invadenti o irrispettosi.

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