Le prime note dell’heavy metal

Le suonarono quattro ragazzi di estrazione operaia di Birmingham nel 1970: si chiamavano Black Sabbath

I Black Sabbath nel 1970 (Chris Walter/WireImage)
I Black Sabbath nel 1970 (Chris Walter/WireImage)
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L’espressione “heavy metal” quasi non esisteva quando nel 1968 il chitarrista Tony Iommi e il batterista Bill Ward si imbatterono in un annuncio con cui il giovane cantante Ozzy Osbourne, morto martedì a 76 anni, cercava musicisti per mettere insieme una band. Uno dei generi musicali più popolari della seconda metà del Novecento iniziò a prendere forma proprio quell’anno, quando tre gruppi inglesi cominciarono a discostarsi dal rock più morbido e psichedelico che aveva dominato quel decennio per suonare una musica più ruvida e cupa: i Led Zeppelin, i Deep Purple e soprattutto i Black Sabbath, la band di Osbourne, che da quel momento in poi furono considerati i veri capostipiti dell’heavy metal e in generale della musica “pesante”.

Ottennero questo riconoscimento perché Black Sabbath, il loro primo e omonimo disco che uscì nel 1970, anticipò e di fatto inventò molte cose che sarebbero state le fondamenta del genere: il suono delle chitarre, i temi trattati nelle canzoni e la postura da cattivi e provocatori, solo per citarne alcuni.

Anche l’immaginario visivo dell’heavy metal è generalmente associato ai Black Sabbath: Osbourne, Iommi, Ward e Geezer Butler, il bassista che completò la formazione del gruppo, erano appassionati di occultismo, paganesimo e cinema dell’orrore, e questi interessi ebbero una certa centralità nella costruzione dell’immagine dei Black Sabbath, a partire dalle copertine dei dischi, e nella scrittura dei testi delle prime canzoni, che veniva spesso curata da Butler.

I Black Sabbath su una panchina, nel 1970 (Chris Walter/WireImage)

Il nome del gruppo da un lato omaggiava il titolo della versione statunitense del film I tre volti della paura, del regista italiano Mario Bava, e dall’altro richiamava esplicitamente i sabba, le feste con cui, secondo diverse leggende medievali, streghe e stregoni celebravano il diavolo con orge, rituali occulti e sacrifici simbolici.

Butler, che aveva una grande passione per la magia nera, la letteratura fantasy, l’escapologia e la storia delle religioni, si divertì a riempire il disco di riferimenti di questo tipo, spesso in modi ironici e creativi. Per esempio “N.I.B.”, la quarta canzone dell’album, è una sorta di lettera d’amore scritta dalla prospettiva di Lucifero, mentre “The Wizard” parla di un mago con un lungo mantello grigio e un campanaccio in grado di scacciare le presenze demoniache. Negli anni successivi, incentrare le canzoni su argomenti del genere diventò una pratica molto diffusa nell’heavy metal.

Ma la nomea dei Black Sabbath come “prima band heavy metal” fu rafforzata anche dal posto da cui provenivano. Birmingham era la città industriale inglese per definizione, scandita dal rumore continuo dei macchinari e delle catene di montaggio, e i riff di chitarra distorti, potenti e martellanti di Iommi, un operaio che aveva perso le falangi del medio e dell’anulare della mano destra mentre lavorava a una pressa, risultarono particolarmente adatti a rappresentare quel contesto.

Proprio le condizioni fisiche di Iommi influenzarono in modo decisivo il suono dei Black Sabbath: essendo mancino, premeva i tasti della chitarra con la mano destra, alla quale applicava due protesi in plastica che si era costruito da solo per compensare la perdita delle falangi. Per rendere le corde più morbide al tatto, decise di abbassare l’accordatura di un tono. Questa necessità assai pragmatica gli permise di ottenere parti di chitarra molto distintive, più gravi e pesanti, che differenziarono il suono dei Black Sabbath da quello di altre band loro contemporanee.

Dato che la mobilità della mano destra era limitata, i riff di Iommi erano spesso lenti, ripetitivi e costruiti su pochissime note, ma allo stesso tempo riconoscibili, semplici da memorizzare e facilmente replicabili anche dai chitarristi principianti, che trovarono in quello stile un ottimo punto di partenza per crearne di propri.

Per questo motivo, pur non essendo un musicista particolarmente virtuoso, insieme a gente come Jimmy Page e Ritchie Blackmore, Iommi è considerato uno dei chitarristi più influenti della storia del rock: le sue invenzioni sono state spesso omaggiate e rielaborate – quando non direttamente copiate – così tante volte da essere diventate una specie di cliché del genere, e hanno ispirato i suoni e gli stili di decenni di musica metal e hard rock, specialmente per quanto riguarda sottogeneri come il doom, lo stoner e lo sludge.

Le basse tonalità della chitarra di Iommi, peraltro, si adattavano benissimo allo stile di canto nasale ed esasperato di Osbourne, e questa alchimia fu uno dei motivi del successo iniziale del gruppo. Canzoni come “Behind the Wall of Sleep”, “Evil Woman, Don’t Play Your Games with Me”, “Sleeping Village” e “Warning” sono esempi di come i due registri si incastrassero benissimo insieme.

Tony Iommi nel 1976 (Erica Echenberg/Redferns)

Se Butler e Iommi si occuparono dell’identità visiva e del suono dei Black Sabbath, Osbourne ebbe un ruolo fondamentale nel definire l’approccio della band ai concerti. Si rivelò fin da subito un frontman formidabile, a partire dall’estetica: si presentava sul palco con vestiti vistosi e capelli lunghissimi, spesso tinti di nero, muovendosi in modo poco controllato e a volte goffo, ma con una capacità di coinvolgere il pubblico che aveva pochi eguali.

Imprevedibile e teatrale, amava stupire gli spettatori con gesti molto provocatori, dal rovesciare un secchio di carne cruda sulle prime file fino a mordere la testa di un pipistrello.

Ozzy Osbourne nel 1974 (Michael Ochs Archives/Getty Images)

Un altro aspetto del primo disco dei Black Sabbath che viene spesso citato è il suo rudimentale processo di produzione. Fu registrato il 16 ottobre 1969, in una sola e lunga sessione di 12 ore, e l’intera operazione costò circa 600 sterline.

Anche se oggi è considerato un disco fondamentale per lo sviluppo dell’heavy metal, ai tempi Black Sabbath non fu accolto benissimo dalla critica. Su Rolling Stone, Lester Bangs lo definì barocco e inconcludente, criticando soprattutto la vaghezza dei molti riferimenti all’occultismo presenti nei testi.

Si ricredettero tutti pochi mesi dopo con l’uscita di Paranoid, il secondo disco dei Black Sabbath. È uno dei più importanti di quel decennio, e contiene canzoni che oggi sono considerate una sorta di canone della musica metal degli anni Settanta e Ottanta, come “War Pigs”, “Planet Caravan”, “Iron Man”, “Electric Funeral” e soprattutto quella che dà il titolo all’album, una delle più celebri della storia del genere.

Insieme, Osbourne, Iommi, Ward e Butler pubblicarono altri sei dischi: Master of Reality (1971), Black Sabbath, Vol. 4 (1972), Sabbath Bloody Sabbath (1973), Sabotage (1975), Technical Ecstasy (1976) e Never Say Die! (1978), che fu più che altro massacrato dalla critica. A causa dell’insuccesso di quell’album, delle molte incomprensioni con gli altri membri della band e di una grave dipendenza da alcol e cocaina, Osbourne decise di lasciare i Black Sabbath per dedicarsi alla carriera solista.

Seppe riconfermarsi alla grande pure in quel caso, anche grazie alla collaborazione con il chitarrista statunitense Randy Rhoads, che con il suo stile virtuosistico e melodico fu determinante nel rinnovare il suono di Osbourne. I Black Sabbath invece continuarono a pubblicare dischi e a esibirsi dal vivo con altri cantanti, come per esempio Ronnie James Dio. Nessuno però riuscì mai a eguagliare il carisma di Osbourne.

– Leggi anche: L’ultimo concerto dei Black Sabbath, a Birmingham