A Sean Diddy Combs è andata relativamente bene
Una difesa efficace e un impianto accusatorio troppo ambizioso hanno evitato al rapper le condanne più gravi

Il verdetto con cui mercoledì sera la giuria popolare di un tribunale di New York ha assolto il rapper americano Sean “Diddy” Combs (noto anche come Puff Daddy) da tre dei cinque capi d’accusa che gli venivano contestati è stato interpretato come una sostanziale vittoria per il rapper e produttore statunitense, come ha lasciato intendere anche la sua reazione in aula. Dopo la pronuncia, infatti, si è inginocchiato davanti ai membri della giuria, urlando ripetutamente «Grazie a Dio» e «Vi amo».
Considerata la gravità delle imputazioni iniziali, il verdetto è apparso a molti come un esito sorprendentemente favorevole. Se fosse stato condannato anche solo per una delle accuse dalle quali è stato invece assolto – le prime due di tratta di esseri umani e l’ultima di guidare un’organizzazione criminale volta allo sfruttamento sessuale di decine di persone – Combs avrebbe infatti rischiato di passare il resto della sua vita in carcere.
Le pene previste per le altre due accuse, riguardanti entrambe il reato di trasporto di persone finalizzato alla prostituzione, sono invece meno pesanti. Nel peggiore dei casi, Combs potrebbe comunque essere condannato a 20 anni di carcere, dieci per ciascuna imputazione. La pubblica ministera Maurene Comey ha detto che il governo chiederà la massima pena per questi due capi d’accusa, e il giudice Arun Subramanian ha rifiutato di rilasciare Combs su cauzione in attesa dell’udienza di condanna.
I giornalisti che hanno seguito più assiduamente il processo hanno sottolineato l’efficacia della linea difensiva seguita dagli avvocati di Combs, che hanno deciso di non presentare alcun testimone a sostegno del loro assistito. La loro strategia si è basata sul mettere costantemente in discussione la credibilità e le motivazioni delle testimoni dell’accusa, e in particolare due ex fidanzate di Combs: la modella e cantante Casandra Ventura e una donna rimasta anonima, identificata con lo pseudonimo Jane.
Entrambe hanno testimoniato per giorni al processo, raccontando di essere state costrette con vari mezzi da Combs a fare sesso con uomini pagati durante i cosiddetti freak off, orge lunghe anche più giorni che Combs organizzava in vari hotel in giro per il mondo. Durante la loro arringa finale, gli avvocati di Combs hanno ribadito la tesi secondo cui le due donne avrebbero fatto tutto in modo consenziente, sottolinenando come avessero continuato a frequentare Combs anche dopo i presunti abusi. «In tribunale, i legali di Combs lo hanno descritto come un uomo di successo che si era ritrovato vittima di ex compagne amareggiate e interessate solo al denaro», ha scritto a questo proposito l’Atlantic.
Alla fine la tattica ha funzionato: i giurati hanno ritenuto plausibile che Combs abbia facilitato lo spostamento delle due donne per coinvolgerle in attività sessuali, ma non che le abbia costrette a farlo.
Un altro fattore che, secondo vari esperti legali, avrebbe favorito questa interpretazione è stata la decisione di Subramanian di impedire all’accusa di fare riferimento al concetto di “controllo coercitivo”, ossia una forma di abuso psicologico e manipolazione sistematica che può esercitare una forte pressione sulla vittima anche in assenza di violenza fisica esplicita.
Il giudice ha motivato la sua scelta sostenendo che si trattava di un concetto troppo vago e non previsto chiaramente dal diritto penale federale. Per questo, secondo Subramanian, introdurlo nel processo avrebbe rischiato di confondere la giuria, inducendola a basare il proprio giudizio su percezioni soggettive più che su prove concrete.
Di conseguenza, i giurati non hanno potuto inquadrare il comportamento di Combs come parte di un disegno sistematico di controllo e abusi psicologici, ma si sono dovuti limitare a provare episodi specifici di violenza e abusi. Secondo l’analista legale Paul Mauro, la decisione di escludere le testimonianze di esperti sul tema del controllo coercitivo potrebbe aver privato la giuria di un contesto essenziale per comprendere appieno le motivazioni dell’accusa.
Secondo altri osservatori, Combs avrebbe giovato anche del comportamento dell’accusa, che avrebbe costruito un impianto accusatorio ambizioso e troppo farraginoso: i procuratori si sono infatti basati sulla RICO (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act), una legge statunitense introdotta per colpire la criminalità organizzata e che consente di riunire diversi reati — anche minori — in un’unica accusa, a condizione che si dimostri l’esistenza di un’organizzazione criminale e di un accordo tra più persone per commettere almeno due reati collegati. Ma la complessità del reato previsto dalla norma ha finito per favorire la difesa, che è riuscita a smontare l’idea che Combs gestisse un sistema strutturato di sfruttamento.
Alla fine, i giurati hanno ritenuto provato solo il reato più semplice e circoscritto, cioè il trasporto a fini di prostituzione, respingendo tutto il resto.
– Leggi anche: Sean Diddy Combs è stato dichiarato non colpevole per le accuse più gravi



