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  • Mercoledì 2 luglio 2025

In Togo vorrebbero cambiare il governo, ma il governo non vuole cambiare

Ci sono estese proteste contro Fauré Gnassingbé, che governa da vent'anni e potrebbe continuare a farlo per molto altro tempo

Una foto delle proteste, 26 giugno 2025 (AP Photo/Erick Kaglan)
Una foto delle proteste, 26 giugno 2025 (AP Photo/Erick Kaglan)
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Da settimane in Togo, nell’Africa Occidentale, sono in corso estese proteste antigovernative. Nella capitale Lomé ci sono stati scontri con la polizia, e secondo alcune organizzazioni per i diritti umani almeno sette persone sono state uccise. Gli attivisti accusano gli agenti di aver pestato i manifestanti con corde e manganelli ed eseguito arresti arbitrari.

Negli ultimi giorni sette corpi sono stati trovati in una laguna, sulla costa o in piccoli laghi vicino alla capitale: tra questi c’era anche quello di un ragazzo di 16 anni, che secondo la famiglia aveva evidenti segni di pestaggio. Ai ritrovamenti però non sono seguiti arresti né autopsie, e il governo ha sostenuto che fossero annegati. L’accesso a internet è stato limitato e tra le strade i manifestanti hanno costruito barricate e incendiato pneumatici, mentre la maggior parte dei negozi è rimasta chiusa.

Le proteste sono state organizzate dall’opposizione dalla fine di giugno, ma seguono mesi turbolenti per la politica del Togo, un piccolo stato di circa 9 milioni di abitanti sulla costa atlantica dell’Africa. I manifestanti contestano principalmente una riforma costituzionale che secondo l’opposizione è stata un modo per il leader Faure Gnassingbé di aggirare i limiti sui mandati e restare al potere il più a lungo possibile. I manifestanti chiedono le sue dimissioni.

La riforma, approvata a marzo del 2024, stabilisce il passaggio da un sistema presidenziale a uno parlamentare. È stata però molto contestata sia nel merito sia nelle modalità di approvazione. Trasforma la carica del presidente in un ruolo perlopiù cerimoniale, eletto dal parlamento e non più in modo diretto dalla popolazione, con la possibilità di un solo mandato di quattro anni. Istituisce inoltre la carica del primo ministro: viene eletto dal parlamento per un mandato di sei anni, di fatto diventa il capo del governo ed è potenzialmente eleggibile a vita. Infine, istituisce il Senato (prima il parlamento del Togo era monocamerale).

Gnassingbé era presidente del Togo, ma avendo già fatto il numero massimo di mandati non avrebbe più potuto essere rieletto. Lo scorso maggio ha quindi preso l’incarico di primo ministro, che come detto in base alla nuova Costituzione non ha limiti di rielezione.

Non è inusuale che in un sistema parlamentare il primo ministro non abbia un limite di mandati, perché la sua legittimazione si basa sulla fiducia del parlamento che viene eletto alla fine di ogni legislatura. Le opposizioni in Togo però sostengono da anni che le elezioni non siano davvero democratiche, e hanno più volte denunciato brogli: è avvenuto anche alle ultime elezioni legislative, che hanno garantito la maggioranza dei seggi al partito di Gnassingbé, e alle ultime presidenziali, nel 2020, quando il governo aveva vietato la partecipazione di osservatori indipendenti e le opposizioni avevano accusato il governo di aver truccato i risultati.

Per questo le opposizioni hanno parlato della riforma come di un «colpo di stato istituzionale», un modo non violento per garantire il proseguimento della dinastia Gnassingbé: Faure Gnassingbé governa ininterrottamente dal 2005 ed è succeduto al padre, Eyadéma Gnassingbé, che prese il potere in Togo con un colpo di stato nel 1967 e governò per decenni in maniera autoritaria.

Un ulteriore aspetto contestato della riforma riguarda i tempi: è stata approvata poco prima delle ultime elezioni legislative nonostante l’Ecowas, l’organizzazione internazionale che riunisce i paesi dell’Africa occidentale, vieti di modificare in modo sostanziale il sistema elettorale nei sei mesi precedenti alle elezioni (se non con il consenso di tutti i componenti politici, che in questo caso non c’era).

Il Togo ottenne l’indipendenza dalla Francia nel 1960. È tra i paesi della regione con maggiori difficoltà economiche, con alti tassi di disoccupazione e molte disuguaglianze. Il reddito pro capite medio è di 900 dollari l’anno, e il 45 per cento delle persone vive sotto la soglia di povertà. Anche per questo il governo di Gnassingbé è molto impopolare, e la repressione delle proteste, dei diritti civili e delle istanze delle opposizioni sta esacerbando la situazione.