Chi ci guadagna davvero con le carte fedeltà

Se pensavate di aver fatto un affarone, con quella friggitrice ad aria, sappiate che il supermercato è ancora più contento di voi

(Getty)
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Al momento di riscattare quei punti accumulati con le carte fedeltà in mesi o anni di spese in questo o in quel supermercato, la sensazione è di aver fatto un affare eccezionale: si ricevono premi per acquisti che avremmo fatto comunque. Ma le carte fedeltà convengono molto di più alle aziende che le propongono, che si assicurano una clientela fedele, un fatturato più stabile, e una marea di dati da cui attingere informazioni sul comportamento dei consumatori. Il tutto a fronte di costi che alla fine sono più che compensati.

Le carte fedeltà non sono una cosa recente. Nella forma in cui le conosciamo, la classica tessera di plastica con un codice a barre, hanno iniziato a diffondersi a partire dagli anni Novanta, contestualmente all’informatizzazione dei processi. Una forma rudimentale – ma ancora comune tra gli esercenti più piccoli che non hanno sistemi informatici sofisticati – è quella di cartone, con i timbri, i bollini o i fori.

Non sono ovviamente un’esclusiva dei supermercati: se ne trovano nei negozi di qualsiasi settore, da quelli di elettronica a quelli di cosmetici, da quelli di fai da te alle farmacie. Per forza di cose le iniziative più diffuse e di successo sono però dei supermercati, dove le persone fanno acquisti ricorrenti e spendono una quota considerevole del proprio budget mensile.

Si vede anche dai dati della società di pagamenti Klarna, che di recente ha acquisito Stocard, una nota app che raccoglie sullo smartphone tutte le tessere dei negozi, in modo da non doverle portare sempre fisicamente nel portafogli: la società dice che in media i loro utenti hanno 19 carte fedeltà nei loro profili, dei settori più diversi, ma quelle più usate sono senza dubbio le tessere dei supermercati. A prescindere comunque dalle tipologie dei negozi, la finalità è sempre la stessa: tenersi stretti i clienti.

Il trucco è invogliare il consumatore a fare i suoi acquisti sempre nello stesso negozio facendogli accumulare dei vantaggi: sconti riservati, punti, raccolte premi, e via così, il cui valore di solito aumenta al crescere degli importi spesi. Nella testa del consumatore si crea quindi una sorta di circolo vizioso: spendere, per cercare di spendere sempre meno. Le strategie di fidelizzazione servono agli esercenti per garantirsi una clientela il più possibile stabile nel tempo, con due vantaggi. Il primo è che si assicurano ricavi stabili nel tempo, perché stabilizzando il numero di clienti si stabilizza anche la loro spesa complessiva, dunque gli incassi dell’azienda: è come creare una base fissa di fatturato, che può solo salire se si riesce a conquistare nuovi clienti mentre si mantengono quelli fedeli. È una certezza che aumenta sensibilmente il valore di un’azienda.

Il secondo grande vantaggio è che clienti fedeli spendono mediamente di più. Si presume infatti che faranno tutta la loro spesa nello stesso punto vendita, con un comportamento totalmente opposto a quei clienti che in marketing vengono definiti “opportunisti”, cioè che cambiano negozi seguendo le campagne promozionali indirizzate proprio ad attrarre nuovi consumatori: queste campagne sono faticose e costose per le aziende, in termini di sconti che devono garantire ma anche di comunicazione. Per questo preferiscono investire nel trattenere la clientela già conquistata. Ha un costo minore.

In questo un caso di scuola in Italia è la catena di supermercati Esselunga, che attraverso la sua carta Fidaty e le promozioni ad essa associate si è garantita una base clienti eccezionalmente leale, secondo gran parte degli esperti di marketing e della grande distribuzione. I “punti fragola” – si chiamano così – danno accesso a sconti e a un catalogo premi molto ricco e variegato, intorno a cui c’è sempre grande interesse e apprezzamento. Vicino alla scadenza delle campagne e all’azzeramento dei punti, che solitamente avviene ogni due anni, è molto frequente vedere sui social dibattiti sui premi ottenuti o su quali scegliere: elettrodomestici, biglietti del cinema, di parchi divertimenti o delle terme, buoni benzina, arredamento, e via così.

Una persona sentita dal Post che si occupa ad alto livello del programma Fidaty e dei suoi contenuti ha detto che il premio più richiesto in assoluto è il biglietto di ingresso per Gardaland, che se acquistato direttamente lì costa 56 euro mentre si può ottenere da Esselunga con 3mila punti fragola: una somma che per i clienti ha un valore di circa 27 euro di sconto sulla spesa. Per dare una dimensione: grazie ai circa 180mila visitatori che manda ogni anno con i punti fedeltà, Esselunga è il primo cliente nazionale di Gardaland. E tutto questo ha un grande ritorno economico.

Secondo i dati forniti al Post il 96 per cento di tutti gli incassi di Esselunga è associato a clienti che hanno una carta fedeltà. Significa la quasi totalità dei poco meno di 10 miliardi di euro che fattura ogni anno l’azienda è ottenuta anche grazie alla fidelizzazione, che tutto sommato ha un costo contenuto rispetto ai ricavi che garantisce: circa il 2 per cento del fatturato, che serve a coprire il costo vivo delle promozioni, quindi dei premi, dei buoni sconto e di tutte le iniziative collaterali.

Non si ottengono risultati del genere solo con le carte fedeltà, ovviamente: l’attaccamento del cliente si raggiunge grazie a punti vendita ben organizzati e ben forniti, con prezzi e servizi adeguati ai clienti che si vogliono attrarre e trattenere. Le carte fedeltà però hanno un ruolo anche in questo, perché grazie alla mole di dati che raccolgono permettono alle aziende di conoscere a fondo chi sono i loro clienti, cosa comprano, quando e con che frequenza. E quindi di fornire loro quello che vogliono.

Sandro Castaldo è docente di marketing della SDA Bocconi ed è un esperto della grande distribuzione. Dice che è principalmente su questi dati che le aziende del settore basano le loro strategie e le loro scelte: in un recente libro che ha curato (La fedeltà del cliente, edito da Egea) mostra che il 41 per cento di tutte le informazioni che le aziende raccolgono sui clienti deriva dall’analisi dei dati ricevuti tramite le carte fedeltà, seguite poi con grande distacco dai sondaggi e da altri sistemi.

Non è sempre stato così: le aziende hanno iniziato a raccogliere questi dati almeno 30 anni fa grazie alle tessere coi codici a barre, ma per anni in Italia non hanno saputo cosa farne. Le analisi sistematiche sono iniziate molto dopo, e in questo Castaldo dice che Esselunga fu abbastanza pioniera tra i supermercati italiani.

Con lo sviluppo della tecnologia le analisi su questi dati sono sempre più sofisticate e permettono di conoscere sempre più nel dettaglio il cliente, con l’obiettivo di offrirgli promozioni dedicate per fidelizzarlo.

Castaldo fa l’esempio di Tesco, nota catena di supermercati britannici, il cui dipartimento di marketing ha una sorta di mantra, esemplificativo ma efficace: «non offriamo sconti sulla carne ai vegetariani». Castaldo spiega che può sembrare un concetto molto basico, ma in realtà racchiude una logica di marketing estremamente sofisticata. Una persona potrebbe non comprare carne nel supermercato perché magari la compra dal macellaio: oggi però i sistemi riescono a capire se quella persona è davvero vegetariana analizzando gli altri acquisti che fa, se contengono carne o meno. «Se un cliente compra i tortellini, ma non la carne, allora ha senso fargli uno sconto. Se invece è vegetariano e gli fai uno sconto sulla carne, questo potrebbe allontanarlo», dice Castaldo.

I supermercati sanno praticamente tutto di noi, il che potrebbe risultare anche inquietante. Di recente ha suscitato reazioni ambivalenti un’iniziativa di Esselunga dello scorso dicembre, che ha proposto “Your EsseLover Year”. Il cliente poteva vedere quali erano stati i prodotti che aveva acquistato di più nel corso dell’anno, con lo stesso concetto che ha il Wrapped di Spotify, la presentazione dell’app di streaming musicale che alla fine di ogni anno fa vedere quali canzoni si sono ascoltate di più. Sono iniziative solitamente molto utili alle aziende perché i contenuti si prestano a essere ricondivisi sui social network, generando dibattito e pubblicità gratuita. Nel caso di Esselunga però una parte di pubblico ha percepito l’iniziativa come eccessivamente intrusiva.

Le analisi sui dati hanno anche un certo valore predittivo: riescono cioè a intercettare alcuni comportamenti prima che effettivamente avvengano, com’è il caso dell’abbandono totale del negozio. I sistemi rilevano che un cliente sta frequentando sempre meno il negozio, o che sta spendendo sempre meno, e quindi può iniziare a proporgli promozioni dedicate e particolarmente accattivanti allo scopo di non farlo andare via.

La persona di Esselunga sentita dal Post dice che c’è comunque un limite a quello che si può fare: «È evidente che non ci possiamo fare niente se un cliente ci abbandona perché sotto casa sua ha aperto un punto vendita più comodo». Allo stesso tempo c’è comunque una lezione da imparare: incrociando gli indirizzi dei clienti che hanno abbandonato con le aperture dei negozi della concorrenza si può presumere l’impatto che queste aperture stanno avendo in termini di perdita dei clienti.

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