Il Sudan ha interrotto i rapporti diplomatici con gli Emirati Arabi Uniti per il loro presunto sostegno alle Rapid Support Forces

Il capo della giunta militare del Sudan, Abdel Fattah al Burhan, alla COP29 di novembre del 2024 a Baku, in Azerbaijan (Sean Gallup/Getty Images)
Il capo della giunta militare del Sudan, Abdel Fattah al Burhan, alla COP29 di novembre del 2024 a Baku, in Azerbaijan (Sean Gallup/Getty Images)

Martedì il Sudan ha interrotto i rapporti diplomatici con gli Emirati Arabi Uniti, un piccolo regno del Golfo Persico che si sostiene sugli enormi proventi del petrolio e del gas, e li ha dichiarati uno «stato aggressore». Da tempo il Sudan li accusa di sostenere il gruppo paramilitare delle Rapid Support Forces (RSF), contro cui la giunta militare sudanese combatte da due anni una cruenta guerra civile. Gli Emirati Arabi Uniti hanno sempre negato il loro coinvolgimento nella guerra, ma diversi esperti delle Nazioni Unite e inchieste giornalistiche hanno ritenuto queste accuse credibili.

La decisione del Sudan arriva dopo tre giorni di bombardamenti da parte delle RSF a Port Sudan, importante città portuale dove si era insediato il governo sudanese in seguito alla presa di Khartum, la capitale, nell’aprile del 2023 (Khartum era stata poi riconquistata dall’esercito a fine marzo). Lunedì inoltre la Corte internazionale di giustizia, il principale tribunale delle Nazioni Unite, aveva archiviato una causa in cui il Sudan accusava gli Emirati Arabi Uniti di aiutare le RSF a compiere un genocidio delle popolazioni non arabe in Sudan, specialmente nella regione del Darfur. La Corte ha detto però di non avere giurisdizione sul caso perché gli Emirati Arabi Uniti non sono legati all’articolo 9 della Convenzione sul genocidio: non possono quindi essere citati in giudizio da altri stati per accuse di questo tipo.

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