Non è facile avere Aurelio De Laurentiis come presidente, dice Luciano Spalletti

Nel suo nuovo libro l'ex allenatore del Napoli lo chiama «Sultano», dice che ha «un ego troppo grande» e racconta un po' di aneddoti inediti

(Jonathan Moscrop/Getty Images)
(Jonathan Moscrop/Getty Images)

Martedì il Corriere della Sera ha pubblicato un estratto del nuovo libro biografico di Luciano Spalletti, commissario tecnico della Nazionale italiana di calcio ed ex allenatore del Napoli, con cui due anni fa vinse uno storico Scudetto, il primo dopo 33 anni: si intitola Il paradiso esiste… Ma quanta fatica, ed è stato scritto insieme al giornalista sportivo Giancarlo Dotto (è uscito oggi, il 6 maggio).

Nel passaggio riportato dal Corriere, Spalletti si sofferma in particolare su uno degli aspetti più emblematici e spesso rievocati della sua carriera recente: il rapporto conflittuale con il presidente del Napoli, il noto produttore cinematografico romano Aurelio De Laurentiis. «In tutta la mia storia a Napoli ho giocato due partite contemporanee: quella con gli avversari e l’altra con il presidente», ha detto Spalletti, che lo ha definito «un imprenditore capace, a cui la città deve tanto, ma con un ego molto, forse troppo grande». Sono due caratteristiche che in effetti ricorrono spesso negli aneddoti che riguardano De Laurentiis.

Da un lato è infatti considerato uno dei presidenti più abili e lungimiranti del calcio italiano, capace di raggiungere risultati sportivi ambiziosi pur mantenendo una gestione finanziaria attenta e virtuosa: nel suo ventennio di presidenza, cominciato nel 2004, ha portato il Napoli dalla Serie C, dove era finito per via di un fallimento, ai vertici della Serie A, vincendo tre Coppe Italia, due Supercoppe italiane e uno Scudetto. Dall’altro però viene spesso criticato per la sua tendenza a intervenire direttamente su molti aspetti, dalle scelte tecniche agli acquisti dei giocatori, generando spesso una certa insofferenza negli allenatori.

«Il presidente era quello che metteva la ceralacca sulle cose, su tutto, che certificava se una scelta era giusta o meno», ha scritto Spalletti parlando della grande invadenza di De Laurentiis, a cui ha attribuito ironicamente il soprannome «Sultano», con la maiuscola.

Spalletti ha raccontato anche che, nei due anni in cui allenò il Napoli, fu costretto a «fare battaglie per ogni questione», che fosse regalare una maglia ai giocatori che la chiedevano per i loro figli o la scelta dei posti in cui alloggiare. Uno degli aneddoti citati da Spalletti riguarda proprio quest’ultimo punto:

Il nostro albergo abituale era in corso Vittorio Emanuele. Arriva la Juventus e ci viene comunicato che dobbiamo cambiare casa. Uno sfratto esecutivo. Noi veniamo dirottati in un altro hotel in centro, scomodo per lo spostamento verso lo stadio, con i naturali dubbi che una mossa del genere può far nascere nei calciatori. Tipo quello che sulle nostre abitudini comandino gli avversari. Quell’anno, questo cambio forzato si verificò varie altre volte: avemmo a che fare con quattro-cinque strutture diverse.

Con toni un po’ piccati, Spalletti ha anche ricordato che De Laurentiis «non telefonò la sera che vincemmo il campionato, né all’allenatore, né ai giocatori, né al direttore, né al team manager», perché «troppo impegnato a giocare la sua partita personale sul prato festante del Maradona», lo stadio in cui il Napoli gioca le partite casalinghe.

Spalletti ha infine scritto che, se non fosse stato per gli atteggiamenti e per le molte ingerenze di De Laurentiis, avrebbe continuato volentieri ad allenare il Napoli.

Ancora oggi in tanti mi chiedono: «Ma se il presidente si fosse comportato diversamente allora, se avesse mostrato maggiore attenzione e sensibilità, avresti fatto una scelta diversa? Saresti rimasto al Napoli?». Domanda che ho sempre lasciato cadere. La risposta è sì, se ci fosse stato più rispetto umano, più dialogo e più apertura su cosa ci volesse per rivincere, alla fine sarei rimasto. In ogni caso, lo ringrazierò sempre per avermi permesso di allenare il Napoli.