Gianni Alemanno si lamenta del sovraffollamento delle carceri, da dentro
L'ex sindaco di Roma, attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia, ne ha parlato in una lettera indirizzata al ministro della Giustizia Carlo Nordio

Venerdì l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno ha inviato una lettera al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per denunciare il grave sovraffollamento delle carceri italiane. È un tema di cui Nordio ha parlato in più occasioni da quando è entrato in carica, circa due anni e mezzo fa, ma su cui finora il governo ha fatto molto poco; il problema coinvolge Alemanno in maniera diretta: dallo scorso 31 dicembre si trova infatti nel carcere di Rebibbia, a Roma, dove sta scontando una pena di 1 anno e 10 mesi per finanziamento illecito e traffico di influenze illecite nell’ambito dell’inchiesta nota come “Mafia Capitale”.
Nella lettera, firmata insieme a Fabio Falbo, un altro detenuto del carcere, Alemanno ha definito il sovraffollamento una situazione «insostenibile e contraria ai dettati costituzionali», e ha proposto una serie di misure per ridurre la popolazione carceraria e migliorare le condizioni di detenzione.
Una di queste è l’approvazione di una legge che renda automatico lo sconto di pena del 10 per cento che la legge italiana riconosce a chi vive in carceri sovraffollate, che attualmente viene concesso solo su richiesta individuale e che spesso viene negato dagli Uffici di sorveglianza, le strutture territoriali incaricate di controllare l’esecuzione della pena decidendo su benefici, misure alternative e altri aspetti legati alla detenzione.
Nella lettera Alemanno ha sottolineato anche che, nelle loro decisioni, spesso gli Uffici di sorveglianza non tengono conto della sentenza n. 56/2021 della Corte costituzionale, secondo cui i condannati che hanno più di settant’anni, se non rappresentano un pericolo sociale, possono finire di scontare la pena in casa. «In realtà qui a Rebibbia sono diversi gli ultraottantenni, anche non recidivi, che continuano a vedersi rigettare le loro richieste di accedere a questa misura», ha scritto Alemanno.
Secondo Alemanno, intervenire su questi problemi semplificherebbe il lavoro della magistratura di sorveglianza, contribuendo a ridurre «il carico di lavoro e quindi i ritardi e i dinieghi spesso incomprensibili» in modo più efficace di provvedimenti «drastici» come l’amnistia (un atto di grazia con cui il parlamento può cancellare un reato) e l’indulto (che invece si limita a condonare la pena inflitta in tutto o in parte, senza però cancellare il reato).
Alemanno ha inoltre segnalato una «drastica riduzione» dei colloqui telefonici concessi ai detenuti e criticato l’abuso della carcerazione preventiva – una misura cautelare che permette di trattenere una persona in carcere prima che venga celebrato il processo – da parte della magistratura. Ha anche citato il mancato rispetto della sentenza con cui, lo scorso anno, la Corte costituzionale ha riconosciuto alle persone detenute il loro diritto all’affettività e alla sessualità in spazi dedicati all’interno del carcere (i primi permessi erano stati accordati a febbraio).
Nel finale della lettera, Alemanno ha parlato per l’impegno per i detenuti di papa Francesco e ha fatto riferimento l’articolo 27 della Costituzione italiana, che stabilisce il fine rieducativo della pena.
«Le persone detenute sono un pezzo della società e sono un pezzo vulnerabile della stessa, come tante volte ci ha ricordato il compianto papa Francesco. Compiere un atto di riconoscimento delle condizioni insostenibili in cui vivono queste persone non vuol dire cedere a una tentazione permissiva contraria al principio della certezza della pena. Significa solo compiere una necessaria conciliazione tra questo principio e quello della finalità rieducativa della pena previsto dall’art. 27 della nostra Costituzione».
Nelle carceri ci sono ancora diecimila persone detenute in più rispetto alla capienza regolamentare, quasi sedicimila in più se si considerano anche tutte le celle inagibili per via di guasti e lavori di ristrutturazione in corso.
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