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  • Sabato 5 aprile 2025

Il Myanmar dopo il terremoto, per quel poco che se ne sa

Dopo una settimana i morti sono più di 3.300 e i soccorsi faticano: una giornalista di BBC è riuscita a entrare nel paese sotto copertura

Un monaco buddista osserva il ponte di Innwa, vicino a Mandalay, che è crollato
Un monaco buddista osserva il ponte di Inwa, vicino a Mandalay, che è crollato (EPA/NYEIN CHAN NAING)
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Una settimana dopo il disastroso terremoto di venerdì 28 marzo in Myanmar, il numero accertato di morti è salito a 3.354, e ci sono ancora centinaia di dispersi. Il Myanmar, dove nel 2021 ha ripreso il potere una giunta militare, è da allora un posto solitamente impenetrabile per i giornalisti stranieri ma negli scorsi giorni, molto caotici, alcuni di loro sono riusciti comunque a entrarci. Tra i primi c’è stata Yogita Limaye dell’emittente britannica BBC News che ha raggiunto Mandalay, la seconda città più grande del paese e la più vicina all’epicentro del terremoto.

Limaye è entrata nel paese sotto copertura, rischiando di essere arrestata dalla polizia segreta del regime. In diversi reportage video, l’ultimo pubblicato venerdì, la giornalista ha raccontato che le parti settentrionali e centrali della città sono state le più danneggiate e che in ogni strada che ha visitato c’era almeno un edificio completamente distrutto. Mandalay era una delle città più turistiche del Myanmar, quando il turismo non era stato compromesso dalla guerra civile, e negli ultimi anni erano stati costruiti molti nuovi palazzi in una fase di espansione della città.

L'interno di un tempio crollato a Mandalay

L’interno di un tempio crollato a Mandalay (AP Photo)

Un’analisi delle immagini satellitari, fatta dall’azienda statunitense Microsoft, ha calcolato che più di 515 edifici siano stati danneggiati per più dell’80 per cento, e altri 1.524 tra il 20 e l’80 per cento (quindi comunque in modo serio). Ci sono stati danni anche nei siti storici di Mandalay, tra cui il palazzo reale e il tempio buddista di Mahamuni che è uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio del paese.

Attenzione: il video contiene anche immagini forti

Soprattutto, il lavoro di BBC ha mostrato l’inadeguatezza nei soccorsi. Limaye ha raccontato che non c’erano risorse sufficienti e che quindi le operazioni e gli aiuti si sono concentrati sui punti dove si pensava fossero intrappolate più persone, trascurandone altri. Gli sfollati si sono rifugiati nei parchi e in altri luoghi all’aperto. Limaye ha visto che gli aiuti venivano distribuiti da piccoli furgoncini, e non erano sufficienti.

Nonostante abbia chiesto, e ricevuto, aiuti internazionali, la giunta militare (che ha rapporti tesi e difficili con la maggioranza dei paesi) è stata refrattaria ad accettare l’invio di soccorritori, privilegiando gli aiuti materiali. Finora ha consentito l’ingresso principalmente di personale da Cina, India e Russia.

In un paese che era già devastato prima del terremoto, il regime ha ostacolato e bloccato i soccorsi e gli aiuti alle (vaste) aree controllate dai ribelli. Inoltre le forze armate del paese, invece di essere mobilitate esclusivamente nella risposta umanitaria, hanno continuato gli attacchi ai ribelli, e quindi non hanno partecipato ai soccorsi quanto avrebbero potuto. Secondo le Nazioni Unite, hanno continuato a farlo anche dopo che mercoledì la giunta militare aveva annunciato una tregua (dopo quella già dichiarata dai principali gruppi ribelli), senza quindi rispettarla.

Dopo il colpo di stato del 2021 in Myanmar è iniziata una guerra civile: oggi molte aree sono controllate da gruppi dissidenti, mentre la giunta rimane in controllo principalmente delle grosse città.

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