In Myanmar l’esercito blocca i soccorsi nelle zone dei ribelli
Succede per esempio a Sagaing, la città più vicina all'epicentro del terremoto dove i primi soccorsi internazionali sono arrivati solo lunedì

Dopo il grave terremoto che venerdì ha colpito il Myanmar, i soccorsi medici e gli aiuti umanitari hanno cominciato ad arrivare nella capitale Naypyidaw e in altre città come Mandalay. Ma a Sagaing, la più vicina all’epicentro, la prima squadra di soccorsi internazionali è arrivata soltanto lunedì, tre giorni dopo il disastro, mentre quasi tutti i camion di aiuti continuano a rimanere fermi ai posti di blocco.
Questo avviene perché Sagaing è uno dei centri della resistenza dei ribelli che da quattro anni combattono il regime militare che governa il Myanmar, in una guerra civile sanguinosa e brutale. Dopo il terremoto il regime, che controlla le grandi città, ha monopolizzato la gestione degli aiuti e sta bloccando o rallentando i soccorsi nelle zone dove i ribelli sono attivi, come appunto Sagaing.
Martedì l’alleanza delle tre delle principali milizie ribelli radicate nel nord del paese ha proclamato un cessate il fuoco unilaterale di un mese – dicendo che non inizieranno nuovi attacchi, ma risponderanno comunque a quelli delle forze governative – proprio per facilitare la consegna degli aiuti. È la stessa posizione del governo di unità nazionale, che rappresenta la vecchia amministrazione civile e guida la lotta armata in esilio, che domenica ne aveva proclamato un altro di due settimane, per la stessa ragione.
Sagaing è una città di circa 300 mila abitanti, nel centro del Myanmar. Si trova praticamente sopra l’epicentro del terremoto di magnitudo 7.7 che ha colpito il paese, facendo almeno 2.719 morti. Secondo un modello del Servizio Geologico degli Stati Uniti, un’agenzia indipendente del governo statunitense, potrebbero arrivare a 10mila in tutto il Myanmar. A Sagaing l’80 per cento degli edifici è stato distrutto e alle difficoltà generali si aggiungono anche i blocchi del governo.
Il Myanmar è governato da un regime militare piuttosto duro, che limita l’accesso ai giornalisti internazionali in tutto il paese, e soprattutto nelle zone controllate dai ribelli. Questo rende estremamente difficile ricostruire quello che sta succedendo.
«L’esercito ha messo posti di blocco dappertutto, rendendo impossibile entrare», ha detto al New York Times Wai Zan, un medico che lavora all’ospedale di Sagaing. Nell’ospedale i pazienti ancora vivi vengono messi vicini ai corpi dei morti, con il rischio di evidenti problemi sanitari. Aye Moe, una persona che vive a Sagaing, ha detto al Guardian che i morti sono così tanti che al cimitero ciascuna tomba viene riempita con almeno dieci cadaveri.
L’intera regione di Sagaing è da quattro anni uno dei centri di attività dei ribelli del Myanmar, che si rivoltarono contro la giunta militare dopo che questa prese il potere con un colpo di stato violento. I militari risposero alla rivolta punendo tutta la popolazione: già prima del terremoto varie località nella regione di Sagaing erano prive di elettricità e di acqua pulita. La connessione internet è sistematicamente rallentata o bloccata.
L’esercito ha continuato a bombardare le zone controllate dai ribelli anche dopo il terremoto: BBC ha parlato di attacchi su Naung Cho, nel Myanmar settentrionale, in cui sono state uccise 7 persone. I ribelli invece hanno parlato di attacchi anche attorno alla città di Chang-U, e appunto nella regione di Sagaing.



