A cosa servono i libri che non piacciono ai genitori

«Se molto di quello che la letteratura racconta fa paura, si può essere tentati dal desiderio di tenere lontani i nostri figli. Ma siccome l’amore carnale – che è cosa giusta e naturale – e la violenza – che è invece terribile e perversa – fanno parte della realtà, quale torto facciamo loro, impedendogli la conoscenza che la letteratura può offrire?»

Una ragazza legge sulla spiaggia di Bari (Donato Fasano/Getty Images)
Una ragazza legge sulla spiaggia di Bari (Donato Fasano/Getty Images)
Ivo Grande
Ivo Grande

Insegna italiano e latino. Ha collaborato alla stesura dell’antologia per il primo biennio delle scuole superiori Più vasto del cielo (Sanoma Italia, 2025). Conduce laboratori di scrittura per ragazzi. Suona la chitarra e canta nei brianeVo, band indie-rock toscana.

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Caro genitore di Sofia,
ho già risposto all’email in cui mi chiedeva di sollevare sua figlia dal compito di leggere Dio di illusioni, il romanzo di Donna Tartt che ho recentemente assegnato a tutta la classe. Le ho scritto che certo, va bene, Sofia si astenga pure dalla lettura, se i genitori ritengono che il libro possa turbarla. Via email non scriverò altro a questo proposito. Il problema, però, è che mi è rimasto un buco dentro, all’altezza dello stomaco. Abbia pazienza, bisogna che me ne liberi, altrimenti non ci dormo la notte. E siccome, nelle ultime settimane, di notti insonni ne ho accumulate diverse per varie ragioni, preferisco evitare di aggiungerne altre alla collezione. Le scrivo qui sul Post, Lei non leggerà, ed entrambi ci eviteremo irritazioni e fastidi.

L’ho liberata dalla preoccupazione che le pagine di Donna Tartt possano turbare l’animo di sua figlia. Mi viene però da domandarle: come crede che Sofia potrà affrontare lo studio della letteratura nei prossimi anni? Lei è spaventato dalla presenza, fra le pagine di Donna Tartt, di descrizioni che teme vivide e realistiche al punto da ferire la sensibilità di sua figlia. Ma la letteratura fa questo da sempre: narra e descrive. E sarebbe pericoloso limitare la lettura di alcuni libri perché si pensa che possano nuocere a qualcuno. Abbiamo sperimentato la censura in passato e converrà, spero, che sia stato un ben triste esperimento.

Le domando questo. Sofia oggi è una ragazza di quindici anni. Serena, ironica, con uno sguardo vivo, spesso attraversato dai lampi di un’intelligenza curiosa e originale. Dati i timori che Lei prova, cosa accadrà quando Sofia dovrà studiare i versi di Catullo, compresi quelli omoerotici o quelli dedicati alla pederastia (che – per fortuna – oggi si studiano integralmente, liberi dalla censura di un tempo)? Quali preoccupazioni smuoveranno, in Lei genitore, le novelle di Boccaccio che raccontano l’attrazione carnale e disperata di Lisabetta da Messina per il cadavere del proprio fidanzato o la libidine erotica di Rustico, che propone un rapporto sessuale all’atea Alibech per convincerla dell’esistenza di Dio? E le rime petrose di Dante, così ruvidamente realistiche nel descrivere quanto può essere terribile il tormento che nasce dal desiderio erotico di un altro corpo, tale da poter indurre chi lo prova a compiere gesti violenti?

Naturalmente non ho mai incontrato Dante e Boccaccio, se non nelle pagine delle loro opere, ma sono abbastanza sicuro che non siano stati degli individui brutali come alcuni dei personaggi che hanno raccontato o di cui hanno portato le vesti per artificio letterario. Eppure, sono convinto che se c’è una ragione per cui hanno scritto, è portare agli esseri umani il “fuoco”: non quello dell’inferno, ma quello della conoscenza. Una conoscenza delle cose reali che ha portato chi si è accostato alle loro opere a interrogarsi sulla realtà, cercando risposte, andando in cerca di altri modelli di esperienza rispetto ai propri. Permettendo così al sé precedente, quel sé che quelle pagine non le aveva ancora lette, di conoscere un po’ meglio gli altri e di conseguenza anche sé stesso.

Se molto di quello che la letteratura racconta fa paura, si può essere tentati di annullarlo e dal desiderio di tenere lontani i nostri figli. Ma siccome l’amore carnale – che è cosa giusta e naturale – e la violenza – che è invece terribile e perversa – fanno parte della realtà, quale torto facciamo ai nostri figli impedendo loro la conoscenza che la letteratura può offrire?

Sto continuando a scriverle ed è già tardi. Farei meglio ad affrettarmi a chiudere se voglio tentare di preservarmi le poche ore di sonno che mi sono necessarie. Ma questa conversazione che sto tenendo con Lei, con Lei che non può sentirmi né leggermi, ha innescato dentro me altre domande a cui vorrei cercare risposte, pur consapevole che saranno necessariamente parziali.

Negli ultimi anni si sono accesi dibattiti sull’opportunità o meno di intervenire sulle pagine di alcuni autori. Si tratta di nomi celebri e apprezzati, penso a Roald Dahl, le cui opere sono recentemente state emendate dall’editore Puffin Books, che in accordo con gli eredi ha cancellato termini come “grasso” e “brutto” che avrebbero potuto urtare la sensibilità di categorie sensibili di lettori. A volte si è tentati dalla pulsione di censurare, non parole che potrebbero essere ritenute offensive, ma contenuti oggettivamente inaccettabili: è il caso di alcuni passi antisemiti presenti in Dostoevskij, soprattutto nel suo Diario di uno scrittore. In altri casi qualcuno ha proposto di censurare Nabokov per il tema della pedofilia presente in Lolita e propositi analoghi sono affiorati, per esempio, relativamente a Céline, Dickens o Shakespeare. Le ragioni della censura sono molteplici e variano di caso in caso.

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Proprio ieri un collega mi parlava di quanto si sarebbe sentito più sereno se sugli scaffali delle biblioteche non fosse esistito nessun libro di Cèline. È un collega con cui discuto spesso, ma questa volta gli ho letto in volto un timore che me lo ha reso meno antipatico e più umano. Riconoscevo quel timore, anche se non lo condividevo. Certo, Céline era antisemita, lo sappiamo. Ma era un essere umano e un grande scrittore. Lo stesso Boccaccio, che è considerato una sorta di femminista ante litteram a causa della dedica alle donne presente nel Decameron o per l’Elegia di Madonna Fiammetta, oggi viene al contempo accusato per il femminicidio perpetrato da un fantasma nella novella Nastagio degli Onesti.

Insomma, la faccenda è davvero complicata e meriterebbe un approfondimento più serio di quello di queste poche righe, ma credo ugualmente di poter prendere posizione dichiarando che sono contrario a ogni tipo di censura. Sempre. In ogni caso. Con buona pace del mio collega, le opere di Céline esistono ed entrano a buon diritto nell’ambito della grande letteratura, nonostante il suo antisemitismo, e se anche Boccaccio avesse approfittato di Nastagio per far emergere le sue pulsioni misogine, come alcuni affermano, sono certo che questo non sarebbe un motivo valido per non leggerlo. A maggior ragione, invece, bisognerebbe continuare a sondare le sue opere: sarebbe un’occasione per capire meglio lui, il suo ruolo di intellettuale, il suo e il nostro mondo. Un’altra valida ragione per leggere le pagine che ci danno fastidio e portarle dentro di noi, “com-prendendole”, appunto. Senza mai smettere di farci domande. Sugli autori che leggiamo e su noi stessi.

«Tutto ciò che è umano mi interessa», scriveva Terenzio più di duemila anni fa. Credo che la questione stia un po’ tutta qui.

Tenendo bene a mente le parole di Terenzio, torno a Donna Tartt e al suo Dio di illusioni, che Le ha fatto tanta paura. Ho ripensato alle ragioni per cui quel bellissimo romanzo possa averla spaventata. Si racconta di un gruppo di allievi di un college del Vermont. Un gruppo elitario di pochi giovani, ricchi e viziati, che pendono dalle labbra di un “cattivo maestro”, un professore di greco antico che li sprona, allusivamente, a porsi al di sopra della morale comune. I ragazzi iniziano allora a cogliere l’invito del loro insegnante, provando a simulare riti dionisiaci. È forse stato questo a spaventarLa? Il fatto che fra le righe, in quei frangenti, si alluda all’assunzione di droghe? O ad atti di violenza? O forse, ancora di più, l’ha spaventata la splendida ambiguità di certi personaggi, insieme carismatici e crudeli, amorevoli e spietati, sensibili e feroci? Se la ragione della sua paura fosse legata a quest’ultimo aspetto, potrei capirla, ma credo al contempo che il cuore del nostro discorso stia proprio qui: lei ha temuto che sua figlia potesse riconoscersi in qualcuno di questi personaggi.

È questo che ha temuto, forse.

Pensi un po’: io invece avrei osato sperarlo.

L’avrei sperato perché credo che la letteratura sia soprattutto questo, come le dicevo prima: uno strumento di conoscenza. Riconoscendoci in alcuni aspetti di un personaggio che percepiamo come malvagio e lontano da noi, possiamo forse arrivare ad accettare una grande verità e cioè che il bene e il male non appartengono rigidamente a due sfere separate e prive di punti di contatto, ma i loro contorni sono sfumati e permeabili e ci riguardano entrambi. Se mi sorprendo a ritrovarmi in parte in un personaggio malvagio, forse vuol dire semplicemente che sono un essere umano e che, in generale, anche i “cattivi” lo sono. Non crede anche Lei? Non crede, forse, che queste sue paure rischino di rendere sua figlia un po’ meno libera? Escludendola dalla possibilità di interrogarsi sui problemi morali posti dal libro che le avevo assegnato, non crede di averle tolto l’opportunità di compiere qualche piccolo passo in più nella comprensione di sé, degli altri e del mondo in cui viviamo?

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