Il suicidio di un’attrice ha riaperto il dibattito sulle aspettative sulle celebrità in Corea del Sud

Da anni Kim Sae-ron faticava a lavorare per le critiche seguite a un incidente che provocò mentre guidava in stato di ebbrezza

Un telegiornale coreano annuncia la morte di Kim Sae-ron (AP Photo/Ahn Young-joon)
Un telegiornale coreano annuncia la morte di Kim Sae-ron (AP Photo/Ahn Young-joon)

Domenica l’attrice sudcoreana Kim Sae-ron, che fino a tre anni fa era considerata una delle più amate e richieste del paese, è stata trovata morta nella sua casa a Seul. Kim aveva 24 anni, lavorava come attrice da quando ne aveva 9, e secondo le indagini della polizia si è uccisa. Nel 2022 era stata multata per aver causato un incidente mentre guidava in stato di ebbrezza, e da allora la sua reputazione era molto peggiorata, al punto che faceva fatica a trovare nuovi ingaggi. Addirittura alcune scene in cui compariva nella serie Netflix I segugi erano state tagliate.

Al contempo, Kim da mesi veniva criticata pesantemente, online e sui media: il giornalista sudcoreano Kim Tong-hyung racconta che «giornali e siti web la criticavano ogni volta che veniva vista a una festa con gli amici, o quando si lamentava della mancanza di lavoro e rispondeva ai commenti sgradevoli sui social media. Una volta è stata anche criticata per essere stata vista sorridere mentre girava un film indipendente».

In Corea del Sud si sta parlando molto della sua morte: non è la prima volta che una celebrità si uccide per via dell’eccessiva pressione legata alla sua fama, e secondo gli esperti difficilmente sarà l’ultima. Il paese è noto, in generale, per l’enorme spirito di competizione e perfezionismo applicato all’istruzione e alla carriera, e ha uno dei tassi di suicidio più alti tra i paesi sviluppati, in particolare tra i ventenni. Alle persone che diventano abbastanza famose da essere considerate “idols” (“idoli”), che si tratti di attori o musicisti k-pop, vengono poi applicati standard ancora più difficili da soddisfare.

I loro errori, o perlomeno quelli che vengono socialmente considerati tali, raramente vengono perdonati. Questo succede perché i fan proiettano su di loro un’immagine di perfezione quasi disumana, e spesso si considerano offesi personalmente se una persona per cui hanno investito grandi somme di denaro (tra biglietti di film o concerti, gadget ed eventi) non si rivela all’altezza di questi standard.

– Leggi anche: L’epoca d’oro dei fandom

Secondo il critico Lim Hee-yun, questa particolare severità nei confronti dei comportamenti delle celebrità si è originata dopo la fine della guerra di Corea, negli anni Cinquanta, quando il paese cominciò ad attraversare un rapido sviluppo economico. «Durante questo periodo c’era una tendenza a provare invidia e gelosia nei confronti delle celebrità che, pur non contribuendo direttamente all’industrializzazione della nazione, godevano di una vita agiata», spiega Lim. «Questo sentimento portava spesso a dure critiche per i loro errori o le loro malefatte».

Nel tempo, il rapporto tra fan e celebrità si è sviluppato in una direzione diversa rispetto a quanto è successo in occidente, «dove l’industria prende la maggior parte delle decisioni e il pubblico rimane un consumatore passivo», spiega il Korea Herald. Nel caso del k-pop, il gigantesco mercato musicale sudcoreano, i fan «interagiscono più attivamente con il sistema di produzione di intrattenimento, e ritengono di essere loro a fornire fama e potere ai cantanti (…). Gli idol sono visti più come prodotti che come esseri umani».

In generale, nel paese viene spesso dato per scontato che gli idol debbano dedicare tutto il loro tempo e le loro attenzioni alla carriera e al rapporto con i fan: pure avere una relazione è vista come una pericolosa distrazione, se non un tradimento. Anche per questo, spesso le stesse agenzie per cui lavorano le celebrità impongono loro condizioni molto rigide e limitanti della libertà personale fin dall’inizio della carriera: possono stabilire orari di coprifuoco alle loro uscite, limiti a quello che gli idol possono pubblicare sui social network e anche il divieto di avere relazioni sentimentali. Questo ha, naturalmente, delle ripercussioni anche pesanti sulla salute mentale delle celebrità.

Nel 2018, per esempio, la cantante e attrice Goo Ha-ra fece causa all’ex fidanzato Choi Jong-bum, che l’aveva minacciata di caricare online un video in cui lei era nuda: lui fu condannato a un anno e mezzo di carcere e tre di libertà vigilata, ma lei venne insultata sui social network per mesi per la sola esistenza del video, che non fu mai mostrato al pubblico. La sua reputazione peggiorò al punto che l’agenzia che gestiva la sua carriera da musicista solista decise di non rinnovarle il contratto. Lei si uccise nel novembre del 2019. Una sua cara amica, la celebre cantante Sulli, aveva fatto lo stesso un mese prima: anche lei era stata pesantemente insultata online per via della sua relazione pubblica con il rapper Choiza. Soffriva da tempo di depressione e attacchi di panico, e ne aveva parlato spesso apertamente.

Nel caso di Kim Sae-ron, il padre ha accusato uno youtuber specializzato in contenuti di gossip per la sua morte, sostenendo che i video sulla figlia le avevano causato forti disagi emotivi. In generale, ogni volta che succede un caso simile si parla del ruolo dei media, dai giornali tradizionali ai creatori di contenuti online, per i toni provocatori e scandalistici con cui trattano quasi sempre le storie che hanno a che fare con le celebrità locali.

– Leggi anche: Il k-pop è sempre meno “k”