Nelle valli piemontesi ci si inventa di tutto per rimediare al taglio dei bus
Per evitare lo spopolamento, i sindaci hanno messo in piedi soluzioni creative e costose, come servizi di pullmini porta a porta o il recupero di vecchie ferrovie dismesse
di Isaia Invernizzi
Mancano due minuti alle nove, ha appena finito di piovere e il pullmino grigio è già in piazza. Come ogni mercoledì, ad attenderlo c’è la signora Liliana con la borsa sottobraccio. È sempre puntuale, dice Bruno Tonso, un volontario di 79 anni, prima di aprire il portellone e aiutarla a salire. In poco più di dieci minuti si copre la distanza tra Alice Superiore (si pronuncia Àlice) e il mercato di Vistrorio, uno dei pochi rimasti in Valchiusella, a mezz’ora di auto da Ivrea, in provincia di Torino.
Tonso siede al lato del passeggero, alla guida c’è Riccardo Ferrari, 77 anni, un altro volontario che ogni mercoledì va a prendere le persone anziane – casa per casa – e le porta al mercato. Il pullmino è del comune, il servizio è pubblico e gratuito: è un’invenzione dei sindaci per rimediare al taglio costante del trasporto pubblico. «Senza di voi non saprei come fare la spesa: la vita sarebbe tutta un’altra cosa», dice Liliana durante il viaggio.
Dal centro di Alice Superiore passano circa due bus al giorno, uno al mattino e uno al pomeriggio. Circa due perché le corse e gli orari cambiano spesso. Dipendono dall’apertura delle scuole, dalle festività, talvolta dalle coincidenze che saltano, dai guasti, dagli scioperi. Da tempo gli studenti della Valchiusella e i loro genitori si lamentano dei disservizi, le persone anziane invece non hanno nemmeno provato a protestare: sanno che per spostarsi più a valle o a Ivrea devono arrangiarsi. Chi ha un’auto ha meno problemi, tutti gli altri devono farsi accompagnare per fare qualsiasi cosa. Le faccende più urgenti e sentite sono la spesa e le visite in ospedale.
Fino a pochi anni fa c’erano più autobus e meno necessità di spostarsi. In quasi tutti i paesi della valle, anche i più piccoli, non mancavano negozi di alimentari e medici. Ora molti hanno chiuso, così come gli ambulatori. Se ne sono andate anche le banche, i bar, le Poste, i barbieri e le parrucchiere, le mercerie, le ferramenta.
Pur con alcune peculiarità, la Valchiusella non è un’eccezione: dagli anni Sessanta l’industrializzazione, l’aumento del tasso di scolarizzazione, la crescita delle città e la globalizzazione degli stili di vita hanno favorito lo spopolamento nella maggior parte delle cosiddette aree marginali italiane, come le montagne e le valli. Lo spopolamento è stato accompagnato dalla diminuzione dei servizi, che a sua volta ha favorito ulteriore spopolamento, in un rapporto tra effetti e cause difficile da sbrogliare. Al di là di speranze e proclami, nessuno finora sembra aver trovato un modo per invertire questa tendenza.
Il trasporto pubblico locale è diventato via via meno sostenibile, e i governi nazionali che si sono succeduti negli ultimi trent’anni non hanno fatto molto per evitare i tagli. Anzi, i fondi per il trasporto pubblico sono stati tagliati più volte quando c’era bisogno di risparmiare soldi pubblici.
Nel 2012 il Piemonte cancellò un quarto della sua rete ferroviaria, 11 linee. «Troppo costose», disse l’allora presidente, il leghista Roberto Cota. Le linee furono sostituite dalle corse degli autobus, molte delle quali negli ultimi dieci anni hanno subìto lo stesso trattamento. Anche questo servizio, come all’epoca le linee ferroviarie, è considerato troppo costoso. Meno bus ci sono e meno persone li prendono: il risultato è che spesso gli autisti si fanno l’intera tratta da soli, senza passeggeri.
Il pullmino guidato da Tonso e Ferrari è un tentativo di mantenere un servizio di trasporto pubblico più flessibile, dedicato alle persone anziane. Molti altri comuni di altre valli hanno messo in piedi progetti simili. A volte sono velleitari, destinati a durare poco, altre volte sono accolti con entusiasmo dalla popolazione e vengono confermati.
In Valchiusella l’occasione si presentò nel 2007, quando fu proposto ai comuni piemontesi di acquistare a poco prezzo i pullmini utilizzati per trasportare gli atleti delle Olimpiadi invernali del 2006, dismessi alla fine dei Giochi. Arrivò un Doblò a metano quasi nuovo, costato solo cinquemila euro, sostituito poi con un pullmino Nissan elettrico a sette posti. Sulla fiancata ha la scritta “comune di Val di Chy” (si pronuncia “Chi”), perché nel frattempo è stata votata la fusione dei tre comuni precedenti – Alice Superiore, Pecco e Lugnacco – diventati frazioni. Qui in totale abitano poco più di mille persone.
Ogni mercoledì il pullmino passa nelle frazioni per portare le persone anziane al mercato di Vistrorio. Ormai i volontari che si alternano alla guida sanno dove abitano e le passano a prendere di fronte a casa. Per chi ne fa richiesta può passare anche il lunedì per andare al mercato di Castellamonte e il venerdì verso Ivrea. Il pullmino elettrico viene ricaricato a una colonnina alimentata dall’energia prodotta da pannelli solari. «È diventato complicato evitare che si trasferiscano non solo le famiglie, ma anche gli anziani: preferiscono avvicinarsi ai figli o comunque spostarsi dove ci sono più servizi», dice Remo Minellono, il sindaco di Val di Chy.
Il comune le sta tentando tutte per evitare lo spopolamento. È stato fatto un accordo con Poste Italiane a cui è stato messo a disposizione gratuitamente un piano del municipio per evitare il taglio dell’ufficio postale, mentre alcuni stabili comunali sono stati proposti – gratis, ovviamente – ai medici di famiglia per convincerli a rimanere. La fusione ha permesso di organizzare meglio gli uffici pubblici. L’amministrazione ha vinto un bando del PNRR, il grande piano di riforme e investimenti finanziato con fondi europei, per costruire un nuovo asilo nido. Un altro bando dedicato ai comuni turistici ha permesso di acquistare altri due pullmini elettrici. Val di Chy è stato uno dei primi comuni della zona a installare la fibra ottica.
Soldi e progetti non bastano. «Bisogna trovare chi guida quei pullmini, e all’asilo servono maestre e soprattutto bambini», continua Minellono. «Ci definiscono “aree marginali”, un termine quasi caritatevole. Ma non abbiamo bisogno di carità o elemosina: dobbiamo solo essere messi nelle condizioni di amministrare guardando avanti, non a un passato che non tornerà più. Invece ci tocca subire le scelte: a noi dopo la fusione sono stati tagliati più soldi di quelli che ci avevano promesso».
La Valsesia – nella zona settentrionale della provincia di Vercelli – ha fatto anche di più: negli ultimi anni si è fatta carico di organizzare e pagare autobus per collegare la Val Sermenza e la Val Mastallone oltre che due frazioni del comune di Varallo, altrimenti raggiungibili solo in auto. Un impegno notevole, anche economico. L’obiettivo è garantire un servizio pubblico minimo per studenti, lavoratori e turisti. «Se non ci avessimo pensato noi, avrebbero cancellato le linee e ci troveremmo senza autobus», dice Francesco Pietrasanta, sindaco di Quarona e presidente della comunità montana. È stato previsto anche un servizio a chiamata – chiamato Flexibus: ogni corsa costa 10 euro – per coprire gli orari non compresi dalle corse ordinarie.
Nel resto della valle i problemi aumentano di anno in anno. Le corse degli autobus sono gestite dall’azienda pubblica Atap e da un privato, l’azienda Baranzelli, e a causa dei tagli dei contributi pubblici hanno fatto venire meno alcune agevolazioni. Per esempio c’era un accordo che permetteva agli studenti della valle di salire sugli autobus di entrambe le aziende con un solo abbonamento. Da quest’anno questa possibilità non c’è più e gli studenti sono costretti a comprare biglietti o carnet aggiuntivi oltre all’abbonamento annuale o mensile, con un aumento dei costi per le famiglie.
Pietrasanta teme più che altro che la graduale scomparsa dei servizi convinca le aziende a spostarsi. La più nota della Valsesia è Loro Piana, uno dei marchi italiani del tessile di lusso più conosciuti al mondo. Alle difficoltà dei collegamenti interni si aggiungono quelle degli spostamenti verso l’esterno della valle, in particolare verso le città di Novara e Milano. Basta poco – un’azienda anche piccola che chiude e si sposta – per aggravare lo spopolamento già in atto. «Servirebbe una riforma regionale del trasporto pubblico: il sistema attuale si basa su un modello vecchio, non al passo coi tempi», continua Pietrasanta. «Bisogna tenere conto dello sviluppo turistico e delle nuove esigenze delle aziende e dei lavoratori».
Più a sud, in Val Tanaro, al confine tra il Piemonte e la Liguria, Giorgio Ferraris si è messo in testa di recuperare la ferrovia che collegava Ceva a Ormea, dismessa dalla Regione nel 2012. Ferraris è il sindaco di Ormea, un comune di circa 1.500 abitanti. È al suo settimo mandato.
Mentre sulle altre linee dismesse crescevano le erbacce o venivano costruite piste ciclabili, la ferrovia in Val Tanaro è stata sempre ben tenuta e pulita. La scusa era far passare un treno storico a vapore, una o due volte all’anno. In realtà Ormea finanziava parte del mantenimento nella speranza che prima o poi tornasse il collegamento ferroviario. «È stato sempre un mio pallino: per fortuna gli altri sindaci mi hanno sempre lasciato fare», dice Ferraris.
Negli ultimi mesi si è fatta avanti Arenaways, una compagnia ferroviaria che già nel 2010 aveva tentato di forzare il monopolio di Trenitalia nei collegamenti tra Torino e Milano, senza grande successo. Il progetto di riapertura di due linee locali – oltre alla Ceva-Ormea c’è anche la Cuneo-Saluzzo-Savigliano – è stato accolto dalla Regione che ha firmato un nuovo contratto di servizio. L’avvio delle corse è previsto dal 2028 anche se prima servono lavori di manutenzione in capo a RFI, l’azienda proprietaria delle infrastrutture ferroviarie italiane. Servono molti soldi, 32 milioni di euro, che RFI ha chiesto al ministero dei Trasporti.
Ferraris è fiducioso anche perché durante le riunioni fatte negli ultimi mesi ha spiegato l’importanza della ferrovia in una valle dove il servizio degli autobus è scarso. Negli ultimi anni Riviera Trasporti (RT) Piemonte è stata alle prese con grosse difficoltà economiche dovute a debiti accumulati negli anni. Nel 2023 l’azienda è stata salvata dal fallimento, ma i problemi sono continuati. In pratica il servizio funziona a intermittenza: spesso i pullman non partono o si fermano perché viene fatta poca manutenzione, saltano le corse, gli autisti si licenziano perché vengono pagati poco.
Abitare in Val Tanaro è diventato molto più scomodo. Ferraris se n’è accorto da tempo parlando con persone in procinto di trasferirsi altrove: «Vent’anni fa non sarebbe mai venuto in mente a nessuno di trasferirsi per permettere ai figli di studiare. Ora questo sacrificio viene accettato. I paesi a meno di trenta minuti da una città resistono, quelli più lontani si spopolano. Eppure qui si vive bene, basterebbe avere qualche servizio in più, non continuare a tagliarli».
Governare le trasformazioni di territori come la montagna non è facile, a maggior ragione in un’epoca di grandi cambiamenti che coinvolgono anche le città. Grazie a internet, chi abita nelle cosiddette aree interne non è più tagliato fuori dalla cultura urbana e dalla modernità come in passato, eppure continua ad avere meno occasioni rispetto a chi vive nelle aree urbane. Durante l’epidemia da coronavirus molti sociologi e urbanisti si convinsero che lo sviluppo tecnologico – uno dei fattori che negli anni Sessanta e Settanta favorirono la migrazione dalle montagne e dalle campagna alle città – avrebbe in qualche modo avviato un processo inverso, dalle città alle montagne. Finora è accaduto solo in minima parte, nonostante molte città italiane siano più respingenti per via del costo delle case, degli affitti e della vita in generale.
Secondo Marco Bussone, presidente dell’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani (UNCEM), il processo di ritorno è ostacolato dal confronto quasi inesistente tra gli amministratori delle città e quelli dei comuni più periferici. Le città tendono ad accentrare i servizi, escludendo tutto il resto: le politiche del trasporto pubblico sono un esempio evidente di questo orientamento. «II fondo pubblico che serve a pagare i trasporti viene speso al 90 per cento per le aree urbane», dice Bussone. «Servirebbero più soldi, ma servirebbe anche spenderli meglio oltre che pensare a un nuovo modello, un’integrazione tra autobus e servizi in sharing. Lo dico in maniera provocatoria: una fermata un po’ più distanziata tra due quartieri non è un danno come non avere autobus in una valle di 70 chilometri. Non serve creare contrapposizioni tra chi ha e chi non ha: mantenere il servizio pubblico anche nelle zone interne può migliorare le città e renderle più vivibili».