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  • Lunedì 27 maggio 2024

La gara a non fare niente, a Seul

In Corea del Sud, dove i ritmi di lavoro sono spesso eccessivi, decine di concorrenti si sono riuniti per fissare il vuoto per 90 minuti: vinceva chi aveva il battito cardiaco più regolare

I tappetini stesi per i partecipanti, stesi davanti ai cancelli Gwanghwamun del palazzo Gyeongbokgung, a Seul (thespaceoutcompetition/Instagram)
I tappetini stesi per i partecipanti, stesi davanti ai cancelli Gwanghwamun del palazzo Gyeongbokgung, a Seul (thespaceoutcompetition/Instagram)
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Domenica a Seul, la capitale della Corea del Sud, si è tenuta l’ottava Competizione internazionale di distrazione: circa 80 partecipanti da vari paesi si sono riuniti per distrarsi e non fare assolutamente nulla per 90 minuti. Non si poteva parlare, dormire, guardare il telefono o leggere, ma solo fissare il vuoto. Vinceva chi aveva il battito cardiaco più regolare, fra i dieci finalisti selezionati dal pubblico: in quest’edizione la vincitrice è stata Valentina Vilches, una donna cilena che vive da anni a Seul.

La competizione è stata ideata nel 2014 dall’artista sudcoreana conosciuta come Woopsyang, e negli anni è stata organizzata anche a Tokyo, Pechino e Rotterdam. L’artista ha spiegato di aver pensato alla competizione dopo essersi resa conto che quando non passava il tempo in un’attività specifica sentiva molta ansia. Si rese quindi conto che soffriva per l’abitudine di paragonare la sua vita a quella degli altri: la cultura coreana in effetti spinge le persone a studiare e lavorare molto intensamente, anche arrivando a sacrificare la propria salute fisica o mentale. Con la Competizione di distrazione Woopsyang cerca proprio di ribaltare questa mentalità, incoraggiando le persone ad apprezzare il tempo in cui non lavorano.

Un sondaggio governativo del 2022 aveva rilevato che un terzo delle persone sudcoreane fra i 19 e i 34 anni aveva sofferto di burnout, cioè l’esaurimento connesso allo studio e al lavoro, nell’ultimo anno. La motivazione principale dell’esaurimento era l’ansia (37 per cento dei casi), seguita dall’eccessivo carico di lavoro (21 per cento), dallo scetticismo verso le prospettive di carriera e dallo sbilanciamento fra lavoro e vita privata.

Da qualche anno però si sta diffondendo fra molti sudcoreani maggiore coscienza della pesantezza del proprio carico di lavoro, fra i più alti di tutte le economie sviluppate. Il limite di ore lavorative attuale è stato introdotto nel 2018: prevede una settimana lavorativa di 40 ore più un massimo di dodici ore di straordinario, e le aziende che violano il limite delle 52 ore rischiano severe sanzioni. Ma l’anno scorso il governo aveva provato a portare il massimo a 69 ore settimanali: la proposta era stata ritirata dopo le proteste dell’opposizione e dell’opinione pubblica, in particolare dei giovani.

Anche gli studenti studiano molto intensamente, e molti di loro frequentano corsi aggiuntivi per provare a entrare nelle università più prestigiose o ottenere posti di lavoro nelle grandi aziende.

Alcuni partecipanti, fra cui la vincitrice di quest’anno, Valentina Vilches, hanno detto che con la loro partecipazione vogliono dimostrare alla popolazione coreana l’importanza del riposo. Altri invece sembrano aver partecipato proprio per poter avere un’ora e mezza libera in cui sgomberare la mente: l’ex pattinatore professionista Kwak Yoon-gy ha detto alla CNN che aveva sentito parlare della competizione come di un posto in cui poteva riposare e schiarirsi le idee, e di aver pensato «wow, è proprio quello di cui ho bisogno». Il livello di competitività della società sudcoreana è tale che per far accettare l’importanza di un periodo di riposo ad alcune persone l’ozio debba essere trasformato in un’attività competitiva.

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Kim Ki-kyung, un impiegato sentito dal Guardian, ha detto di essere quasi arrivato tardi alla competizione perché gli era stato chiesto di lavorare anche la domenica mattina. Ha spiegato che «la società coreana è molto competitiva» e che quindi crede che «non fare nulla a volte è fondamentale. Credo che ce ne siamo dimenticati».

La gara di domenica si è tenuta davanti ai cancelli dell’ex palazzo reale di Seul. Molti partecipanti avevano con sé un ombrello o indossavano un impermeabile per ripararsi dalla pioggia. Il maltempo ha causato qualche problema logistico, ma forse il rumore della pioggia ha aiutato qualche partecipante a rilassarsi di più.

Woopsyang e molti partecipanti indossavano il gat, un copricapo tradizionale coreano simile a un cappello a cilindro a tesa larga. Un tempo solo gli uomini di status elevato potevano indossare il gat, che quindi ancora oggi richiama ai nobili e agli intellettuali del passato, che passavano buona parte del loro tempo non impegnati nel lavoro.

La prima competizione internazionale si tenne nel 2014 proprio a Seul. Negli anni oltre alle otto competizioni internazionali sono state organizzate diverse edizioni “locali”, tutte in Corea del Sud: la più recente è stata il 12 maggio, sempre a Seul.

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