A Cannes “Megalopolis” di Coppola è piaciuto tantissimo o pochissimo

Il film che uno dei più influenti registi di tutti i tempi voleva realizzare da quarant'anni sta polarizzando i critici, concordi però sul fatto che sia piuttosto unico

Adam Driver e Nathalie Emmanuel in una scena di Megalopolis
Adam Driver e Nathalie Emmanuel in una scena di Megalopolis
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Tra le opere in concorso alla 77esima edizione del festival del cinema di Cannes, che è iniziata martedì e si concluderà sabato 25 maggio con l’assegnazione della Palma d’oro, c’è anche Megalopolis, il 26esimo film di Francis Ford Coppola, uno dei registi più influenti della storia del cinema. È un film che sta ricevendo grandissime attenzioni, dovute soprattutto alla sua travagliata storia di produzione: Coppola infatti cominciò a pensarlo e scriverlo negli anni Ottanta, ma nonostante vari tentativi non riuscì a realizzarlo fino a tempi molto recenti, principalmente per la difficoltà di trovare finanziamenti. Alla fine i 120 milioni di dollari del budget li ha investiti lui stesso, in uno degli autofinanziamenti più sorprendenti e audaci della storia del cinema.

Megalopolis omaggia fin dal titolo Metropolis di Fritz Lang, e racconta lo scontro tra due prospettive: quella progressista di Cesar (Adam Driver), un estroso architetto che ha in mente un piano avveniristico per rilanciare la città di New York, devastata da una catastrofe anni prima, e quella conservatrice del sindaco Frank Cicero (Giancarlo Esposito), che invece vorrebbe ricostruire la città con metodi più tradizionali. Coppola ha detto di avere concepito Megalopolis come una specie di versione futuristica della Congiura di Catilina, con il sindaco di New York nella parte di Cicerone.

Finora le recensioni dei critici che hanno visto il film a Cannes sono state molto nette: c’è chi ha amato moltissimo Megalopolis, descrivendolo come una specie di testamento artistico di Coppola, e chi lo ha trovato un film pretenzioso, confuso, privo di idee ed eccessivo.

Una delle recensioni più critiche è stata quella del giornalista del Guardian Peter Bradshaw, che in sostanza ha definito Megalopolis un film noioso e dalla scrittura farraginosa, «pieno di verità da valedictorian (diplomando) del liceo sul futuro dell’umanità». Secondo Bradshaw, uno dei principali difetti di Megalopolis è quello di voler apparire come un film futurista e avveniristico, quando in realtà le opere da cui trae ispirazione, come il romanzo La fonte meravigliosa di Ayn Rand e per l’appunto Metropolis di Lang, sono piuttosto datate. Bradshaw scrive che anche l’ideale di progresso che Coppola ha provato a rappresentare è piuttosto anacronistico, ossia una «retorica blanda e pastosa sul potenziale dell’umanità che sembra provenire dall’era del New Deal». Ha anche parlato di una recitazione poco ispirata, criticando la gestione degli attori da parte di Coppola.

Su Variety Peter Debruge ha scritto che Megalopolis è «un’allegoria profondamente personale e di alto concetto» sul rapporto di Coppola con l’arte, ma ha criticato diversi aspetti del film, e anche il modo in cui è stato presentato a Cannes. Per esempio, ha scritto di non aver compreso la pretesa di Coppola di proiettare Megalopolis su uno schermo IMAX, che di solito è adatto alle produzioni che puntano moltissimo sulla risoluzione delle immagini. La regia di Megalopolis invece, ha scritto Debruge, è incentrata in larghissima parte sui primi piani, e di conseguenza potrebbe essere apprezzata benissimo «anche sugli schermi degli iPhone».

In generale, Debruge ha trovato la scenografia del film (che prova a ibridare elementi «della moderna New York, dell’antica Roma e delle foreste di Pandora») un po’ pacchiana e inadatta per un film girato in live action, ossia con attori veri. «Paradossalmente l’animazione (piuttosto che un live action pieno di effetti visivi) avrebbe potuto essere un modo migliore per raccontare una storia del genere», ha scritto.

Inoltre, secondo Debruge Megalopolis è un film che risente dell’ampia discrezionalità di cui Coppola ha potuto godere per via dell’autofinanziamento. Questa circostanza lo avrebbe indotto a realizzare un film pensato non tanto per compiacere il pubblico, ma per dire qualcosa sulla sua idea di cinema con una «dichiarazione di fine carriera» priva di paletti e che sacrifica molti elementi, su tutti la fruibilità del film.

Una delle recensioni più entusiaste è stata invece quella di Damon Wise, che su Deadline ha definito Megalopolis un «capolavoro moderno e folle» che «reinventa le possibilità del cinema» e che sarà d’ispirazione per le generazioni future di registi. Wise ha scritto di avere apprezzato moltissimo un espediente narrativo «molto audace» che «abbatte la quarta parete (termine che indica il momento in cui un attore guarda in camera e parla direttamente agli spettatori) in modi che i registi più giovani possono solo sognare». Non lo ha esplicitato, ma è molto probabile che Debruge si riferisca al fatto che, durante la proiezione a Cannes, verso metà film un uomo è salito fisicamente sul palco per interagire con Cesar Catilina, il personaggio interpretato da Adam Driver. Non è chiaro come questo espediente potrà essere riproposto quando il film sarà distribuito in tutto il mondo.

Ha poi lodato la sfrontatezza di Coppola, che ha realizzato un film molto poco accomodante per il pubblico, infrangendo «molte delle regole cardinali del cinema» e inserendo in modi sottili dei riferimenti a molti suoi film precedenti, come Il padrino, Dracula e il poco apprezzato Twixt.

Su Le Monde, Mathieu Macheret ha a sua volta paragonato Megalopolis alla produzione più recente di Coppola, «imperfetta e traballante, ma sempre guidata da uno spirito di ricerca», riconducendo anche lui i problemi del film a un budget dieci volte superiore a quello dei film precedenti. Secondo Macheret il film è «un grande viaggio barocco», però pieno di buchi e di personaggi poco approfonditi: una specie «di grande cantiere aperto, metafora che si addice a un film sulla pianificazione urbana».

Un altro critico che ha apprezzato Megalopolis è David Ehrlich, che su IndieWire ha scritto che il film  riassume al meglio l’obiettivo che Coppola ha sempre inseguito, ossia preservare lo spirito del cinema americano in cui si è formato, quello della Nuova Hollywood, e «fermare il tempo prima che sia troppo tardi». Il critico dell’Hollywood Reporter David Rooney ha lodato la capacità di Coppola di bilanciare due registri distinti. Da un lato, ha scritto, Megalopolis è pieno di cose ed eccessivamente prolisso, «cita Amleto e La Tempesta, Marco Aurelio e Petrarca, rimuginando sul tempo, sulla coscienza e sul potere a un livello che diventa eccessivo». Dall’altro però è anche «divertente, giocoso, visivamente abbagliante e illuminato da una commovente speranza per l’umanità».

Un giudizio più moderato è stato quello di Bilge Ebiri, giornalista di Vulture. Come Wise, Ebiri ha apprezzato la «follia» di Megalopolis e la caratterizzazione dei personaggi, ma non altrettanto l’eccessivo citazionismo shakesperiano e la trama, che a suo dire si risolverebbe in un «miasma di magia, melodramma, emotività banale e politica da film di gangster», finendo per sconfessare del tutto la pretesa di realizzare un film dal grande rigore scientifico, come Coppola aveva anticipato in alcune occasioni. Nonostante i difetti, Ebiri ha scritto di essersi goduto «ogni singolo secondo», e che esprimere un giudizio definitivo su un film stratificato e con molti piani di lettura come Megalopolis dopo una sola visione è sostanzialmente impossibile.