Scattare una fotografia durante il processo contro Donald Trump è un lavoraccio

I dieci fotografi autorizzati a entrare in tribunale hanno a disposizione pochissimo tempo: appena 45 secondi

Una foto del processo contro Donald Trump, attualmente in corso a New York, 6 maggio 2024 (AP Photo/Julia Nikhinson)
Una foto del processo contro Donald Trump, attualmente in corso a New York, 6 maggio 2024 (AP Photo/Julia Nikhinson)

Dallo scorso 15 aprile a New York è iniziato il primo dei quattro processi penali in cui è coinvolto Donald Trump, il primo contro un ex presidente degli Stati Uniti. È di competenza della procura di Manhattan, e riguarda un presunto pagamento di 130mila dollari all’attrice di film porno Stormy Daniels, che Trump avrebbe fatto nel 2016 tramite la sua azienda e il suo ex avvocato Michael Cohen per comprare il silenzio dell’attrice su un rapporto sessuale avuto con lui una decina di anni prima.

Pur trattandosi di un processo di enorme rilevanza mediatica, per tutelare la privacy delle persone e per impedire che alcune parole, espressioni o comportamenti tenuti in aula possano influenzare l’opinione pubblica o i giurati, le leggi statunitensi prevedono che in aula non possano essere ammesse telecamere.

Le uniche persone che hanno la possibilità di ottenere delle immagini del processo sono dieci fotografi autorizzati dal giudice Juan Merchan, che formano il cosiddetto “pool”.  Sono autorizzati a entrare in aula in gruppi da 5 e il loro lavoro ha un’importanza fondamentale, dato che forniscono alle agenzie di stampa le foto che poi vengono usate da tutte le testate del mondo.

Tra loro c’è anche Doug Mills, storico fotografo del New York Times, che ha raccontato quanto questo lavoro possa essere stressante, soprattutto per un motivo: per fotografare l’ex presidente, lui e i suoi colleghi hanno a disposizione appena 45 secondi. «[Trump] è molto serio, durante quei 45 secondi: si premura sempre di guardare direttamente negli obiettivi dei fotografi, di non perdere il contatto visivo», ha detto Mills parlando della disponibilità di Trump a farsi fotografare.

(Win McNamee/AP)

Mills ha spiegato anche che lo scarso tempo a disposizione non è l’unico ostacolo che un fotografo coinvolto in un processo così importante deve superare. L’altro problema è il minuscolo spazio che hanno a disposizione per muoversi: i fotografi possono sistemarsi soltanto in poco più di tre metri davanti al banco dell’imputato.

Anche per questo, a volte è necessario adottare delle soluzioni “creative”. Per esempio, Mills ha raccontato uno stratagemma che ha usato durante l’udienza di venerdì scorso:

«Ho messo la mia fotocamera Sony su un monopiede e, usando il telecomando elettronico l’ho fatta salire a circa tre-quattro metri e ho scattato foto con una veduta a volo d’uccello, utilizzando un obiettivo da 24 millimetri».

Mills ha anche ironizzato sulla coincidenza numerica tra il tempo che ha a disposizione per scattare e la posizione occupata da Trump nella cronologia dei presidenti degli Stati Uniti:

«Fa sorridere avere a disposizione 45 secondi per il 45esimo presidente: è tutto molto veloce».

Quello di New York non è l’unico processo in cui è coinvolto Trump. Presso altri tribunali è accusato di aver cercato di sovvertire l’esito delle elezioni presidenziali del 2020; di aver tentato di cambiare i risultati ufficiali delle elezioni presidenziali nello stato della Georgia, sempre con l’obiettivo di ribaltarne il risultato generale; e di aver conservato alcuni documenti governativi riservati nella propria villa di Mar-a-Lago, in Florida.