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  • Lunedì 6 maggio 2024

La transizione democratica attesa in Ciad forse non ci sarà

La giunta militare al potere da tre anni aveva promesso di completare il processo democratico con le elezioni presidenziali che si tengono oggi: ma ci sono molti dubbi che le cose andranno davvero così

Militari ciadiani (REUTERS/Desire Danga Essigue)
Militari ciadiani (REUTERS/Desire Danga Essigue)
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Oggi in Ciad, paese dell’Africa centrale attualmente governato da una giunta militare, più di otto milioni di persone voteranno per eleggere un nuovo presidente. Secondo gli annunci fatti dai militari, le elezioni avrebbero dovuto completare un processo di transizione verso un sistema democratico, ma ci sono grossi dubbi che alla fine andrà così. Prima del voto, i militari avevano infatti represso violentemente le opposizioni e avevano escluso dalle liste elettorali i loro principali candidati. I due politici che competeranno per la presidenza sono il generale Mahamat Idriss Déby, capo della giunta militare che vorrebbe ora legittimare il potere acquisito in modo incostituzionale nel 2021, e il suo primo ministro Succès Masra.

Se nessun candidato sarà eletto al primo turno, i cui risultati saranno comunicati ufficialmente il 21 maggio, si andrà al ballottaggio previsto per il prossimo 22 giugno.

Il generale Mahamat Idriss Déby è figlio di Idriss Déby Itno, l’ex presidente del paese ucciso nell’aprile del 2021 in circostanze poco chiare il giorno dopo un’elezione presidenziale che l’aveva confermato per l’ennesima volta alla guida del Ciad con quasi l’80 per cento dei voti. Il figlio, che aveva preso il suo posto grazie al sostegno dell’esercito e ignorando la linea di successione indicata dalla Costituzione ciadiana, aveva sciolto il parlamento, sospeso la Costituzione e promesso di guidare un governo di transizione per 18 mesi, fino a nuove elezioni. Da allora però aveva adottato una serie di provvedimenti per ritardare il voto fino al 2024, oltre ad alcune misure che gli avevano permesso di candidarsi.

A pochi mesi dall’insediamento di Mahamat Idriss Déby, in tutto il Ciad c’erano state ampie proteste e tra i 73 e i 300 manifestanti, a seconda dei numeri comunicati dalla giunta militare e da alcune organizzazioni non governative internazionali, erano stati uccisi dalla forze di sicurezza.

Proteste contro la giunta militare, N’Djamena, Ciad, 20 ottobre 2022 (AP Photo)

Nel tempo, e con il rinvio delle elezioni, gli arresti, le intimidazioni e le minacce verso i politici dell’opposizione e i manifestanti non si erano fermate. Il 28 febbraio del 2024 Yaya Dillo, uno dei principali leader dell’opposizione e cugino di Mahamat Idriss Déby, era stato ucciso insieme ad altre 12 persone durante un attacco dell’esercito alla sede del suo partito. Qualche giorno dopo Mahamat Idriss Déby aveva annunciato la sua candidatura alle presidenziali.

Durante la campagna elettorale Mahamat Idriss Déby ha detto più volte di aver salvato il Ciad dal caos prendendo il potere nel 2021 e di aver lavorato per riportare pace e stabilità. Ufficialmente è il candidato di una coalizione di oltre 200 partiti, ma a stabilire la linea da seguire è una sola forza politica, il Movimento per la Salvezza Patriottica (MPS), nazionalista e di destra, di cui lui fa parte e che fu fondato dal padre negli anni Novanta.

Il principale rivale del presidente di transizione è il primo ministro Succès Masra. Un tempo all’opposizione e tornato in Ciad il 3 novembre del 2023 dopo un anno di esilio, il primo gennaio del 2024 era stato nominato capo del governo a seguito di un accordo politico raggiunto con la giunta militare e molto criticato dai suoi ex alleati e sostenitori.

Sulla candidatura di Masra circolano due teorie contrapposte: l’opposizione e parte della società civile lo considerano un finto candidato per dare l’illusione che le presidenziali, che si prevede saranno vinte da Mahamat Idriss Déby, siano più combattute, ma soprattutto democratiche. Rakhis Ahmat Saleh, candidato dell’opposizione escluso dalle presidenziali dal Consiglio costituzionale del Ciad, ha detto all’agenzia di stampa francese AFP che Masra è un sostenitore di Mahamat Idriss Déby e che sta alzando la posta in gioco «semplicemente per assicurarsi un posto dopo l’elezione di Déby».

Secondo altri, la finta presenza di Masra si è invece trasformata nel tempo in una vera candidatura: galvanizzato dalle folle accorse per assistere ai suoi incontri elettorali, soprattutto nel sud del paese, a un certo punto della campagna elettorale Masra ha infatti assunto toni molto più decisi contro Mahamat Idriss Déby, moltiplicando attacchi e critiche nei suoi confronti.

Masra ha promesso ai suoi sostenitori una vittoria al primo turno, ma li ha anche invitati a vigilare sul voto, suggerendo che durante lo spoglio potrebbero verificarsi dei brogli. A sua volta, e a tre giorni dal voto, alcune associazioni ciadiane che lavorano per la promozione dei diritti umani si sono dette preoccupate per un’elezione che non sembra «né credibile, né libera né democratica». L’Agenzia elettorale nazionale (Ange) ha reagito alle accuse pubblicando numerosi comunicati stampa e avvertendo coloro che faranno delle foto ai verbali dei seggi per conservare delle eventuali prove dei risultati che potranno essere puniti.

Tra gli altri candidati, dieci in totale, va segnalato l’ex primo ministro Albert Pahimi Padacké, arrivato secondo alle presidenziali del 2021 con oltre il 10 per cento dei voti: potrebbe dunque essere decisivo nel caso in cui si vada al ballottaggio.

Non è chiaro cosa accadrà una volta annunciati i risultati del primo turno, ma ci sono timori che possano iniziare nuove proteste e conseguenti violente repressioni. Come ha scritto per esempio Le Monde, non è chiaro cosa farà Masra se i risultati non corrisponderanno alle sue aspettative: se inciterà nuove violenze o se favorirà una pacificazione. Masra ha detto di essere certo che l’esercito, che dall’indipendenza del paese non ha mai esitato a prendere il potere nei momenti di incertezza politica, «si schiererà con il vincitore».

Il Ciad è considerato un alleato dell’Occidente, soprattutto della Francia – da cui ha ottenuto l’indipendenza nel 1960 – e degli Stati Uniti, e ha contribuito in molte circostanze alle azioni di antiterrorismo nella regione del Sahel e in Nigeria contro il gruppo islamista Boko Haram.

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