Come sta andando la settimana corta nelle aziende italiane

Bene per i dipendenti coinvolti, ma è presto per trarre conclusioni su che conseguenze avrebbe sull'economia in generale, visto che gli esperimenti e gli studi sono ancora pochi

(AP Photo/Jenny Kane)
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Giovedì alla commissione Lavoro della Camera è iniziato l’esame di tre proposte di legge delle opposizioni per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio, un argomento ricorrente nel dibattito politico ed economico italiano e che contiene anche la grande questione della “settimana lavorativa corta”. Una proposta è del Partito Democratico, una del Movimento 5 Stelle (che l’aveva proposta già in campagna elettorale nel 2022) e una di Alleanza Verdi e Sinistra. Visto che sono state presentate dalle opposizioni, che nelle aule parlamentari e nelle commissioni sono in minoranza, è comunque al momento impossibile che una di queste venga approvata in mancanza di un accordo politico. Inoltre la discussione in commissione è in una fase molto preliminare.

Ma a prescindere da questo la settimana lavorativa corta è stata già sperimentata in diverse aziende italiane. I risultati sembrano incoraggianti e positivi per i lavoratori interessati ma, sebbene siano ampiamente raccontati dai media, hanno ancora un valore circoscritto: le aziende in questione non sono rappresentative di tutta l’economia italiana, e gli economisti non sono sicuri di quali potrebbero essere gli effetti su produttività e occupazione di una misura del genere su larga scala.

Una delle prime grandi aziende che in Italia hanno adottato la settimana corta è stata la banca Intesa Sanpaolo. Lo ha fatto a inizio 2023 con una decisione piuttosto significativa, perché Intesa Sanpaolo è una delle società private con più dipendenti in Italia, quasi 72mila, e quindi rappresenta il maggiore tentativo italiano di organizzare il lavoro in questo modo.

Da gennaio del 2023 i dipendenti della banca possono chiedere di condensare l’orario di lavoro in 4 giorni, per poi avere un giorno libero a scelta: normalmente si lavora 7,5 ore al giorno per cinque giorni, per un totale di 37,5 ore, ma si può anche chiedere di lavorare 9 ore al giorno per 4 giorni alla settimana, per un totale di 36 ore. L’orario di lavoro complessivo si è dunque anche leggermente ridotto, a parità di stipendio. Allo stesso tempo i dipendenti possono scegliere il loro orario di ingresso in una fascia oraria dalle 7 alle 10 del mattino, e hanno a disposizione 120 giorni di smart working all’anno, che sono quasi la metà di tutti i giorni lavorativi.

L’adesione a questo nuovo modello è volontaria: se aderiscono, i dipendenti devono comunque mettersi d’accordo con il loro responsabile e il loro team, in modo che le attività siano sempre garantite e non ci siano orari scoperti. Inizialmente potevano aderire solo i dipendenti degli uffici, e non quelli delle filiali, che hanno orari fissi di apertura al pubblico e dunque con meno possibilità di lavorare in modo flessibile. È stata però avviata una sperimentazione di settimana corta anche in 40 filiali di grandi dimensioni e in 250 più piccole, in cui i dipendenti possono chiedere di condensare il lavoro in quattro giorni, utilizzando poi come giorno di riposo quello di chiusura al pubblico della filiale (di solito è uno tra martedì, mercoledì e giovedì).

Finora ha chiesto l’abilitazione circa il 70 per cento di coloro che la potevano richiedere, ossia il personale a tempo pieno di tutti gli uffici e delle filiali oggetto di sperimentazione, per un totale di circa 29.500 persone: una volta abilitati si può scegliere se effettivamente organizzare il lavoro in quattro giorni, e nel 2023 il 46 per cento aveva usufruito della settimana corta.

In Intesa Sanpaolo la settimana lavorativa di quattro giorni non è stata introdotta come soluzione provvisoria, ma come modello definitivo: è ormai parte integrante dell’organizzazione del lavoro della banca, e difficilmente si tornerà indietro. In azienda raccontano che si sta rivelando un’esperienza positiva per i dipendenti e che non ci sono stati particolari problemi organizzativi o carenze nell’offerta dei servizi, proprio perché gli orari e i giorni sono concordati di volta in volta con il team. Tanto che le adesioni e l’effettivo utilizzo sono in crescita.

Anche l’azienda di automobili Lamborghini – con sede in Italia ma di proprietà del gruppo tedesco Volkswagen – ha annunciato a dicembre del 2023 di aver trovato un accordo con i sindacati per introdurre in via sperimentale la settimana di quattro giorni per i lavoratori delle sue fabbriche. Partirà alla fine del 2024, e una buona parte dei dettagli deve essere ancora definita.

Si sa però che interesserà solo i dipendenti delle fabbriche, e non quelli degli uffici, e che si articolerà in due modalità: chi lavora su due turni (mattina e pomeriggio) alternerà una settimana di lavoro da cinque giorni a una da quattro, lavorando 22 giorni in meno all’anno, e chi lavora su tre turni (mattina, pomeriggio e notte) alternerà una settimana da 5 giorni e due da 4, lavorando in tutto 32 giorni in meno all’anno. Deve essere ancora definito come cambieranno gli orari nei quattro giorni lavorativi delle settimane corte, quindi è ancora da capire se l’orario complessivo settimanale resterà lo stesso o se verrà ridotto.

Umberto Tossini, capo delle risorse umane di Lamborghini, dice che l’obiettivo dell’azienda è offrire condizioni di lavoro più favorevoli ma con il «mantenimento della produttività», che sarà ottenuto anche grazie all’assunzione a tempo indeterminato di 500 persone. Prima di concludere l’accordo coi sindacati l’azienda aveva condotto un sondaggio tra i suoi dipendenti per capire se fosse una possibilità gradita: oltre il 90 per cento ha risposto di sì.

La settimana lavorativa corta è stata introdotta da gennaio in via sperimentale anche in un’importante società pubblica, SACE, che si occupa di assicurazioni e credito per le imprese che esportano all’estero ed è controllata dal ministero dell’Economia. L’esperimento di SACE sarà studiato dall’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, per tentare di misurare gli effetti sui risultati dell’azienda e sulla qualità del lavoro per i dipendenti.

Da gennaio è stata data loro la possibilità di scegliere se lavorare quattro giorni a settimana invece di cinque, per un totale di 36 ore complessive anziché 37. Il giorno di riposo è a scelta, e va concordato con i colleghi per tenere conto delle esigenze organizzative. Sono stati eliminati anche gli obblighi di timbratura in entrata e in uscita per tutti i livelli contrattuali, per cui ogni dipendente è libero di distribuirsi il lavoro nell’orario che preferisce. In più non ci sono limiti allo smart working.

È ancora presto per trarre conclusioni definitive sulle conseguenze di questo modello per le aziende italiane che lo hanno introdotto. Secondo i sostenitori della settimana corta, concentrare in meno ore il lavoro garantisce un aumento della produttività, perché si riducono le ore a parità di attività svolte. Nel lungo termine un aumento della produttività dovrebbe far aumentare a sua volta l’efficienza dei processi aziendali: e quindi la settimana corta converrebbe anche ai datori di lavoro. Al momento non ci sono abbastanza evidenze su questo, quello che si sa è che la settimana corta ha conseguenze positive sulla qualità della vita dei dipendenti, che generalmente sono soddisfatti dal migliore bilanciamento tra vita privata e lavorativa.

Sicuramente un lavoratore meno stressato può essere anche più produttivo, ma è anche vero che gli studi scientifici sono ancora pochi, anche fuori dall’Italia. All’inizio del 2023 vennero pubblicati i risultati del più ampio studio al mondo fatto sull’argomento, almeno fin qui: riguardò 2.900 dipendenti di 61 aziende di vari settori nel Regno Unito, e si svolse nell’arco di sei mesi tra giugno e dicembre 2022. Lo studio suggerisce che la riduzione dell’orario di lavoro diminuisca lo stress di chi lavora e non intacchi la produttività delle aziende, e che anzi in alcuni casi la aumenti. La maggior parte delle aziende coinvolte ha deciso di non tornare alla settimana lavorativa di cinque giorni. Benché lo studio avesse una dimensione decisamente maggiore di quelli fatti fino a quel momento, anche i suoi risultati vanno presi con qualche cautela: le aziende coinvolte erano perlopiù di piccole dimensioni e già intenzionate a investire nella settimana corta.