All’inizio i Ramones non convincevano nessuno

Il loro primo concerto, il 30 marzo di cinquant'anni fa, fu un disastro, ma ci volle poco perché diventassero la band punk rock più influente di sempre

di Susanna Baggio

Johnny, Joey, Tommy e Dee Dee Ramone
Johnny, Joey, Tommy e Dee Dee Ramone (Dalla pagina Facebook ufficiale dei Ramones)

«I Ramones vengono tutti da Forest Hills e i ragazzi cresciuti lì sono diventati musicisti, degenerati o dentisti. I Ramones sono un po’ tutte e tre le cose. La loro musica non è diversa da un trapano che batte rapido su un molare». Lo diceva un volantino spedito per posta verso la metà del 1974 dalla celebre band di New York, destinata a diventare grazie a canzoni come “Blitzkrieg Bop” o “Sheena Is a Punk Rocker” la più importante nella storia del punk rock e una delle più influenti di sempre. Il loro primo concerto, il 30 marzo di cinquant’anni fa, fu un disastro, eppure non ci volle molto prima che cominciassero a essere presi sul serio.

I membri originali dei Ramones erano John William Cummings, Jeffrey Ross Hyman, Douglas Glenn Colvin e Tamás Erdélyi, meglio noti con gli pseudonimi di Johnny, Joey, Dee Dee e Tommy Ramone, e a modo loro ciascuno aveva vissuto qualche forma di esclusione o marginalità: Johnny era cresciuto in una famiglia molto rigida, Joey era ebreo e aveva problemi di salute, mentre Dee Dee era dipendente da varie droghe; Tommy invece si era trasferito negli Stati Uniti dall’Ungheria da ragazzino. Come ha raccontato Joey Ramone nella biografia Sulla strada con i Ramones, scritta dallo storico tour manager della band, Monte A. Melnick, «nessuno di loro sapeva suonare», ma questo non sembrava un problema.

Come molti altri aspiranti musicisti che erano nati alla fine degli anni Quaranta oppure già negli anni Cinquanta, mal sopportavano quello che era diventato il rock, ormai un’industria organizzata e in mano alle grandi etichette discografiche, e ai loro occhi seduta su quelle convenzioni musicali che si erano rivelate redditizie. Invece che a band che ai loro occhi avevano esaurito la spinta innovativa, come i Rolling Stones o i Led Zeppelin, guardavano a quelle che già dagli anni Sessanta avevano dimostrato un atteggiamento che anni dopo sarebbe stato identificato come punk, più scalcinate e caratterizzate da suoni grezzi, violenti, energici e talvolta respingenti, come i Velvet Underground, gli Stooges, i Dictators, gli MC5 o i New York Dolls.

Nei primi anni Settanta «Tommy stava lavorando su questo gruppo sconosciuto. Erano terribili», racconta nel libro Melnick, che gestiva la sala prove dei Performance Studios. Provavano un po’ lì, un po’ a casa di Johnny e un po’ nel seminterrato della galleria d’arte dove lavorava la madre di Joey. All’inizio la band era composta da Dee Dee e Johnny alle chitarre e Joey alla batteria, mentre Tommy era più un produttore: un tale chiamato Richie Stern avrebbe dovuto suonare il basso, ma stando a quanto disse Joey «ebbe un crollo nervoso dopo tipo due minuti nella band».

Alla voce c’era Dee Dee, che però non era capace di cantare e suonare allo stesso tempo e restava senza voce nel giro di due canzoni. Così cominciò a cantare Joey, visto che lo faceva già in un’altra band (gli Sniper) e che con la batteria non ci stava dietro, ha raccontato nel libro Please kill me. The uncensored oral history of punk. Dee Dee invece passò al basso, anche se non aveva idea di come accordarne o suonarne uno. Nessuno dei batteristi che avevano provato dopo Stern però era adatto alla loro musica, così finì per suonarla lo stesso Tommy, che aveva più o meno imparato a farlo mentre cercava di spiegare agli aspiranti batteristi cosa voleva la band.

All’inizio del 1974 i Ramones cominciarono a provare ai Performance Studios, dove il 30 marzo si esibirono per la prima volta davanti a una trentina di loro amici. Durante il loro primo concerto, che costava 2 dollari, Dee Dee era «così ubriaco» da cadere all’indietro e distruggere il suo amplificatore, raccontò nell’autobiografia Lobotomy – Surviving the Ramones. Per il secondo non tornò nessuno, dissero sia lui che Johnny.

«Non mi piacquero per niente», dice sempre Melnick, che al tempo li riteneva «ridicoli». Tra le prime canzoni che avevano scritto c’erano “I Don’t Wanna Walk Around with You”, “Today Your Love (Tomorrow the World)”, “I Don’t Wanna Go Down to the Basement” e “Loudmouth”, tutte poi finite sul loro disco d’esordio, Ramones, del 1976.

Anche i loro concerti successivi furono molto grezzi. «Suonarono 32 canzoni in 15 minuti, e tutti si guardavano tra di loro come per dirsi ‘Cos’è sta roba?’», raccontò il fotografo Bob Gruen, che li vide per la prima volta sempre ai Performance Studios. «Si fermavano e cominciavano a litigare e sapevano a malapena suonare», prosegue Melnick, che però continuò a farli provare nel suo studio perché Tommy era convinto di avere per le mani qualcosa di «diverso, originale ed entusiasmante». Alla fine diventò il loro tour manager, una specie di “quinto membro” della band.

Melnick non era l’unico a essere rimasto perplesso dai Ramones, che avevano scelto di chiamarsi così perché Dee Dee era un fan di Paul McCartney, il celeberrimo bassista dei Beatles, che quando doveva prenotare un albergo usava lo pseudonimo di “Paul Ramone” (ma anche perché a Dee Dee sembrava il nome di una banda di fuorilegge). Oltre a continuare a esibirsi ai Performance Studios, nell’estate del 1974 i Ramones cominciarono a suonare anche al CBGB, lo storico locale di riferimento per la scena punk di New York, dove cercavano di farsi notare da qualche discografico e dai giornalisti. Alla fine dell’anno incisero un primo demo, e all’inizio di quello successivo raggiunsero il sound e l’immagine più o meno definitiva dei Ramones, secondo quanto raccontato da Johnny.

I giornalisti li criticavano per il loro aspetto strano e per le loro canzoni corte, velocissime e martellanti, spesso suonate senza pause. Come si capisce bene anche dal documentario del 2003 End of a Century, la musica dei Ramones era una cosa mai sentita prima, che però a poco a poco cominciò ad avere senso sia per loro che per il pubblico.

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Nella biografia ufficiale del gruppo, il fondatore della rivista Trouser Press, Ira Robbins, ricorda che «sembravano la caricatura di una band». Robbins prendeva in giro il “1-2-3-4!” che Dee Dee urlava all’inizio di ogni canzone (in seguito ripreso da numerose band) e pensava che le loro canzoni da tre accordi, unite a un minimalismo «molto irritante», non avessero «niente da offrire». Poi però si mise a litigare con un suo amico, racconta, «nel tentativo di stabilire se i Ramones non valessero niente o se invece fossero il gruppo più straordinario mai esistito sulla faccia della Terra».

Per il giornalista John Holmstrom, fondatore della fanzine e rivista musicale Punk, sembravano «un gruppo heavy metal che suonava musica bubblegum», cioè quel pop con melodie dolci e orecchiabili diffuso negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta. Eppure «stavano riportando il rock alla sua forma più essenziale». Ad Arturo Vega, che disegnò il celebre logo della band ispirato al sigillo ufficiale del presidente degli Stati Uniti (ma con un ramo di melo e la mazza da baseball, perché la band andava matta per la torta di mele e Johnny per quello sport), «ci vollero cinque o sei volte per capire i Ramones». Alla decima però era «completamente sicuro che fossero qualcosa di totalmente diverso». «Per me erano il gruppo americano definitivo», racconta.

Dopo il loro primo concerto al CBGB, il titolare, Hilly Kristal, avrebbe detto alla band: «La gente vi odierà, ma domani tornate comunque».

Per circa un anno e mezzo, dal 16 agosto del 1974 al dicembre del 1975, i Ramones suonarono al CBGB anche tre sere a settimana, davanti a centinaia di persone, facendo il tutto esaurito. Fu una delle serie di concerti più influenti nella storia della musica contemporanea. Poi girarono il resto degli Stati Uniti. Da quando nell’estate del 1975 la giornalista Lisa Robinson scrisse un articolo su di loro per Rolling Stone, cominciarono a essere citati regolarmente sulle riviste di settore, dal SoHo Weekly di New York al britannico Melody Maker. Fu proprio Robinson a convincere il giornalista Danny Fields, condirettore di 16 Magazine e autore di una rubrica sul SoHo Weekly, ad andarli a vedere.

Inizialmente Fields si era rifiutato di farlo perché pensava che i Ramones suonassero salsa o cha-cha-cha. Poi però disse di essersi innamorato «nel giro dei primi cinque secondi». Sia lui che Legs McNeil, tra gli autori della rivista Punk, rimasero colpiti dalle loro canzoni di meno di due minuti, dalla “divisa” composta da jeans, maglietta bianca e giacche di pelle nera, sotto al caschetto di capelli lunghi con la frangia, così come dal fatto che non si capiva esattamente quanto facessero sul serio. Fields rimase così impressionato dai Ramones da voler diventare il loro manager: molti avevano iniziato a chiamare la loro musica “punk rock”, mentre lui preferiva “rock rock”. Fu proprio tramite Fields che la band ottenne il suo primo contratto per un disco con la Sire Records nel 1976.

Le prime due date all’estero di quell’estate, nel Regno Unito, furono un successo. Nel 1977, quando i Ramones fecero il loro secondo tour europeo, erano già considerati delle specie di eroi, i leader di una rivoluzione musicale. «Erano tremendi, ma attiravano stuoli di persone che si sentivano senza futuro» e grazie a loro capivano di poter mettere in piedi una band pur senza saper suonare, disse sempre Fields. Tra quelli che li avevano visti a Londra nel 1976 ci furono i fondatori di gruppi che fecero la storia del punk, come i Clash, i Damned e i Generation X, la prima band di Billy Idol. «Se il primo disco dei Ramones non fosse esistito, non so se saremmo riusciti a creare una scena» nel Regno Unito, dice il cantante dei Clash Joe Strummer in End of a Century.

Con il loro stile immediatamente riconoscibile, una presenza scenica quasi teatrale e canzoni con ritmi serrati, ballabili e cantabili anche da chi il genere non lo mastica (“Hey, Ho! Let’s Go!”), i Ramones diventarono prima una band di culto e poi un fenomeno della cultura pop, dalle magliette di H&M alle immancabili citazioni dei Simpson. Copiati e imitati anche perché «portavoce degli emarginati», come scrisse il principale critico di musica pop del New York Times Jon Pareles, continuano a ispirare generazioni di musicisti anche a decenni di distanza, anche non di musica punk.

Se nel Regno Unito la band veniva osannata e in Sudamerica suonava davanti a decine di migliaia di persone, negli Stati Uniti continuava a suonare perlopiù in piccoli locali e non era particolarmente considerata dalle masse, ricorda Claudia Stritof nel libro Gabba Gabba Hey! The Ramones.

Il grande pubblico americano ma anche il fondatore della Sire, Seymour Stein, erano infastiditi dai loro testi, che parlavano di sniffare la colla e contenevano riferimenti al nazismo o ad altri temi controversi («Abbiamo scritto quelle canzoni perché vedevamo un sacco di film di guerra», sostenne Dee Dee). “Beat on the Brat” per esempio fu scritta da Joey dopo aver visto una donna inseguire un ragazzino con una mazza da baseball. “53rd and 3rd” invece parla di un giovane che prova a prostituirsi senza che nessuno se lo fili; così, quando qualcuno lo avvicina, lui lo uccide «per provare che non era una femminuccia», dice McNeil. È una storia in parte autobiografica: da ragazzo Dee Dee si prostituiva.

In 23 anni, dal 1974 al 1996, i Ramones suonarono 2263 concerti, una media di quasi cento all’anno. Si esibirono varie volte anche in Italia: la prima il 14 febbraio del 1980 a Reggio Emilia e l’ultima il 22 gennaio del 1996 a Milano. Il loro rapporto comunque non fu mai particolarmente funzionale.

Tommy lasciò la band nel 1978 perché le cose erano diventate «claustrofobiche» e perché gli era diventato difficile gestire Johnny, peraltro un convinto Repubblicano, che aveva dato direzione al gruppo ma voleva anche averne il controllo. Nelle parole di Marky Ramone (Marc Steven Bell), il batterista che lo sostituì per quasi tutto il resto della carriera della band, Dee Dee «era un matto ed era noto per le sue esagerazioni»; Joey aveva a sua volta problemi di alcolismo e tra le altre cose soffriva di disturbo ossessivo-compulsivo.

Secondo Dee Dee le divisioni nella band erano cominciate con lo squilibrio provocato dall’uscita dalla band di Tommy (che comunque co-produsse i successivi due dischi), ma anche a causa di divergenze artistiche e personali. Non tutti erano rimasti contenti di End of the Century, il disco del 1980 prodotto dal celebre Phil Spector, che si era interessato ai Ramones grazie al film Rock ’n’ roll high school. Dai primi anni Ottanta inoltre Joey smise di parlare con Johnny, che aveva cominciato a frequentare e poi sposato Linda Daniele, una sua ex fidanzata. Si crede che “The KKK Took my Baby Away”, una delle canzoni più famose dei Ramones, sia dedicata a questa vicenda.

Nel 1989 infine Dee Dee lasciò la band per avviare un bizzarro progetto funk/rap che per sua stessa ammissione faceva schifo. Ma «fu come se Paul McCartney avesse lasciato i Beatles», disse sempre Marky, visto che Dee Dee era il principale autore delle canzoni dei Ramones. Al basso fu rimpiazzato da Christopher Joseph Ward, o CJ Ramone. L’ultimo concerto della band fu curiosamente a Los Angeles e non a New York, la loro città.

Da sinistra a destra Dee Dee, Johnny, Tommy e Marky Ramone durante il discorso con cui la band fu inserita nella Rock and Roll Hall of Fame a New York, il 18 marzo del 2002

Da sinistra a destra Dee Dee, Johnny, Tommy e Marky Ramone durante la cerimonia per l’inserimento della band nella Rock and Roll Hall of Fame a New York, il 18 marzo del 2002 (AP Photo/ Ed Betz, File)

Joey Ramone morì nel 2001, Dee Dee nel 2002, Johnny nel 2004 e Tommy, l’ultimo della formazione originale ancora in vita, nel 2014. Sia CJ che Marky continuano a suonare le canzoni dei Ramones, passando ogni tanto anche dall’Italia, un paese dove la band ha ancora oggi molti fan.

In occasione del cinquantesimo anniversario della formazione dei Ramones, i demo del 1975 per il loro primo disco verranno ristampati in vinile per la prima volta e saranno disponibili per il Record Store Day, l’evento internazionale dedicato ai negozi di dischi indipendenti. La collezione include le prime registrazioni della band per la Sire Records, che comprendono alcune di quelle finite sul loro primo album e altre rarità.

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