Una parola italiana che si dice un po’ dappertutto

Le persone si salutano dicendo “ciao” o parole dal suono simile anche in molti paesi diversi dall’Italia, perlopiù alla fine delle conversazioni

Un ciao scritto a mano in stampatello con uno spray bianco sulla parete esterna di un edificio
(Martins Krastins/Flickr.com)
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Chi va spesso all’estero, o anche chi guarda molte serie tv non italiane con i sottotitoli, avrà notato che la parola “ciao” viene usata con una certa frequenza, sicuramente più spesso di quanto ci si aspetterebbe da persone che non parlano italiano. Dire ciao è infatti un modo per concludere molte conversazioni informali in diversi paesi del mondo, e chi pronuncia questa parola – articolando suoni che variano leggermente da paese a paese – non per forza ne conosce l’origine italiana, né ha particolare familiarità con gli usi di “ciao” in Italia. A volte quelle persone rimangono sorprese quando scoprono che in Italia è normale dirsi “ciao” anche all’inizio e non soltanto alla fine di un incontro.

L’uso di ciao al momento di salutarsi dopo una conversazione è diffuso nel sud della Germania, per esempio: in particolare nella Baviera, dove è abbastanza comune oltre a tschüss. Parole dal suono simile e con lo stesso significato di ciao – čao, čiau, čau e altre – esistono poi in diverse lingue slave occidentali e meridionali. Si usano in slovacco e in ceco come saluti informali, più spesso alla fine ma anche all’inizio di una conversazione. E parole simili, ma usate quasi sempre per salutarsi alla fine dell’incontro, sono presenti anche in greco (τσάο), serbo-croato (ćao), turco (çav), bulgaro e macedone (чао).

In Portogallo e in molti paesi del Sudamerica, soprattutto Argentina, Cile, Brasile e Uruguay, sono molto comuni le parole tchau (portoghese) e chao o chau, entrambe utilizzate alla fine delle conversazioni (in Portogallo si usa anche tchau tchau e tchauzinho). In Francia, anche se piuttosto rara e molto meno frequente di au revoir e à bientôt, si usa in qualche caso la parola tchao, che era anche nel titolo di un film popolare degli anni Ottanta, Tchao, Pantin (distribuito in Italia con il titolo Ciao amico).

Non tutte le parole che suonano come ciao e hanno la stessa funzione hanno la stessa etimologia. In vietnamita chào è una parola comunemente utilizzata per salutare, è più informale e frequente di xin chào, e si usa sia all’inizio che alla fine degli incontri informali (come ciao in Italia). Deriva però da un verbo omonimo, che significa “incontrare” e ha un’etimologia diversa da quella di ciao.

Anche negli Stati Uniti è possibile sentire qualcuno che saluta dicendo ciao, una parola attestata anche nei dizionari. Nel 2018, in occasione del novantesimo anniversario della pubblicazione completa dell’Oxford English Dictionary, il linguista statunitense John McWhorter spiegò brevemente l’etimologia di ciao in un episodio di un podcast su Slate. In generale, tra gli studiosi, l’origine della parola ciao è considerata un esempio che mostra come le lingue evolvono nel tempo.

Ciao deriva da un saluto servile veneziano, s-cia(v)o, che significa “schiavo” ed era una parola pronunciata per esprimere riverenza, rispetto e lealtà verso l’interlocutore. S’ciavo deriva a sua volta dal latino tardo sclavus (“schiavo”), da cui derivano molte altre parole, come per esempio schiavo in italiano, slave in inglese ed esclave in francese (che hanno tutte lo stesso significato).

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In Italia espressioni come «vi sono schiavo» utilizzate in forma di saluto reverenziale si trovano nelle commedie del commediografo veneziano Carlo Goldoni, per esempio, e altre come «servo vostro» e «al tuo servizio» sono utilizzate ancora oggi più o meno allo stesso modo. In Germania, in particolare nel sud del paese, come formula alternativa a tschüss e ciao si usa proprio servus, che vuole dire la stessa cosa e non ha alcuna connotazione servile.

Anche “ciao”, da s-cia(v)o, perse progressivamente la sua connotazione originaria per diventare una parola utilizzata tra persone di ogni estrazione sociale: inizialmente solo nell’Italia settentrionale e poi anche nel resto del paese. Il romanzo di Giovanni Verga Eros, pubblicato nel 1875, è spesso citato come il primo caso di uso letterario, da parte di un autore siciliano, di una parola informale di origine settentrionale (nella parte del romanzo in cui una giovane donna saluta con un “Ciao!” il protagonista principale Alberto). Tra l’Ottocento e il Novecento la parola ciao fu utilizzata anche da Giosuè Carducci, Luigi Pirandello, Antonio Fogazzaro e altri scrittori nelle loro pubblicazioni, e dal Secondo dopoguerra anche la circolazione della canzone partigiana Bella ciao, non soltanto in Italia, contribuì a far conoscere il significato della parola.

Non è chiaro come l’uso di ciao e delle sue varianti si sia diffuso dall’Italia in altri paesi del mondo. Un’ipotesi è che ad accrescere la popolarità della parola nei paesi anglofoni sia stato lo scrittore statunitense Ernest Hemingway con il suo romanzo del 1929 Addio alle armi, in parte autobiografico, ambientato nel nordest dell’Italia durante la Prima guerra mondiale. La parte in cui il tenente Rinaldi saluta per la prima volta il protagonista Frederic Henry è spesso citata come il primo uso letterario di ciao in un testo inglese (più avanti nel libro viene usata anche la formula «Ciaou. Ciaou. Ciaou», alla fine di un incontro).

È tuttavia ritenuto piuttosto improbabile che l’eccezionale diffusione della parola ciao negli Stati Uniti sia riconducibile in modo significativo a un romanzo, pur di successo. È più probabile che a diffondere questa parola in diversi paesi in Europa, in America settentrionale e in America meridionale siano stati i moltissimi migranti italiani nel corso del Novecento. Così come è probabile che abbia avuto un ruolo la popolarità crescente dell’Italia nel mondo come destinazione turistica dopo la Seconda guerra mondiale, e in particolare la diffusione del suo cinema.

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