Smemoranda non sarà più di Smemoranda

Martedì si terrà un'asta per l'acquisizione del marchio delle famose agende, dopo il fallimento dell'azienda passato in sordina lo scorso marzo

(ANSA)
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Martedì a Milano inizierà un’asta giudiziaria per l’acquisizione del marchio Smemoranda, che per quarantacinque anni è stato legato a un’azienda specializzata nella realizzazione di prodotti scolastici e di cancelleria, e in particolare di un’agenda molto popolare e dalla lunga storia editoriale, la cosiddetta “Smemo”, molto diffusa tra gli studenti delle scuole medie e superiori italiane.

Fino all’inizio dello scorso anno il marchio era di proprietà di Smemoranda Group, gruppo finanziario che controllava una serie di società attive in ambiti diversi, come la distribuzione di articoli per la scuola e la produzione di programmi televisivi, e che è fallita lo scorso marzo dopo una crisi di diversi anni. Faceva parte del gruppo anche Zelig Media Company, società che gestiva lo storico locale di cabaret in viale Monza a Milano, e si occupava della produzione dell’omonimo programma in onda su Mediaset, che ne ha acquistato il marchio nel dicembre del 2022.

Smemoranda Group era da tempo in difficoltà economiche e aveva accumulato molti debiti. Era accaduto soprattutto nel 2020, quando la sospensione delle attività scolastiche dovuta alla pandemia da coronavirus aveva portato a una drastica diminuzione delle vendite: le agende di Smemoranda sono infatti prodotti rivolti in particolare agli studenti, e la didattica a distanza aveva precluso all’azienda una fetta di mercato fondamentale.

I ricavi erano diminuiti anche a causa della chiusura prolungata di cartolerie e librerie, che rappresentavano dei punti vendita fondamentali per l’azienda: una parte importante del fatturato era infatti legata alle attività di Gut Distribution, una società controllata che si occupava di distribuire non soltanto i prodotti Smemoranda, ma anche quelli ottenuti in licenza da altri marchi come Eastpak e Napapijri. Alla fine del 2020 i ricavi di Smemoranda Group erano quasi dimezzati rispetto all’anno precedente: da 47,6 a 27,9 milioni di euro.

Nel marzo del 2022 Smemoranda Group aveva attivato la procedura di composizione negoziata della crisi, una procedura introdotta con decreto-legge nel 2021 per consentire alle aziende di evitare il fallimento. Attraverso questa procedura, l’azienda può chiedere al segretario generale della camera di commercio della propria circoscrizione territoriale la nomina di un esperto indipendente che si occupi di affiancarla nelle trattative con i creditori. Lo scopo è quello di raggiungere un accordo sulla ristrutturazione del debito, ossia far sì che i creditori acconsentano a ottenere meno di quanto spetterebbe loro, in modo da alleggerire il peso dei debiti sulla società ma evitarne il fallimento, con cui rischierebbero di non ottenere niente.

Sempre per evitare il fallimento nel dicembre del 2022 Smemoranda Group aveva venduto Zelig, uno dei suoi marchi più importanti, a Reti Televisive Italiane (RTI), una controllata del gruppo Mediaset, per 6 milioni di euro. Nello stesso mese, dopo che le trattative per la ristrutturazione del debito erano fallite, il gruppo era stato ammesso alla procedura di concordato preventivo “con riserva”, l’ultima possibile per evitare di fallire.

Nel marzo dello scorso anno, dopo che anche il concordato preventivo non era andato a buon fine, il tribunale di Milano aveva avviato la liquidazione giudiziale (ovvero il fallimento) di Smemoranda Group e di tutte le sue società. Sempre a marzo, la società Giochi Preziosi aveva ottenuto in licenza il marchio Smemoranda fino al 31 dicembre del 2023, distribuendo nelle edicole l’edizione più recente dell’agenda, quella relativa all’anno scolastico 2023/2024.

Già nel 2020, per far fronte alla diminuzione dei ricavi, l’azienda aveva iniziato a ridurre il personale in modo significativo: «Durante la pandemia abbiamo fatto 18 mesi di cassa integrazione. L’azienda aveva anche smesso di versare i contributi, senza fornire alcuna comunicazione ufficiale al riguardo», dice al Post un’ex dipendente di Smemoranda che ha preferito restare anonima per poter parlare liberamente della questione. «Lo abbiamo scoperto da soli, quando i colleghi più anziani, più vicini alla pensione, hanno riscontrato delle anomalie nei conteggi», racconta.

Anche se gli effetti della pandemia hanno certamente contribuito ad accelerare la crisi, secondo l’ex dipendente la situazione aveva iniziato a peggiorare già qualche anno prima, dopo che nel 2017 l’azienda aveva deciso di quotarsi in borsa, e per perseguire questo obiettivo negli anni aveva fatto una serie di investimenti. Un altro ex dipendente, che preferisce restare anonimo per gli stessi motivi, cita per esempio la Zelig TV, un canale televisivo aperto nel 2018 e chiuso dopo due anni, e l’acquisizione di Nava Design, un marchio che produce borse e accessori.

Nel 2019, per sostenere la sua crescita in vista della quotazione in borsa, il gruppo aveva emesso un prestito obbligazionario convertibile da 10 milioni di euro. Si tratta di un finanziamento a cui possono ricorrere le società per azioni: in sostanza, l’azienda emette delle obbligazioni che vengono acquistate dagli investitori che, in cambio, ottengono il diritto di ottenere il rimborso alla scadenza fissata e una quota di interessi. Queste obbligazioni vengono definite convertibili perché, oltre al diritto al rimborso e agli interessi, danno la possibilità a chi le compra di convertirle in quote della società, diventando così socio (o azionista, a seconda del tipo di società) e perdendo la qualifica di creditore.

Lo stesso anno aveva fatto ingresso nella compagnia il nuovo amministratore delegato, Gianni Crespi, che portò con sé «un management molto visionario ed espansionista» che, secondo l’ex dipendente, aveva ridotto il dialogo con i lavoratori, aumentando «la distanza tra i dipendenti e i vertici». Nel dicembre del 2022 l’azienda aveva licenziato 130 dipendenti e il 27 marzo del 2023, cinque giorni dopo l’inizio della procedura di liquidazione, sono stati licenziati anche gli ultimi lavoratori che erano rimasti.