Il Nobel per la Chimica a Moungi G. Bawendi, Louis E. Brus e Alexei I. Ekimov

Per la scoperta e la produzione dei "punti quantici", strutture di piccolissime dimensioni fondamentali in alcune tecnologie che usiamo tutti i giorni come le luci a LED

Louis Brus, Alexei Ekimov, Moungi Bawendi (AP Photo)
Louis Brus, Alexei Ekimov, Moungi Bawendi (AP Photo)

Il Premio Nobel per la Chimica 2023 è stato assegnato a Moungi G. Bawendi, Louis E. Brus e Alexei I. Ekimov «per la scoperta e la produzione dei punti quantici». Il Nobel è uno dei premi più prestigiosi in ambito scientifico: quello per la Chimica viene assegnato dal 1901.

I “punti quantici” (“quantum dots”) sono nanoparticelle così piccole che la loro stessa dimensione determina le loro proprietà. Questi componenti sono fondamentali in numerose applicazioni legate alle nanotecnologie, in oggetti che usiamo tutti i giorni come televisori e luci a LED.

Nei primi anni Ottanta Brus ed Ekimov riuscirono a creare i primi punti quantici, particelle talmente piccole da avere caratteristiche strettamente legate agli effetti della meccanica quantistica. Una dozzina di anni dopo, Bawendi riuscì a trovare un sistema per produrre quantum dots ancora più efficienti, aprendo a grandi opportunità per il loro utilizzo nella vita di tutti i giorni.

Se indaghiamo la materia nell’ordine dei milionesimi di millimetri si verificano infatti particolari fenomeni, chiamati effetti quantici, che sembrano contraddire ciò che intuitivamente sappiamo su tutto ciò che ci circonda e di cui in ultima istanza siamo fatti. Alla fine degli anni Trenta del Novecento le possibilità di questi fenomeni erano state già esplorate a livello teorico, con calcoli ed equazioni che consentivano di prevedere molti degli effetti quantici, ma passare dalla teoria alla pratica con gli strumenti dell’epoca non era semplice considerato che si dovevano creare strutture un milione di volte più piccole della punta di un ago.

I primi risultati furono raggiunti negli anni Settanta con la produzione di alcune nanostrutture, che richiedevano però un ambiente con un vuoto pressoché totale e temperature vicine allo zero assoluto (0 K o -273,15 °C). Non sembravano quindi esserci grandi possibilità per delle applicazioni pratiche.

Le cose cambiarono quando nell’Unione Sovietica di fine anni Settanta Alexei Ekimov iniziò a interessarsi a una particolare caratteristica ottica del vetro, cioè la sua capacità di assumere diverse colorazioni anche se viene prodotto con la stessa sostanza. Ciò dipende dal modo in cui viene scaldato e raffreddato nella fase di produzione: i colori derivano da come si formano le particelle al suo interno e in particolare dalle loro dimensioni. Ekimov condusse vari esperimenti verificando con analisi ai raggi X che effettivamente le dimensioni delle particelle nel vetro erano dovute alle modalità di produzione e che in alcuni vetri se ne potevano trovare di grandi appena due nanometri e in altri di 30 nanometri.

A seconda delle dimensioni di queste particelle la luce veniva assorbita in modo diverso: più erano piccole più la luce virava verso il blu, perché lo spazio disponibile per gli elettroni intorno alle particelle diminuisce e ciò influisce sulle proprietà ottiche della particella. Ekimov si rese conto di essere davanti a un effetto quantico e di avere realizzato per la prima volta in modo consapevole dei punti quantici, cioè delle nanoparticelle che causano effetti quantici dipendenti dalle loro dimensioni.

Quando le particelle hanno un diametro di solo alcuni nanometri, lo spazio disponibile per gli elettroni si restringe e questo influisce sulle proprietà ottiche della particella (Nobel Prize)

Ekimov pubblicò i risultati delle proprie ricerche nel 1981 in Unione Sovietica, ma all’epoca le informazioni scientifiche circolavano con difficoltà anche nel blocco occidentale. Fu così che lo statunitense Louis Brus, completamente inconsapevole del lavoro di Ekimov, arrivò alle medesime conclusioni nel 1983 lavorando su alcune soluzioni in vista del loro utilizzo nella produzione di reazioni chimiche da produrre sfruttando l’energia solare. Come Ekimov, Brus si accorse che più piccole erano le particelle su cui lavorava, più la luce che assorbivano virava verso il blu.

Non era una scoperta da poco, perché le proprietà ottiche di una sostanza dipendono dai suoi elettroni, che influiscono anche su altre proprietà come la capacità di condurre l’elettricità o di determinare la velocità di una reazione chimica. Il cambiamento nella capacità di assorbimento rendeva possibile la creazione di nuovi materiali, sfruttando una proprietà che si aggiungeva a quelle già note come il numero di elettroni.

Il metodo sviluppato da Brus per produrre le nanoparticelle non funzionava però sempre a dovere e rendeva difficoltosa soprattutto la produzione di particelle tutte della stessa dimensione. Il problema fu risolto da Moungi Bawendi, che nel 1988 aveva iniziato il proprio dottorato al laboratorio di Brus trasferendosi poi al Massachusetts Institute of Technology (MIT). Nel 1993 insieme al proprio gruppo di ricerca Bawendi riuscì a produrre nanocristalli di una dimensione specifica partendo da una soluzione che veniva saturata con le sostanze necessarie per produrre gli stessi nanocristalli. Il metodo fu ulteriormente perfezionato e rese possibile una produzione molto semplice e rapida rispetto alle esperienze precedenti.

Oggi i punti quantici sono presenti in molti prodotti, a cominciare dai sistemi di illuminazione. Se vengono illuminati con luce blu, assorbono quel colore e ne emettono altri: modificando le dimensioni delle particelle diventa quindi possibile determinare il colore che produrranno. Negli schermi QLED dei televisori è questa tecnologia a rendere i colori e la “Q” sta proprio per “quantum dots”. La stessa tecnologia viene impiegata in alcuni tipi di lampadine a LED per rendere più “calda” o “fredda” la luce. In ambito medico, le caratteristiche dei quantum dots legate alla luce sono sfruttate per esami diagnostici per esempio per mappare alcune attività cellulari. Nella chimica, sono invece impiegati per controllare particolari reazioni chimiche. In futuro il loro utilizzo sarà fondamentale per realizzare sensori elettronici sempre più piccoli e probabilmente per nuove generazioni di sistemi informatici. Tutto grazie a un’intuizione su un materiale che usiamo da millenni: il vetro.

Moungi G. Bawendi è nato nel 1961 a Parigi, in Francia, ha conseguito un dottorato nel 1988 presso l’Università di Chicago (Stati Uniti) ed è docente al Massachusetts Institute of Technology (MIT).

Louis E. Brus è nato nel 1943 a Cleveland (Stati Uniti) e ha conseguito il proprio dottorato nel 1969 alla Columbia University, dove è docente.

Alexei I. Ekimov è nato nel 1945 nell’ex Unione Sovietica, ha conseguito il proprio dottorato nel 1974 a San Pietroburgo e in seguito si è trasferito negli Stati Uniti per proseguire le proprie attività di ricerca.