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  • Lunedì 25 settembre 2023

Per Manzoni i “Promessi sposi” andavano ricordati «per forza»

Cioè leggendoli da giovani, come fanno da più di un secolo i liceali italiani: lo scrisse in una lettera alla figlia Vittoria

Nino Castelnuovo nei panni di Renzo Tramaglino e Paola Pitagora in quelli di Lucia Mondella in una scena dello sceneggiato della Rai "I promessi sposi" girata nel 1966 sul lago di Como (Ansa-FARABOLAFOTO)
Nino Castelnuovo nei panni di Renzo Tramaglino e Paola Pitagora in quelli di Lucia Mondella in una scena dello sceneggiato della Rai "I promessi sposi" girata nel 1966 sul lago di Como (Ansa-FARABOLAFOTO)
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I promessi sposi di Alessandro Manzoni fu pubblicato inizialmente tra il 1825 e il 1827 e nella sua forma definitiva, rivista e corretta dallo scrittore, tra il 1840 e il 1842. Il romanzo ebbe un grande successo per i parametri dell’epoca, quando negli stati italiani le persone che sapevano leggere erano la minoranza e non esisteva ancora un’industria editoriale. Ma già nel 1849 Manzoni si preoccupava che la sua opera potesse essere dimenticata dai giovani. Lo si deduce da una lettera alla figlia Vittoria citata in La famiglia Manzoni di Natalia Ginzburg, una biografia che l’autrice di Lessico famigliare scrisse all’inizio degli anni Ottanta. La lettera parlava di Luisa, figlia di Vittoria, ma letta oggi fa pensare alle generazioni di studenti italiani che hanno letto I promessi sposi a scuola.

Quella bambina prodigiosa, la bambina di Vittoria, a due anni conosceva tutti i personaggi dei Promessi sposi, «e al bisogno li rammentava agli altri». «Mantenetela in queste bone disposizioni, – scriveva Manzoni a Vittoria, – e appena saprà leggere correttamente, quello è il libro da farle leggere; che questo è il mezzo di farglielo piacere tutta la vita. Io, vecchio come sono e smaliziato, non posso dare un’occhiata alle novelle del Soave, agli sciolti del Frugoni, alle Veillées du Château di Madama di Genlis bona memoria, senza un vivo sentimento di simpatia, senza un palpito al core: perché? Perché son cose che ho letto da bambino. E ora che i Promessi sposi hanno passata una bona parte della vita che gli era destinata, e invecchiano alla maledetta, c’è proprio bisogno che vengano su di quelli che se ne rammenteranno per forza. E se questa carità non me la fanno quelli che hanno il mio sangue, chi me la farà?»

I promessi sposi fa parte dei programmi scolastici italiani quasi da quando esiste lo stato italiano. Fin dal 1870, nove anni dopo l’Unità d’Italia, era letto in molte scuole e i “Programmi per l’insegnamento nei Licei e nei Ginnasi in esecuzione del Regio decreto 16 giugno 1881” consideravano la sua prosa «la più utile da leggere nelle scuole» tra «le cose dei moderni», e ne prescrivevano la lettura nei primi anni della scuola superiore. Manzoni scrisse il romanzo con l’ambizione di definire e usare la lingua italiana – nell’Ottocento l’Italia era divisa non solo politicamente ma anche linguisticamente, si parlavano i dialetti – e poi la scuola lo sfruttò anche per insegnarla.

L’uso di leggere integralmente I promessi sposi nei primi due anni dei licei venne confermato con la cosiddetta “riforma Gentile” del 1923. Negli ultimi anni sui giornali ci sono stati periodici dibattiti sull’opportunità di continuare a considerare il romanzo una lettura obbligatoria, ma senza che le cose siano cambiate. La lettura dei Promessi sposi è citata nelle “Indicazioni nazionali” per i licei stabilite nel 2010 dal ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che hanno preso il posto dei “programmi”: definiscono il romanzo di Manzoni «opera che somma la qualità artistica, il contributo decisivo alla formazione dell’italiano moderno, l’esemplarità realizzativa della forma-romanzo, l’ampiezza e la varietà di temi e di prospettive sul mondo».