La bonifica di Bagnoli è infinita anche nei costi

Serviranno 232 milioni in più del previsto per rimuovere gli inquinanti da dove una volta c'era un grande stabilimento dell'ILVA, a Napoli

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Una parte dell'ex area industriale di Bagnoli, a Napoli (ANSA/CESARE ABBATE)
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Negli ultimi trent’anni lo Stato ha speso moltissimi soldi per riqualificare Bagnoli, un quartiere di Napoli che per buona parte del Novecento ha ospitato grandi stabilimenti industriali. È un progetto costoso e secondo molti “infinito”, perché di fatto non è ancora iniziato e non si sa quando e se finirà. Dalla metà degli anni Novanta ci sono stati annunci, task force, rendering, commissari e sub commissari: secondo la Corte dei Conti fino al 2020 erano stati spesi 900 milioni per preparare la riqualificazione mai davvero partita. Nell’ultimo bando sono stati stanziati altri 116 milioni soltanto per le bonifiche dei terreni, ma i soldi non basteranno. Bernardo Mattarella, amministratore di Invitalia, la società statale che si occupa del progetto, ha inviato una nota al sindaco di Napoli e commissario della riqualificazione, Gaetano Manfredi, per avvertirlo dell’aumento dei costi per le bonifiche. In totale serviranno 348 milioni di euro, 232 in più rispetto al previsto.

Bagnoli si trova nella periferia occidentale della città. Il quartiere si estende su un’area di circa otto chilometri quadrati dove abitano circa 25mila persone. Si affaccia sul mare nella baia di Pozzuoli. Dalla metà dell’Ottocento il marchese Candido Giusso costruì un piccolo nucleo residenziale con l’idea di trasformare Bagnoli in una località turistica, ma le cose andarono diversamente.

Nel 1904 la zona di Coroglio, all’interno del quartiere, venne individuata come la più idonea a costruire un grande stabilimento dell’ILVA, l’azienda siderurgica che nel 1961 avrebbe cambiato nome in Italsider per poi recuperare il nome originale nel 1988. Bagnoli fu scelto perché aveva a disposizione terreni vasti acquistabili a costi contenuti. Il progetto aveva indubbi vantaggi dal punto di vista economico, ma all’epoca nessuno valutò le conseguenze ambientali in un’area così vicina al mare. All’inizio degli anni Sessanta si aggiunsero al complesso industriale di Bagnoli gli stabilimenti di Eternit, l’azienda di edilizia conosciuta per l’utilizzo dell’amianto, di Cementir e Montecatini, una grande azienda chimica.

Nel 1985 chiuse lo stabilimento dell’Eternit e nel 1993 l’ILVA. Nel giro di poco tempo cominciarono i lavori per smantellare gli impianti. Già nel 1994 il comune di Napoli e la regione Campania si resero conto che sarebbero serviti tanti soldi e tanto tempo per bonificare le aree da quasi un secolo di attività industriale molto inquinante. Furono stanziati i primi 400 miliardi di lire, circa 390 milioni di euro di oggi, ma i lavori non furono mai completati per una serie di problemi legati soprattutto alla stabilità del suolo. Nel 1996 venne creata la società Bagnoli Spa che smantellò la maggior parte degli edifici. Dopo sei anni di lavori, tuttavia, era stato completato soltanto il 30 per cento delle bonifiche delle sole strutture.

Uno dei problemi principali della bonifica era la “colmata a mare”, una vasta superficie di 195mila metri quadrati riempita di cemento e scarti dell’altoforno realizzata alla metà degli anni Sessanta per far fronte alla necessità di ampliare lo stabilimento siderurgico. La colmata e la relativa bonifica ostacolano i lavori per il risanamento del tratto di costa. Ancora oggi, a quasi trent’anni di distanza dal primo progetto di bonifica, nessuno è riuscito a rimuoverla.

Nel 2002 il comune affidò la riqualificazione a una società creata appositamente, Bagnoli Futura. Il progetto prevedeva tra le altre cose la realizzazione di un parco, di una spiaggia, di un “parco dello sport”, di infrastrutture per la ricerca e di strutture adatte alla ricezione dei turisti. Come spesso accade per i piani così grandi e ambiziosi, già nelle prime fasi emersero problemi amministrativi, ritardi, ricorsi, blocchi dei fondi e tentativi di ridimensionare le previsioni per limitare tempi e costi. Furono riqualificati alcuni spazi, ma le nuove strutture non furono mai aperte e in poco tempo vennero di fatto abbandonate.

Nel 2011 ci fu un primo sequestro di terreni legato alle mancate bonifiche e nel 2013 la procura di Napoli indagò 21 persone tra dirigenti di enti locali e di Bagnoli Futura con l’accusa di disastro ambientale. Il 4 marzo del 2013 un incendio doloso danneggiò gravemente la Città della Scienza, una struttura che a Bagnoli ospita un museo scientifico e centri di ricerca.

Ci furono poi diversi problemi economici che si sono trascinati fino allo scorso anno. Nel 2013 Fintecna, una società controllata per l’80 per cento dal ministero dell’Economia, chiese a Bagnoli Futura di saldare un debito di 59 milioni di euro. Il debito risaliva al 2001, quando il comune di Napoli acquistò i terreni industriali da Mededil e CimiMontubi, due società confluite in Fintecna, senza pagare l’intero importo previsto. Al termine di un lungo contenzioso, nel 2022 il comune è stato condannato a pagare 80 milioni di euro in aggiunta a un acconto di 20 milioni già versato negli anni precedenti.

Nel frattempo nel 2019 Invitalia aveva promosso un concorso internazionale per una nuova ed ennesima progettazione. Ha vinto Balneolis, presentato da dodici società tra studi di progettazione architettonica, urbana e paesaggistica, società di ingegneria e professionisti del settore. Il nuovo progetto si sviluppa su tre ambiti. È previsto un parco naturale, con la rimozione della colmata a mare per unire la costa alla collina; un ambito chiamato bosco “produttivo” con il recupero delle coltivazioni arboree e delle specie autoctone; e un parco urbano vicino al quartiere residenziale e alle nuove costruzioni.

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Il rendering del progetto Balneolis che ha vinto il concorso promosso da Invitalia nel 2021 (Invitalia)

Negli ultimi anni le operazioni di bonifica sono andate avanti tra lentezze e ritardi. Non sono ancora finite, anzi secondo Invitalia dovranno essere trattati anche terreni finora considerati sani. Nella nota inviata la scorsa settimana al comune di Napoli, l’amministratore di Invitalia Bernardo Mattarella ha spiegato le ragioni di un aumento dei costi di 232 milioni. In seguito a una ricognizione sono state individuate zone contaminate «non ritenute in fase di prima stesura della previsione di spesa in quanto esse in precedenza erano state oggetto di bonifica». Significa che andranno bonificate aree che in teoria erano già state bonificate anni fa. I costi sono aumentati anche per la scoperta di nuovi contaminanti come i policlorobifenili (PCB) provenienti da vecchi prodotti oggi vietati, la cui tossicità è simile a quella delle diossine.

Invitalia ha suggerito al comune di spostare tutti i soldi stanziati sulle bonifiche dei terreni, anche quelli previsti per altre spese. Fino a quando non si concludono le bonifiche, infatti, non si può andare avanti con il resto. «Le opere progettate potranno trovare copertura alternativamente mediante richiesta di assegnazione di ulteriori risorse del PSC 2014-20 [piano di sviluppo e coesione, ndr] derivanti da riprogrammazioni ovvero di assegnazioni a valere sul 2021- 27», ha scritto Mattarella nella sua nota. In sostanza serviranno molti altri soldi, perché al conto finale mancano i costi delle bonifiche dell’area a mare. Secondo le prime stime serviranno 150 milioni di euro per rimuovere la colmata, 250 per bonificare i fondali, 100 per gli arenili. In totale 500 milioni di euro.

Il nuovo aumento dei costi era stato previsto dal sub commissario di Bagnoli, il notaio Dino Falconio, che venerdì 16 giugno durante un incontro al circolo ILVA era apparso piuttosto sconsolato. «È tutto talmente lento, farraginoso», aveva detto riferendosi alle bonifiche. «I risultati che si potrebbero ottenere con una certa celerità, invece non si raggiungono. E a qualcuno questo sta bene. Sono quelli che campano sull’eterna progettazione, l’eterno rinvio, la mancanza della relazione che fa ritornare tutto all’inizio. Come il gioco dell’oca».

Il sindaco di Napoli e commissario di Bagnoli, Gaetano Manfredi, è invece ottimista sulla possibilità di trovare nuovi fondi. «Le bonifiche stanno procedendo secondo il cronoprogramma. Vi è certezza sui costi da sostenere», ha detto. «Occorre che il governo preveda ulteriori stanziamenti per completare il risanamento a mare e realizzare le infrastrutture».