Come Tina Turner contribuì a diffondere consapevolezza sulla violenza domestica

La celebre cantante parlò pubblicamente degli abusi subiti da parte dell'ex marito Ike Turner, ispirando moltissime donne a fare lo stesso

Tina Turner durante un evento a New York nel gennaio del 1989
Tina Turner durante un evento a New York nel gennaio del 1989 (AP Photo/ Susan Ragan)
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La carriera della celebre cantante pop e soul Tina Turner, morta mercoledì a 83 anni, cominciò quando era giovanissima, e per circa vent’anni fu legata al duo con il cantante e chitarrista Ike Turner, suo marito, da cui prese il cognome. Nei 16 anni di matrimonio con Turner tuttavia la cantante subì ripetuti abusi domestici e sessuali di cui decise di parlare pubblicamente nel 1981, dopo averlo lasciato e mentre stava avviando con qualche difficoltà una carriera da solista che sarebbe stata poi di grande successo. Secondo molti, il fatto che una persona così famosa e apprezzata avesse denunciato le violenze subite contribuì significativamente ad aumentare la consapevolezza sul tema e incoraggiò numerose donne a fare lo stesso.

Ike e Tina Turner (il cui vero nome era Anna Mae Bullock) si conobbero alla fine degli anni Cinquanta durante un concerto della band rock’n’roll Kings of Rhythm, in cui lui suonava il piano. Lei gli fece sentire come cantava e lui, intuendo le sue enormi potenzialità, la fece entrare nel gruppo. Poco dopo i due cominciarono a esibirsi da soli come Ike & Tina Turner: nel 1962 si sposarono e negli anni successivi ottennero un grande successo grazie a canzoni come “River Deep – Mountain High” e  “Proud Mary”. Il matrimonio però per Tina Turner era «una tortura».

Nel 1981 durante un’intervista alla rivista People la cantante parlò per la prima volta pubblicamente degli abusi domestici che aveva subìto durante la relazione con Ike Turner. Raccontò di avere «una paura folle di quell’uomo» e disse che tra le altre cose l’aveva costretta ad andare in un bordello la stessa sera del loro matrimonio, che la stuprava e che le aveva provocato un’ustione lanciandole addosso del caffè bollente. Turner disse anche che il marito l’aveva picchiata con un calzascarpe mentre era incinta e che una volta prima di salire sul palco le aveva rotto il naso e la mandibola. Nel 1968 a causa delle violenze subite aveva pensato di suicidarsi.

Nell’intervista Turner spiegò di avere sempre avuto paura di parlare pubblicamente degli abusi subiti per il timore di ritorsioni da parte del marito, che negò sempre ogni accusa e morì nel 2007. Nel 1978 tuttavia aveva deciso di lasciarlo dopo essersi resa conto dell’impatto che le violenze avevano sui loro quattro figli. «Vivevo una vita di morte. Non esistevo», disse Turner, «Ma riuscii a sopravvivere. E quando me ne andai, me ne andai. Senza guardarmi indietro». «Mi sentii orgogliosa. Mi sentii forte. Mi sentii come se fossi Martin Luther King», commentò in seguito.

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In quel periodo la carriera solista di Turner stava faticando a ingranare. Poi nel 1984 pubblicò il disco Private Dancer, che finì in cima alle classifiche, vendette 12 milioni di copie e la consacrò come una delle cantanti pop di maggiore successo del tempo. Secondo varie associazioni statunitensi che si occupano di dare sostegno alle persone che hanno subìto abusi domestici, al di là della sua grande influenza a livello musicale, Turner fu anche un’ispirazione per moltissime donne per via della sua storia personale.

La direttrice del Domestic Violence Institute, Lenore Walker, ha detto che parlando pubblicamente della sua esperienza Turner «portò consapevolezza sul fatto che la violenza domestica fosse dappertutto» e aiutò molte altre donne a parlare degli abusi che avevano a loro volta subìto. Concorda anche Ruth Glenn, amministratrice delegata e presidente della National Coalition Against Domestic Violence, secondo cui negli anni Ottanta le persone non avevano «le parole giuste» per descrivere o denunciare gli abusi subiti: poi però arrivo Tina Turner, «un’icona», una persona che «sfondò quelle barriere».

Alana Brown, tra le responsabili di The Safe Sisters Circle, un’associazione che offre sostegno alle donne afroamericane vittime di violenze, dice che per le donne della sua generazione Turner era un modello e un’ispirazione. Il fatto che avesse parlato pubblicamente degli abusi subiti «fece sentire le persone meno sole, fece una differenza enorme per moltissime donne», dice Brown. Come ha osservato Maureen Curtis, vicepresidente della più grande organizzazione statunitense che offre sostegno alle persone che subiscono abusi, Safe Horizon, Turner ebbe «sicuramente un impatto enorme».

Turner tornò a parlare delle violenze subite anche nell’autobiografia del 1986 Io, Tina e più di recente nel documentario Tina, in cui viene intervistata anche la popolare conduttrice statunitense Oprah Winfrey, sua grande fan, che ricorda come la sua generazione fosse quella che cominciò a «rompere il silenzio» sul tema degli abusi.

Una delle donne che hanno detto di aver avuto il coraggio di parlare delle violenze domestiche subite grazie al modo in cui lo aveva fatto Turner è Melanie Brown, cantante delle Spice Girls, che lo aveva fatto in un libro nel 2018. Turner «è l’unica persona che mi viene in mente che aveva parlato pubblicamente della violenza domestica in maniera così articolata», ha detto Brown: «Ha dato a me e a molte altre la speranza che la vita potesse andare avanti».