Quanto è realistico “The Diplomat”

La serie che parla di un'ambasciatrice degli Stati Uniti a Londra si prende molte libertà: per chi il lavoro lo conosce è poco verosimile

the diplomat
(Alex Bailey, Netflix via IMDb)
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In una recente intervista al New York Times l’ambasciatrice degli Stati Uniti a Londra, Jane Hartley, ha raccontato come nelle ultime settimane il suo lavoro abbia attirato moltissime attenzioni e curiosità a causa di The Diplomat, la serie tv prodotta da Netflix che parla proprio di una diplomatica statunitense che viene scelta un po’ a sorpresa come ambasciatrice nel Regno Unito.

The Diplomat è uscita il 20 aprile ed è diventata in poco tempo la serie di Netflix più vista in entrambi i paesi, ottenendo un buon successo anche in Italia. È stata seguita e molto commentata soprattutto da giornalisti, analisti politici e dagli stessi diplomatici statunitensi, che hanno raccontato come per certi versi sia accurata, ma per molti altri non sia affatto verosimile.

La protagonista della serie si chiama Kate Wyler ed è una diplomatica con una lunga esperienza in paesi complicati e zone di crisi, che nella prima puntata si aspettava di essere mandata in Afghanistan in vista della riapertura dell’ambasciata degli Stati Uniti a Kabul. Wyler è interpretata dall’attrice statunitense Keri Russell, nota soprattutto per la serie The Americans. Il presidente degli Stati Uniti tuttavia decide di nominarla ambasciatrice nel Regno Unito, anche per capire se abbia lo spessore per diventare vicepresidente. Lei accetta – prima di sapere che il suo incarico sarebbe stato una specie di test – e va a Londra con il marito, a sua volta un ex ambasciatore, seppur dalla reputazione controversa, interpretato dal britannico Rufus Sewell.

La serie è stata creata da Debora Cahn, una tra gli autori e i produttori di The West Wing e Homeland, altre serie che hanno a che fare con la politica e le agenzie di intelligence statunitensi (la prima particolarmente apprezzata per la sua accuratezza anche dai conoscitori e protagonisti della politica degli Stati Uniti). Si sviluppa attorno a una grossa crisi di politica internazionale legata all’attacco a una portaerei britannica compiuto da un paese straniero, forse l’Iran o la Russia, ma soprattutto ruota attorno alla figura di Wyler, che si deve districare allo stesso tempo tra un matrimonio in crisi e le aspettative del suo nuovo lavoro: che nella realtà è un po’ meno scoppiettante di quello che viene mostrato.

Secondo l’ex diplomatico statunitense Lewis Lukens, che ha lavorato anche a Londra, The Diplomat è «abbastanza realistica da risultare quasi plausibile». Per altri, come il giornalista esperto di relazioni internazionali e politica estera statunitense Fred Kaplan, è apprezzabile ma la sua trama non ha alcun senso. In generale, gran parte degli addetti ai lavori intervistati dai giornali statunitensi ha osservato numerosi aspetti che non rispecchiano la realtà. La stessa ambasciata statunitense a Londra ha girato un breve video per rivelare cosa ci sia di autentico nel primo episodio della serie (tra le altre cose, la sede dell’ambasciata mostrata nella serie è quella reale, mentre la residenza dell’ambasciatrice no).

Intanto, il ruolo di ambasciatore degli Stati Uniti a Londra generalmente non viene assegnato a diplomatici di carriera, bensì a politici o a ricchi sostenitori che hanno raccolto fondi e donazioni in campagna elettorale (come nel caso di Hartley, che raccolse grandi somme per i Democratici): queste ultime non sono necessariamente persone che sanno poco di diplomazia e affari internazionali, ma di norma vengono nominate più sulla base di ragioni e opportunità politiche, che per la loro esperienza diplomatica. Anche perché molto difficilmente fra Stati Uniti e Regno Unito potrebbero nascere crisi che richiedono l’esperienza di diplomatici di carriera. Lo fa capire la stessa serie in una scena in cui un’assistente dell’ambasciata chiede al marito di Wyler se la coppia debba far trasportare a Londra la sua collezione di opere d’arte, e lui le risponde: «Siamo diplomatici di carriera, non ne abbiamo una».

Inoltre, il presidente degli Stati Uniti non può decidere da solo di incaricare un ambasciatore o un’ambasciatrice come accade nella serie: la nomina deve essere ratificata dal Senato, con un processo che dura settimane o addirittura mesi.

Secondo Kaplan, che ne ha parlato in un articolo su Slate, è poi «davvero ridicolo» che il presidente nella serie – un uomo bianco e di circa 75 anni, che sembra aver perso il consenso degli elettori – punti a far diventare Wyler vicepresidente. Nella realtà quella è una decisione complessa e articolata, in cui sarebbero sicuramente coinvolti molti più membri dell’amministrazione; in più Wyler non ha alcuna esperienza politica né ambizioni di diventarlo, gli elettori non la conoscono, e per tutte queste ragioni sarebbe quindi una candidata assolutamente improbabile.

Seppur con qualche eccezione, poi, nemmeno i diplomatici ai livelli più alti usano jet privati, come si vede spesso nella serie, ma prendono voli commerciali. Sebbene il personale della residenza dell’ambasciatrice a Londra faccia attenzione ad avere tutto in ordine e in qualche caso prepari le valigie agli ambasciatori, non ci sono stylist che suggeriscano loro cosa indossare per fare bella figura, come succede a Wyler prima di un servizio fotografico su una prestigiosa rivista di moda (un’occasione pensata per farla apprezzare di più al pubblico britannico).

In generale The Diplomat omette tutta una parte molto importante del lavoro di un’ambasciata, dalle lungaggini della burocrazia agli impegni con la stampa, e mostra un’ambasciatrice molto operativa, quando in realtà il suo ruolo è perlopiù cerimoniale (perlomeno a Londra).

Stando a quanto dicono gli addetti ai lavori, però, la serie è accurata sia nell’uso del gergo che nella descrizione dei rapporti tra i vari uffici, così come nel modo in cui affronta la complessità dei legami tra paesi stranieri: informazioni che gli autori hanno ricavato documentandosi e parlando con vari diplomatici, raccontano sia Kaplan che il portavoce dell’ambasciata statunitense a Londra, Aaron Snipe.

È piuttosto verosimile anche il rapporto molto stretto fra Wyler e il suo deputy chief of mission, cioè il secondo funzionario più alto in grado di un’ambasciata statunitense. L’attuale vero deputy chief of mission di Londra, Matthew Palmer, ha spiegato che comunque il suo compito principale è quello di gestire l’ambasciata, una delle più grandi rappresentanze degli Stati Uniti al mondo, che ha circa 1.100 dipendenti.

Ci sono però altre questioni che non sono del tutto realistiche. Per fare qualche esempio, come osserva Politico, le coppie di diplomatici esistono, ma è piuttosto difficile che i mariti o le mogli degli ambasciatori assistano ai loro incontri ufficiali, come fa il marito di Wyler. Nella serie si allude in più occasioni al fatto che il Regno Unito abbia lasciato l’Unione Europea e alla guerra in corso in Europa, però non si parla mai del coinvolgimento della NATO riguardo all’attacco alla nave britannica, cosa che nella realtà accadrebbe. Anche il fatto che si parli di una riapertura dell’ambasciata statunitense a Kabul è inverosimile, visto che gli Stati Uniti hanno detto in più occasioni di non avere intenzione di tornare nel paese (anche se ci sono diplomatici che se ne occupano).

C’è infine il tema dell’alleanza tra Stati Uniti e Regno Unito, che sono da sempre paesi molto vicini, ma i cui rappresentanti nella serie hanno spesso posizioni contrastanti. Il primo ministro britannico Nicol Trowbridge (Rory Kinnear) è un personaggio colto e molto schietto, che tra le altre cose promette di bombardare l’Iran per l’attacco alla nave britannica, pur senza avere le prove di una sua responsabilità, e sminuisce spesso Wyler, che cerca di farlo ragionare. Nessun politico del Regno Unito ad alti livelli si permetterebbe di fare dichiarazioni così forti, perdipiù in pubblico, anche perché probabilmente rischierebbe di essere sfiduciato dal parlamento.

– Leggi anche: Il mestiere dell’ambasciatore, spiegato bene

Il New York Times osserva che l’ultimo ambasciatore con una storia vagamente simile a quella che ha Wyler nella serie fu Raymond Seitz, inviato a Londra nel 1991 sotto l’amministrazione del presidente Repubblicano George H.W. Bush, che seppe del suo incarico direttamente da una sua telefonata. Seitz aveva una lunga esperienza come diplomatico sul campo in vari paesi, compresi il Canada, il Kenya e lo stesso Regno Unito, e restò a Londra anche dopo l’elezione del Democratico Bill Clinton due anni dopo. Tra le altre cose si occupò di gestire una crisi diplomatica legata a un visto concesso a Gerry Adams, l’allora presidente del Sinn Féin, il partito repubblicano nordirlandese a cui era legata la formazione paramilitare dell’Irish Republican Army (IRA).

Brett Bruen, che ha fatto parte dell’amministrazione di Barack Obama, l’ha infine definita un’opportunità mancata per mostrare ciò che si fa davvero in un’ambasciata, aggiungendo che fa sembrare i diplomatici delle specie di agenti segreti. Secondo Bruen, citato dal Guardian, è particolarmente deludente il fatto che il suo titolo riguardi esplicitamente questioni di politica estera, ma che poi racconti «cose che hanno poco o niente a che fare con la vera diplomazia», come a suo dire fanno anche altre serie tv.