Perché le banche falliscono

Di solito quando capitano più crisi assieme, e per ragioni anche estremamente diverse tra loro

(Oli Scarff/Getty Images)
(Oli Scarff/Getty Images)
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Nel giro di pochi giorni sono fallite due banche negli Stati Uniti (Silicon Valley Bank e Signature Bank) e una europea è entrata in crisi (Credit Suisse). Le banche possono fallire per tantissimi motivi: sia legati alla cattiva gestione – investimenti sbagliati, comportamenti illeciti – sia legati a fattori di contesto – instabilità finanziaria diffusa, panico dei risparmiatori, tassi di interesse che salgono o scendono.

Proprio per la rilevanza che i fattori di contesto hanno talvolta nell’innescare crisi bancarie esistono regole, leggi e sistemi di vigilanza per far sì che le banche rispettino certi standard di solidità, utili nel caso in cui si trovino ad affrontare delle difficoltà. Inoltre, proprio per la natura del loro business, le banche sono esposte a tantissime incertezze e la gestione e la mitigazione del rischio fanno parte della loro operatività.

L’attività di una banca si basa su un equilibrio delicato e ampiamente noto, che ha molto a che vedere con la fiducia che gli investitori e i correntisti hanno nel sistema. Le banche raccolgono denaro dai correntisti e dagli investitori e lo usano in larga parte per investire a loro volta, concedere mutui e prestiti: non hanno quindi mai a disposizione tutti i soldi dei propri clienti. Corrono un rischio, il cosiddetto rischio di liquidità, ma confidano nel fatto che è improbabile che tutti quanti ritirino la totalità dei fondi nello stesso momento. È un’eventualità remota, ma la cosiddetta corsa agli sportelli può mettere seriamente una banca nelle condizioni di fallire a prescindere dalla sua solidità.

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Una banca è esposta a diversi altri rischi: il rischio di credito, ossia che non le tornino indietro i soldi che presta; il rischio di interesse, legato ai cambiamenti imprevisti dei tassi di interesse; il rischio sovrano, legato al mancato pagamento di debiti esteri per interferenze politiche o governative, ma anche all’andamento dei titoli di stato che una banca può avere in portafoglio, ad esempio in caso di default di uno stato.

Nella maggior parte dei casi le crisi bancarie avvengono perché vari eventi legati a questi rischi si manifestano insieme: per esempio, il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 è avvenuto non solo perché la banca aveva fatto investimenti troppo azzardati e su strumenti finanziari rischiosissimi, ma anche perché nel sistema finanziario statunitense molti clienti avevano smesso di pagare le rate dei loro mutui, i cosiddetti mutui subprime.

Nei sistemi finanziari moderni le banche sono oltretutto molto interconnesse, anche a livello internazionale, e questo rende tutto il sistema vulnerabile alla crisi di un singolo istituto: anche il solo timore che una banca vada in crisi influisce a catena su tutte le altre, e il panico tra gli investitori può portare a proiettare le debolezze di un singolo istituto verso tutto il settore, anche se magari il settore è solido. Significa, semplificando, che vedendo una banca in difficoltà gli investitori potrebbero iniziare a vendere le azioni anche di altre banche che magari sono perfettamente sane, ma che in quel momento sono percepite come fragili perché l’intero sistema è percepito come traballante. Il rischio, a quel punto, è che tutto il sistema entri per davvero in sofferenza perché gli investitori vanno nel panico.

Per questo le banche centrali, i governi e le autorità di vigilanza sono talvolta disposte, per salvaguardare il sistema bancario generale, a concedere grandi prestiti di emergenza a un singolo istituto.

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