Il successo di “Everything Everywhere All at Once” ha richiesto un gran lavoro

Il grande favorito agli Oscar è costato pochissimo e ha sbancato, ma per produrlo sono serviti azzardi, rinunce e molte idee

di Gabriele Niola

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Il film con più candidature agli Oscar di quest’anno, e il favorito per la vittoria del maggior numero di premi, compreso quello al miglior film, è un grande caso cinematografico del 2022: Everything Everywhere All at Once. È una storia dal tono a tratti demenziale e surreale che usa l’umorismo, la fantascienza e il concetto di universi paralleli per raccontare qualcosa di più maturo e serio, cioè di una donna cinese in America, delle frustrazioni della vita e dei rapporti di una persona adulta con la sua famiglia. Tutto a partire da un problema di tasse.

Everything Everywhere All at Once è piaciuto moltissimo alla critica, che l’ha trovato un film divertente e originale, e non è costato troppo per gli standard americani: 14 milioni di dollari. Complessivamente ne ha incassati oltre 100 milioni, circa tre volte in più, per esempio, di The Fabelmans di Steven Spielberg, altro contendente per l’Oscar al miglior film. I guadagni sono stati superiori a quelli di tutti i film candidati all’Oscar per il miglior film nel 2022 e nel 2021.

A dirigerlo e scriverlo sono stati due registi al secondo film (Daniel Kwan e Daniel Scheinert) che potrebbero vincere il premio per la miglior regia, mentre la protagonista, che si contenderà probabilmente l’Oscar con Cate Blanchett, è Michelle Yeoh, star di Hong Kong e poi Hollywood diventata famosa nel mondo con La tigre e il dragone. Privo di registi famosi, privo di un grande budget, privo di una grande saga alle spalle, privo di attori capaci di attirare pubblico da soli e con una protagonista non più giovane, il successo di Everything Everywhere All at Once è considerato un possibile punto di svolta per il cinema di questi anni.

I Daniel (come vengono chiamati i due registi in America) avevano esordito con un fiasco, Swiss Army Man, un film da tre milioni di dollari di budget che negli Stati Uniti ne aveva incassato meno di uno e nel mondo quasi cinque. La cifra non aveva coperto il costo di produzione, visto che dell’incasso dei biglietti venduti metà spetta alle sale che proiettano il film. Anche quella era una storia che puntava sulla stranezza: un naufrago su un’isola deserta (Paul Dano) doveva trovare una maniera di sopravvivere potendo fare affidamento solo su un cadavere in decomposizione che emetteva gas nella forma di flatulenze (Daniel Radcliffe), finendo per stringerci un legame molto forte. Si trattava del tipo di film indipendente americano dalle ambizioni contenute, per il quale l’assurdità e la non convenzionalità di temi e ruoli costituivano la ragione stessa di esistere.

La storia di Everything Everywhere All at Once invece è quella di una proprietaria di lavanderia che, negli uffici del fisco, scopre che la sua noiosa vita di donna di mezz’età è solo una tra le molte esistenti, e che il suo noioso marito in un altro universo è un uomo d’azione. A quel punto comincia un viaggio tra mondi paralleli, caratterizzati da stili cinematografici differenti, colori diversi e in certi casi elementi paradossali che è complicato spiegare: c’è un nemico, c’è azione, c’è un obiettivo che i protagonisti devono raggiungere, ma anche molte sequenze puramente comiche. Nonostante le premesse il film risulta semplice e diretto, vedendolo, che è uno dei molti segreti del suo successo.

Anche per questo, per la difficoltà a immaginare il film finito potendo consultare solo la sua sceneggiatura, aver puntato su due autori il cui esordio era stato un grande insuccesso era stata una decisione rischiosa. Ad aiutare il film sono stati i fratelli Joe e Anthony Russo (autori di molti film per la Marvel incluso il più grande di tutti, Avengers: Endgame), che l’hanno prodotto, e la medesima società che li aveva sostenuti inizialmente, la A24, un distributore che lavora anche da produttore.

Negli ultimi anni la A24 si è fatta notare per la capacità eccezionale di riconoscere i nuovi talenti, di trasformare piccoli film in successi e per aver creato campagne promozionali intorno a produzioni che altri non avrebbero probabilmente saputo valorizzare. La A24 decise di investire sui Daniel una cifra quattro volte superiore rispetto al loro primo film, correndo il rischio di puntare su una sceneggiatura ancora più complicata.

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Con il suo approccio alla distribuzione e la sua filosofia di valorizzazione di cineasti indipendenti, la A24 è perciò uno degli elementi più importanti da considerare nella ricerca delle cause del successo di Everything Everywhere All at Once. Tra i film portati al successo dalla casa di produzione ci sono molti horror conosciuti e innovativi come Hereditary e The Witch, ma anche film da Oscar come Moonlight ed esordi importanti come Lady Bird di Greta Gerwig.

Tuttavia la storia di Everything Everywhere All at Once, a differenza delle altre, contraddice alcune buone regole non scritte che le case di produzione hanno generalmente seguito negli ultimi anni e che si credevano ineludibili. A partire dal fatto che per incontrare un ampio pubblico sia obbligatorio puntare su storie, personaggi o titoli già noti e appartenenti a filoni conosciuti. Invece la A24 negli anni ha saputo trovare meglio della concorrenza un punto d’incontro tra l’originalità che caratterizza il cinema indipendente ed elementi che di volta in volta potessero intercettare l’interesse e poi il gusto di un bacino di pubblico molto più ampio dei soli impallinati di cinema.

La A24, che è una società americana il cui nome fu scelto durante un viaggio in Italia sull’autostrada Roma-Teramo, per l’appunto la A24, ha scelto una strategia di diffusione del film vecchio stampo. Da anni, normalmente, per massimizzare gli incassi dei film ci si costruisce intorno una campagna pubblicitaria lunga e potente per incassare il più possibile nel primo weekend, nel maggior numero di sale che una distribuzione può permettersi. I film stanno quindi poco tempo nei cinema, si punta molto sull’aspettativa creata dalla lunga campagna promozionale e si stimola l’effetto “evento”, cioè la sensazione che quel film vada visto subito.

Questo nei decenni ha spostato all’inizio della vita commerciale di un film il grosso del suo incasso, incentivando un rapido avvicendamento nelle sale. I film rimangono meno tempo in programmazione, fatturando la maggioranza del proprio incasso nelle primissime settimane. Un film indipendente facilmente viene venduto invece direttamente ad una piattaforma, perché considerato più semplice e redditizio. Nel caso specifico però sono stati i Daniel ad insistere molto e a fare pressione sulla A24 per un’uscita al cinema.

Everything Everywhere All at Once alla fine è rimasto nelle sale americane da marzo a settembre del 2022 e ci è tornato poi a gennaio del 2023, per sfruttare il ritorno pubblicitario delle 11 nomination agli Oscar. La distribuzione è partita con pochissime copie in dieci cinema che sono stati affollatissimi (la media per copia era impressionante, 50.000 dollari a sala per weekend). Dopo due settimane il film è stato distribuito in un numero cospicuo di sale, coprendo tutto il paese e puntando sull’effetto passaparola. Invece che calare a partire dal secondo weekend, per quattro settimane consecutive il pubblico è aumentato e anche il numero di cinema in cui veniva proiettato. Alla fine si è arrivati a una presenza in contemporanea su 3.000 schermi americani. Il risultato buono (anche se non al medesimo livello) nel resto del mondo, dove ha incassato il 30% dei 100 milioni totali, è stato poi molto influenzato da come e quanto se ne sia parlato in occasione dell’uscita statunitense.

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Deadline, testata che si occupa di notizie dell’industria del cinema americana, ha riportato un’indagine della società di sondaggi PostTrak secondo la quale il 46% del campione intervistato era andato a vedere il film perché aveva sentito dire che era bello. Inoltre, come è facile immaginare, la stessa società ha confermato quanto una simile storia di persone americane di origine cinese abbia portato in sala più che in altri casi quel segmento demografico: mentre il pubblico dei film americani in media è formato da persone di provenienza asiatica per il 7%, nel caso di Everything Everywhere All at Once è stato del 21%.

In Italia il film è invece stato distribuito da I Wonder ed è uscito molto tardi, anche rispetto agli altri paesi del mondo in cui è stato distribuito, quando ormai aveva esaurito la sua permanenza nei cinema americani, cioè ad ottobre, tornando in sala poi a febbraio dopo l’annuncio della candidatura a 11 premi Oscar. L’incasso è stato inferiore al milione di euro (858.000€), una prestazione buona considerato il tipo di film particolare. Inoltre la combinazione di una grande aspettativa creata da conversazioni, notizie e apprezzamenti mondiali e la disponibilità del film nel circuito pirata per alcuni mesi antecedenti l’uscita ha sicuramente influito negativamente sull’incasso italiano.

Non ci sono dubbi che abbia contribuito al successo del film nella stagione dei premi anche l’adesione della storia ad alcuni dei temi più importanti per il cinema di questi anni, cioè l’inclusività di minoranze con il loro punto di vista sull’America, e un nuovo approccio alla scrittura dei personaggi femminili. Le difficoltà di una famiglia cinese in America rappresentano infatti una parte del film, che poi però diventa molto centrato sulle possibili vite di una madre e sul rapporto con il marito e la figlia. Nei salti che la donna fa tra dimensioni parallele ci sono momenti di pura demenzialità, come una dimensione in cui le dita delle mani di tutti sono wurstel, una in cui un procione comanda un cuoco come nel film della Pixar Ratatouille, o una in cui la protagonista è una roccia senziente, in un mondo che non sembra prevedere umani. Ma ci sono anche universi nei quali è un’artista marziale o una star di successo e vive una bella vita perché non ha sposato il suo vero marito.

Originariamente anche Everything Everywhere All at Once era pensato intorno a un uomo, l’attore Jackie Chan, tra i più grandi interpreti di commedie d’azione di sempre. Dopo il rifiuto di Chan fu deciso di ribaltare il copione sulla moglie di quel personaggio e proporre la parte protagonista a Michelle Yeoh (in precedenza già considerata come co-protagonista), che proprio con un film di Jackie Chan aveva iniziato a diventare famosa (Police Story 3) e che ha lo stesso tipo di preparazione nel campo delle arti marziali e della comicità. Accanto a lei, per la parte del marito, fu scelto Ke Huy Quan, un attore sinoamericano diventato famoso da bambino con I Goonies e come spalla di Harrison Ford in Indiana Jones e il tempio maledetto, poi rimasto nel mondo della recitazione ma solo con ruoli minori.

Contro l’ipotesi che Everything Everywhere All at Once possa “fare scuola” ci sono invece le sue particolarità non replicabili, come la combinazione di grandi ambizioni e budget ridotto che consentono di correre quel tipo di rischi. Perché fosse sufficiente un tetto di spesa di 14 milioni di dollari sono stati necessari accorgimenti e una produzione diversa dal solito, più astuta e creativa. La principale difficoltà del film sono i molti effetti visivi da una parte, e la grandissima quantità di ambientazioni diverse, alcune usate anche solo per un secondo, dall’altra. Degli effetti visivi e della maniera in cui molti di questi sono stati realizzati con trucchi e mezzi elementari (e tuttavia di ottima riuscita) si è occupato bene un video di Wired: del resto da sempre i trucchi nel cinema sono considerati come qualcosa che può funzionare bene anche quando sono poveri.

Al contrario organizzare una scena, scegliere una location, prepararla, illuminarla e realizzare la scenografia richiede molto tempo, sia in fase di pianificazione che poi di preparazione. E nel cinema il tempo che si impiega per la lavorazione è una delle voci che più aumentano i costi. Dal punto di vista di costumi e ambientazioni, le maestranze che hanno lavorato a Everything Everywhere All at Once hanno descritto il lavoro come una preparazione per 75 film diversi, per via dei molti universi paralleli differenti mostrati, anche se poi di ognuno di questi vengono girati pochissimi minuti, in certi casi secondi.

Per non ricorrere continuamente a sfondi fasulli in computer grafica, l’idea è stata di affittare un unico grande complesso, un palazzo di uffici svuotato, in cui lavorare a un set differente in ogni stanza. Così che mentre in una stanza si girava, nella seconda contemporaneamente si montava l’ambientazione successiva e nella terza si smontava la precedente. Questo ha permesso di spostarsi molto in fretta e di girare anche dieci scene differenti in una giornata, con una velocità altrimenti impossibile.

Alle volte venivano preparate unicamente le porzioni di scenografia strettamente inquadrate, che in certi casi voleva dire anche solo lo sfondo sfocato di un primo piano. In altri casi, quando è stato indispensabile girare all’esterno del complesso, venivano scelti luoghi che erano già giusti così come si trovavano. Secondo una stima di Hollywood Reporter solo Michelle Yeoh cambia 58 abiti diversi durante il film. Gli altri personaggi in media una ventina.

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Anche i coreografi delle scene di arti marziali, Andy e Brian Le, erano al loro primo film importante: sono degli appassionati di cinema di arti marziali con un canale YouTube, autodidatti, che i registi hanno contattato perché possedevano quel tipo di capacità di creare arti marziali che citassero la vecchia scuola di Hong Kong e al tempo stesso erano in grado di contaminarla con stili più moderni.

Adesso non è chiaro se i Daniel saranno in grado di trasferire questa maniera di fare cinema nel mondo della produzione professionale, quella finanziata e anche controllata dai grandi studi. La Universal ha firmato con loro un contratto importante per 5 anni che gli consentirà di realizzare qualsiasi cosa vogliano scrivere. I progetti che stanno sviluppando non sono meno complessi di Everything Everywhere All at Once, che ha richiesto 11 mesi di montaggio per arrivare alla forma asciutta, comprensibile e divertente che ha. Sono tempi molto lunghi che è più semplice ottenere quando si lavora da indipendenti con una società come la A24, abituata a processi produttivi poco convenzionali, e che è quasi impossibile da ottenere da una grande azienda come la Universal, organizzata in modi più rigidi. Uno di questi progetti è una serie comica e surreale per il canale Showtime (sempre con la A24), un altro un film di cui, al momento, si sa solo che parlerà delle difficoltà di tutta la popolazione mondiale, e che sarà ambientato lungo 100 anni.

Di certo gli studi di produzione stessi, nonostante da anni scelgano le strade più sicure con investimenti enormi in film che sono spesso sequel, prequel, spin-off o adattamenti di proprietà intellettuali già di successo, desiderano tornare ad una produzione più varia e quindi anche originale. La Universal in particolare è stata quella che negli anni, nonostante alcuni franchise famosi e di successo come Jurassic World, Cattivissimo me o Fast & Furious, ha continuato più di tutti a puntare su film originali, produzioni anche di medio budget e tentativi audaci.