Ad Amsterdam c’è una mostra su Vermeer di cui si parla benissimo
Al Rijksmuseum è esposta una buona parte delle pochissime opere del misterioso e amatissimo pittore seicentesco
Il 10 febbraio al Rijksmuseum di Amsterdam è stata inaugurata la mostra più completa mai organizzata sul pittore olandese del Seicento Johannes van der Meer, spesso abbreviato in Jan Vermeer, dalla biografia misteriosa e dalla produzione nota piuttosto scarna, conosciuto e apprezzato soprattutto per la rappresentazione degli ambienti della vita quotidiana borghese. È una mostra considerata straordinaria perché mette insieme la gran parte dei dipinti conosciuti e attribuiti a Vermeer, della cui vita si sa pochissimo, ma anche perché è un evento che difficilmente si ripeterà in futuro. Il New York Times ha scritto che «quasi sicuramente passerà alla storia come la mostra definitiva sull’artista», mentre secondo il Guardian è così ben fatta da poter essere definita «una delle mostre più emozionanti mai ideate».
Vermeer nacque nel 1632 a Delft, tra Rotterdam e L’Aia, nei Paesi Bassi, da una famiglia della media borghesia. Nel 1653 si sposò con Catherina Bolnes, una ragazza cattolica appartenente a una ricca famiglia della città, e dopo un periodo di apprendistato divenne membro della Gilda di San Luca, un’importante corporazione di artisti e pittori tra Fiandre e Paesi Bassi. Nella prima fase della sua carriera fu influenzato dai caravaggisti di Utrecht, un gruppo di artisti ispirati soprattutto dal contrasto tra luce e ombre tipico del celebre Michelangelo Merisi, detto Caravaggio; la gran parte delle opere per cui è conosciuto e apprezzato oggi però fu realizzata tra il 1660 e il 1670.
Si stima che in totale Vermeer possa avere prodotto quaranta o cinquanta dipinti a olio su tela: attualmente gliene sono stati attribuiti 37, 28 dei quali presentati nella mostra, che è chiamata semplicemente “Vermeer” e sarà visitabile fino al prossimo 4 giugno. Solo quattro, tra cui Stradina di Delft (1657-58) e La Lattaia (uno dei più famosi, 1658-60) sono esposti in via permanente al Rijksmuseum, uno dei musei più noti dei Paesi Bassi. Gli altri sono stati presi in prestito da musei e collezioni private di tutto il mondo, da Londra a Dublino, da Tokyo a New York. Tra questi c’è anche la celebre Ragazza col turbante o Ragazza con l’orecchino di perla (1665), che di norma è esposta al museo Mauritshuis dell’Aia e ha avuto ulteriore fama grazie a un romanzo e a un film.
Anche se in vita Vermeer godette di un discreto successo, per i due secoli successivi alla sua morte, avvenuta nel 1675, ricevette pochissima attenzione. A fine Ottocento però fu riscoperto per la calma e l’intensità trasmessa dalle scene quotidiane catturate nei suoi dipinti e per la sua abilità nell’accentuare le forme degli oggetti attraverso la luce. Come ha riassunto Taco Dibbits, direttore generale del Rijksmuseum, Vermeer «fa fermare l’orologio. Dà la sensazione che tu sia lì, assieme a quella persona, in quella stanza, e che il tempo si sia fermato».
Nella mostra si alternano dipinti della prima fase, come Diana e le ninfe (circa 1653), ad alcune delle sue opere più note, come Fantesca che porge una lettera alla signora (1667 circa), Giovane donna seduta al virginale (1672) e Il geografo (1668-69). C’è anche La donna che legge una lettera davanti alla finestra (1657), nel quale nel 2021 un gruppo di conservatori aveva scoperto il dipinto di un cupido che poi era stato coperto da un altro artista in epoca successiva, per motivi ancora non noti.
I soggetti principali dei dipinti di Vermeer sono molto spesso donne impegnate in faccende domestiche o attività quotidiane, come rammendare o leggere una lettera; quasi sempre sono posizionate accanto a finestre socchiuse che illuminano la scena, e sembrano completamente assorbite da ciò che stanno facendo. Lo stile di Vermeer è stato definito da numerosi esperti come fotografico, con una grande attenzione ai dettagli e ai giochi di luce, che creano zone di ombra e penombra in contrasto con quelle pienamente illuminate.
Per fare alcuni esempi, in Donna in azzurro che legge una lettera (1663) la luce cade proprio sulla lettera, guidando lo sguardo dello spettatore sul gesto della persona ritratta. Nella Lattaia invece la luce espressa con tanti piccoli puntini sulle pagnotte contrasta con le ombre delicate sulle pareti, sulla tovaglia e negli abiti della protagonista, che sembra essere ritratta in un gesto fermo nel tempo.
In molte opere il livello di dettaglio è così alto da avere fatto ipotizzare ad alcuni critici che Vermeer ricorresse con grande frequenza alla camera oscura, uno strumento ottico che consentiva di proiettare una scena dal vero su una superficie, come una tela o un foglio, per tracciarne forme e dettagli che avrebbero poi costituito il quadro vero e proprio. Questo spiegherebbe l’assenza di disegni preparatori e alcuni effetti fuori fuoco inseriti nei quadri di Vermeer, per indirizzare l’attenzione dell’osservatore verso specifiche parti della rappresentazione, aiutandosi con giochi di luce e colori brillanti.
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La mostra al Rijksmuseum era così attesa che ancora prima dell’inaugurazione erano stati venduti più di 200mila biglietti, più di qualsiasi altro evento mai organizzato nella storia del museo. Per organizzarla ci sono voluti sette anni e lunghe trattative, ma non sono mancate nemmeno alcune critiche.
Nella mostra per esempio manca Allegoria della pittura (1666-68), considerato uno dei dipinti più rappresentativi di Vermeer, che per ragioni non conosciute non è stato prestato dal Kunsthistorisches museum di Vienna, dove è conservato. C’è invece Fanciulla con flauto (dipinto fra il 1665 e 1670), che il Rijksmuseum ha attribuito a Vermeer dopo vari studi, ma che altri (tra cui la National Gallery of Art di Washington, che lo ospita) sostengono non sia suo. Inoltre dopo il 30 marzo la Ragazza col turbante verrà restituita al museo Mauritshuis all’Aia, pertanto chi ci tiene a vederla dovrà organizzarsi di conseguenza.
Prima d’ora comunque la mostra più completa su Vermeer fu quella organizzata proprio alla National Gallery of Art di Washington, nel 1995, con venti sue opere. Data la difficoltà di radunarne così tante tutte insieme, è improbabile che ne sarà organizzata a breve una altrettanto ampia.
Vermeer fu tra i massimi esponenti del cosiddetto “secolo d’oro olandese”, definizione riferita alla grande potenza economica e rilevanza che avevano assunto i Paesi Bassi nel Diciassettesimo secolo, basata sui commerci di Amsterdam in Europa e verso le Americhe. La grande prosperità economica, per lo meno per le classi più agiate, fornì una spinta senza precedenti per la zona nello sviluppo delle scienze e delle arti, come testimoniano sia la carriera che i soggetti scelti da Vermeer.
Lavorò e visse per tutta la vita a Delft, tuttavia nei primi anni Settanta del Seicento anche lui subì la forte crisi finanziaria che interessò i territori dei Paesi Bassi in seguito all’invasione francese. Morì nel 1675, lasciando molti debiti alla famiglia, che per ripagarli propose di vendere parte dei suoi dipinti e la casa in cui viveva. Per via della sua vita piuttosto oscura e misteriosa, Vermeer fu soprannominato “la sfinge di Delft”. A parte i suoi dipinti, di lui non resta nulla: non ci sono lettere, né scritti o diari.
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