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  • Lunedì 23 gennaio 2023

Una moneta comune per Brasile e Argentina

I due governi ne stanno discutendo: il progetto potrebbe poi coinvolgere tutto il Sudamerica, anche se gli ostacoli sono molti

Il presidente argentino Alberto Fernández e quello brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva (Ricardo Moreira/Getty Images)
Il presidente argentino Alberto Fernández e quello brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva (Ricardo Moreira/Getty Images)
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Il presidente argentino Alberto Fernández e quello brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva – entrambi di sinistra – hanno annunciato sabato sul settimanale argentino Perfil di voler creare una valuta comune al Sudamerica. Il ministro dell’Economia argentino, Sergio Massa, ha precisato al Financial Times che il progetto è ancora in una fase preliminare. Ha detto che all’inizio si vorrebbe introdurre la nuova moneta in Argentina e Brasile, e solo successivamente anche nel resto del continente: sarebbe a quel punto la seconda area valutaria più grande al mondo (dopo quella dell’euro), pari al 5 per cento del PIL mondiale, secondo i calcoli del Financial Times.

Un annuncio ufficiale e più preciso potrebbe arrivare nei prossimi giorni da parte di Fernández e Lula, che si incontreranno questa settimana a Buenos Aires in una riunione della Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC). Il progetto comunque non è nuovo. Brasile e Argentina ne discutono da anni, ma per un motivo o per l’altro non se n’è mai fatto nulla.

Secondo alcuni funzionari sentiti dal Financial Times, all’inizio la nuova moneta servirebbe per le sole transazioni finanziarie, per le importazioni e le esportazioni. Per le operazioni più ordinarie resterebbero le due monete locali, il real brasiliano e il peso argentino, che si userebbero per esempio per il pagamento degli stipendi, delle pensioni, per fare la spesa e così via. Non si sa ancora il nome della nuova moneta. Potrebbe chiamarsi sur, sud in spagnolo, un nome che è stato spesso evocato dal presidente brasiliano Lula nell’ultima campagna elettorale quando parlava di questa idea.

Per il progetto si prevedono tempi molto lunghi, anche perché non ci sarà un cambio di moneta improvviso e le valutazioni richieste sono moltissime. Basti pensare che per la creazione dell’euro ci vollero decenni, e allora si trattava di mettere insieme economie che avevano già intrapreso un percorso di grande integrazione economica e che erano già forti e avanzate.

Nel caso di Argentina e Brasile le cose potrebbero essere più difficili e il ministro argentino Massa ha detto che nei prossimi giorni sarà solo presa «la decisione di iniziare a studiare i parametri necessari per una moneta comune, compresi gli aspetti fiscali, delle finanze pubbliche e del ruolo delle banche centrali. Non voglio creare false aspettative, ma è il primo passo di un lungo cammino che sono convinto l’America latina debba percorrere».

Non è la prima volta che il progetto vede un qualche segno di concretezza. Nel 1987 i due paesi, che insieme hanno 260 milioni di abitanti, annunciarono la creazione di una valuta comune denominata gaucho da usare per gli scambi commerciali reciproci, ma il progetto poi non ebbe un seguito, soprattutto per l’instabilità economica e politica che caratterizzava i due paesi. Entrambi erano usciti dalla dittatura da poco e stavano cercando di ricostruire il loro sistema democratico; in più, scontavano gli stessi problemi economici di sempre, come l’instabilità dei prezzi, valute molto deboli, e un enorme debito pubblico frutto di anni di politiche economiche di breve periodo e miopi.

Oggi ci sono condizioni più favorevoli dal punto di vista politico: i due paesi hanno entrambi leader di sinistra – che dunque condividono in teoria gli stessi valori – e con una visione dell’economia più prudente dei predecessori. L’entrata in carica di Lula dal primo gennaio ha accelerato le discussioni, anche perché i due governi riconoscono che una moneta comune potrebbe portare enormi benefici, rendendo innanzitutto il commercio molto più agevole, favorendo l’integrazione economica e risolvendo soprattutto problemi di lunga data, come l’inflazione altissima, l’instabilità della valuta locale e la dipendenza totale dal dollaro statunitense.

Il tossico legame con il dollaro è da sempre un grosso problema per la maggior parte dei paesi emergenti e un grosso ostacolo allo sviluppo. Semplificando molto, le valute sono lo specchio delle economie che rappresentano: economie forti hanno monete forti e stabili, come il dollaro per gli Stati Uniti o l’euro per l’Eurozona; economie deboli e instabili hanno monete deboli e altrettanto instabili, che possono perdere rapidamente valore.

Per questo motivo i paesi emergenti, e anche Argentina e Brasile, usano tantissimo il dollaro e ne sono spesso totalmente dipendenti. Consumatori e aziende fanno molti pagamenti in dollari – anche per i piccoli acquisti quotidiani – perché spesso la valuta locale non è accettata. In più, detengono parte della loro ricchezza in dollari, consapevoli del fatto che è una moneta che non potrà mai perdere valore, a differenza di quelle locali, e proteggono così il loro potere di acquisto. Anche gran parte del debito pubblico è in dollari.

È un meccanismo che rende questi paesi totalmente dipendenti dalle politiche americane. Gli Stati Uniti da quasi un anno hanno iniziato ad aumentare i tassi di interesse per far sì che l’economia rallenti e che si fermino così i rincari che hanno fatto accelerare notevolmente l’inflazione; il che ha portato il dollaro a rafforzarsi tantissimo rispetto alle altre valute. Il dollaro forte sta mettendo però in difficoltà moltissimi paesi con economie deboli, tra cui proprio Brasile e Argentina: ci vogliono sempre più real e pesos, con cui sono pagati per esempio stipendi e pensioni, per ottenere dollari, con la conseguenza che sta diventando sempre più costoso dover fare operazioni in dollari.

Il progetto di creare una valuta condivisa va quindi visto come una strada per creare una valuta locale più forte, che possa effettivamente servire come mezzo di pagamento per consumatori e aziende, senza che questi debbano per forza detenere valuta straniera. Insieme ad Argentina e Brasile, molti altri paesi emergenti stanno cercando alternative al dollaro forte.

– Leggi anche: Chi vince e chi perde con il dollaro forte

Una moneta comune aiuterebbe l’Argentina nella sua lotta contro l’inflazione, arrivata quasi al 100 per cento, e il Brasile a rilanciare la propria economia anche attraverso il commercio. Una valuta condivisa renderebbe più facile il commercio tra i due paesi, che è già fiorente e in crescita: nei primi 11 mesi del 2022 gli scambi commerciali reciproci sono aumentati del 21 per cento.

Molti sostengono che però i lati positivi vadano più a vantaggio dell’Argentina e che per il Brasile sia un rischio legarsi a un paese così instabile, sebbene abbia un PIL per abitante ben più alto. L’Argentina ha infatti un’economia disastrata dall’inflazione e ha una lunga storia di altissimo debito pubblico e fallimenti: in tutto è fallita nove volte, è tuttora esclusa dai mercati finanziari internazionali a causa del suo ultimo default nel 2020 e deve ancora 40 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale per il salvataggio del 2018.

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