I pagamenti online a rate sono un problema?

Sono sempre più diffusi e facili da ottenere ma non sono ancora regolamentati, e ci sono dei rischi notevoli

(Harry Todd/Fox Photos/Getty Images)
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Acquistando un articolo online, per esempio un prodotto tecnologico come un paio di cuffie bluetooth, spesso ai clienti viene proposto di dilazionare il pagamento: invece di spendere per esempio 120 euro tutti in una volta, si possono pagare tre rate mensili da 40 euro, senza costi o interessi e senza compilare documenti e dichiarazioni sul proprio reddito. Sembrano i tradizionali pagamenti a rate, cioè il cosiddetto credito al consumo offerto dalle banche e dalle società finanziarie, ma non lo sono: l’offerta di questi servizi non è ancora regolamentata ed è un fenomeno relativamente nuovo. La facilità del meccanismo e la mancanza di regole pongono rischi notevoli, perché potrebbero incentivare acquisti impulsivi e portare le persone a indebitarsi più di quanto sia per loro sostenibile.

In Italia questo genere di servizi – che vengono chiamati buy now pay later, cioè compra ora paga dopo – è offerto per esempio da piattaforme come Paypal e Scalapay. Si basa su un accordo tra cliente, venditore e piattaforma di pagamento: se al momento dell’acquisto il cliente decide di optare per il pagamento dilazionato, il venditore riceverà nel giro di 48 ore la somma per intero dalla piattaforma di pagamento, da cui sarà trattenuta una commissione. Il cliente poi pagherà le rate alla piattaforma, senza spese o interessi, tramite addebito su una carta di credito o di debito.

La piattaforma quindi non scarica la sua commissione sul cliente ma sul venditore, che decide di usare il servizio perché i pagamenti dilazionati possono potenzialmente attrarre più clienti e aumentare il volume delle vendite.

Proprio perché sono potenzialmente in grado di far crescere il giro d’affari dei negozi convenzionati, le piattaforme di buy now pay later impongono agli esercenti il pagamento di commissioni più elevate rispetto alle società che gestiscono carte di credito tradizionali: secondo alcuni dati riportati da uno studio di Banca d’Italia, queste aziende chiedono mediamente il pagamento di commissioni fino al 6 per cento più un importo fisso di 30 centesimi di euro, contro le commissioni delle più comuni carte di credito (Visa, Mastercard, American Express) che vanno dall’1,5 al 2 per cento più 10 centesimi.

Al momento dell’acquisto non è richiesto nessun documento al cliente, come la dichiarazione dei redditi o la busta paga. La piattaforma si espone quindi a un notevole rischio di insolvenza, perché di fatto non sa se il cliente sarà effettivamente in grado di pagare le rate. Per questo tipicamente le aziende che offrono il buy now pay later pongono dei limiti di importo e di mesi di durata del prestito, proprio per limitare la loro esposizione al rischio. Inoltre le regole europee prevedono una serie di tutele per i consumatori, che però non si applicano in caso di contratti di importo inferiore a 200 euro, che non prevedono interessi o altre spese o in cui il rimborso deve essere effettuato entro tre mesi.

In Europa il buy now pay later è mediamente più diffuso rispetto agli Stati Uniti, un po’ per il più radicato utilizzo delle carte di credito da parte della popolazione statunitense, un po’ perché dalle nostre parti è stato introdotto prima: mentre negli Stati Uniti nel 2021 solo il 3,9 per cento delle transazioni sui siti di e-commerce è avvenuto con il metodo del pagamento dilazionato, in Unione Europea la percentuale sale all’8 per cento, con valori però molto diversi da stato a stato. La quota è molto alta nei paesi scandinavi, ossia la regione dove nel 2012 è nata Klarna, la prima azienda a proporre il servizio nel mondo: in Svezia il 25 per cento degli acquisti online avviene con questa formula, il 18 in Norvegia, il 13 in Finlandia e il 12 in Danimarca.

Questo genere di servizio è molto diffuso anche in Germania (20 per cento) mentre molto meno in Francia e in Italia, dove in entrambi i casi la percentuale scende al 4. I numeri sono comunque in notevole crescita: secondo dati del CRIF (il gestore italiano delle informazioni relative al merito di credito, che indica quanto una persona in passato è stata diligente nel restituire i prestiti) in Italia nel 2021 l’utilizzo del buy now pay later è più che raddoppiato rispetto all’anno prima.

Secondo dati citati da Banca d’Italia, i maggiori fruitori sono i più giovani, quelli con più dimestichezza con i pagamenti digitali e gli acquisti online: oltre un terzo degli utenti che utilizzano questo servizio, il 36 per cento, ha tra i 20 e i 25 anni e un altro 30 per cento ha tra i 26 e i 39 anni. Tipicamente viene usato per acquistare prodotti di largo consumo e dal prezzo contenuto, come abbigliamento ed elettronica, ma anche per viaggi e arredamento per la casa.

Perché potrebbe essere pericoloso
Questa forma di pagamento non rientra in nessuna fattispecie regolata dalle leggi italiane ed europee sul credito al consumo, che normalmente prevedono che sia una banca o una società finanziaria a erogare i prestiti. Il buy now pay later è tipicamente offerto invece da società che non applicano alcuna commissione al consumatore, che prestano importi ridotti e da restituire solitamente entro tre mesi, così da operare fuori dalle regole sul credito al consumo. Non c’è niente di illegale, ma né i consumatori né le stesse società sono tutelati dagli strumenti legislativi del settore del credito.

Per esempio, il fatto che al momento dell’acquisto non si debbano compilare tutti quei moduli necessari invece quando si chiede un mutuo o un prestito per comprare una macchina, tra cui dichiarazioni reddituali, consensi informati e così via, rende il procedimento talmente facile da potenzialmente indurre i clienti ad abusare di questo strumento. Gli acquisti rischiano di essere fatti molto più alla leggera e d’impulso, senza una vera presa di coscienza delle proprie capacità di spesa.

Il fatto che non sia necessario fornire alcun tipo di indicazione su come si intende ripagare le rate, come una dichiarazione dei redditi o una busta paga, non è solo rischioso per l’azienda, che di fatto si sobbarca un rischio non misurabile perché presta soldi alla cieca, ma anche per il consumatore, che rischia di accumulare rate su rate senza nessuno che lo fermi.

Un tipico ragionamento che potrebbe fare il consumatore è questo: non pagando oggi tutto l’importo posso investire quello che risparmio in altre cose, visto che il costo del credito è zero. Marco Di Maggio, un economista di Harvard intervistato da The Atlantic, sostiene come questo ragionamento sia però improprio e irrealizzabile: innanzitutto le somme che il buy now pay later ti permette di risparmiare temporaneamente non sono così alte per essere “investite” altrove e più probabilmente saranno spese in altri consumi. Alcuni studi dimostrano che negli Stati Uniti questi pagamenti a rate portano a un aumento nella spesa di circa 60 dollari a settimana.

In più, a differenza delle banche e delle società finanziarie, le piattaforme che offrono il buy now pay later non sono obbligate per legge a fornire informazioni sui prestiti che erogano alla centrale rischi di Banca d’Italia, una banca dati pubblica sui debiti delle famiglie verso le istituzioni finanziarie, o alle tradizionali banche dati private (come il CRIF). Il che significa che se una persona ha accumulato tantissime rate con questo meccanismo e va a chiedere un mutuo, la banca non sarà in grado di vedere la sua condizione di indebitamento nei confronti di queste piattaforme e quindi potrebbe accordargli il prestito senza essere adeguatamente informata.

Secondo Matteo Risi, ricercatore senior dell’Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, «il rischio sull’acquisto inconsapevole c’è e a livello normativo si sta pensando a come calmierarlo. Il Regno Unito è al momento il paese che è più avanti nella definizione di nuove regole: chiederà pubblicità chiare e corrette, con anche l’inserimento di un disclaimer sui rischi; tutti gli attori che offriranno il servizio dovranno essere autorizzati dalla Banca d’Inghilterra (l’equivalente della nostra Banca d’Italia); le piattaforme dovranno effettuare dei controlli sul reddito per vedere se effettivamente gli utenti si possono permettere l’acquisto che stanno facendo».

Anche nell’Unione Europea c’è una proposta di modificare le regole sul credito proprio per inserire il buy now pay later all’interno della regolamentazione del tradizionale credito al consumo.

Secondo Risi queste regole costringeranno le piattaforme «a fare in tempo reale un controllo sul merito di credito da parte di chi chiede il prestito, per esempio al CRIF in Italia. Così facendo rendono da un lato l’operazione meno rischiosa e dall’altro ogni singola operazione verrà perlomeno segnalata, in modo che le agenzie del credito possano avere la visibilità che serve per evitare che le persone si indebitino eccessivamente». L’Italia dovrà attendere le normative europee, ma nel frattempo la Banca d’Italia ha pubblicamente richiamato l’attenzione sui rischi di sovraindebitamento a cui si espongono i consumatori che usano il buy now pay later.

Non esistono ancora dati precisi su quanti clienti insolventi ci siano in Italia, ma secondo analisi del CRIF, pur rimanendo un fenomeno tendenzialmente a basso rischio per importo e durata, nel biennio 2020-2021 questi prestiti hanno registrato una rischiosità quasi doppia rispetto al tradizionale credito al consumo e il tasso di insolvenza, ossia la percentuale di crediti non pagati sul totale, è quasi raddoppiato. Negli Stati Uniti il tasso di insolvenza legato al buy now pay later ha superato quello delle carte di credito.

Il rischio che i clienti non paghino le rate è un problema non da poco per le aziende che offrono il buy now pay later, che ha portato molti analisti a riflettere sulla sostenibilità di questo business, soprattutto in un periodo come questo in cui i tassi di interesse stanno aumentando: per un’azienda come Scalapay diventa sempre più costoso prendere denaro in prestito per anticipare ai commercianti la cifra che gli è dovuta dai clienti, che invece continuano a non pagare alcun interesse; il tutto mentre l’unico ricavo resta la commissione pagata dai commercianti. Con tassi di mercato in crescente aumento, le aziende avranno insomma pochi margini per potersi permettere insolvenze, tant’è che la scorsa estate le quotazioni di borsa di alcune società di buy now pay later hanno perso moltissimo valore.

– Leggi anche: Perché le banche centrali aumentano i tassi di interesse

Secondo Risi però una conseguenza positiva di questo strumento esiste. Proprio perché la grandissima parte delle operazioni non è ancora segnalata (alcune società in Italia le segnalano volontariamente al CRIF) «al momento non è chiaro quanto il comportamento dei consumatori nel ripagare questi prestiti impatti sul loro merito creditizio. Una ricaduta positiva della regolamentazione potrebbe arrivare per i clienti più giovani. Se un cliente molto giovane non ha mai chiesto un prestito, di nessun tipo, e magari utilizza qualche volta il buy now pay later e lo ripaga nei tempi corretti, le agenzie di credito inizieranno a ottenere informazioni sul fatto che questa persona, seppur giovane e invisibile agli occhi degli attori del credito al consumo, ha avuto un comportamento diligente nel ripagare i suoi debiti. Quindi quando chiederà un mutuo potrà ottenerlo con meno difficoltà».