Airbnb va molto bene, ma non è più la stessa cosa

Annunci e prenotazioni continuano ad aumentare, ma l'espansione della piattaforma si è portata dietro anche crescenti lamentele

(Terry Pierson, The Press-Enterprise/SCNG).
(Terry Pierson, The Press-Enterprise/SCNG).
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Negli ultimi anni la reputazione di Airbnb, la nota piattaforma americana per affittare case per brevi periodi, non ha fatto che peggiorare. Quando aprì nel 2008, Airbnb ebbe molto successo come alternativa economica e più “autentica” rispetto a hotel e resort, ma è già da una decina di anni che l’azienda fa i conti con diverse controversie ampiamente note e dibattute che riguardano il suo modello di business e il suo impatto nei vari paesi in cui è attiva: dalle tasse non pagate dai suoi utenti al ruolo determinante nel processo di gentrificazionedi netto aumento degli affitti a lungo termine per i residenti, specialmente nei centri città.

Nell’ultimo periodo però l’immagine dell’azienda è stata danneggiata anche da una serie di altre questioni che riguardano più direttamente l’esperienza e le abitudini dei suoi utenti, e cioè le persone che la usano per affittare le proprie case (gli host) o per cercare e prenotare soggiorni di viaggio (i guest). E nonostante siano in aumento sia i primi che i secondi, si è cominciato a parlare di “Airbnbust”, cioè di una crisi della piattaforma.

Dopo le restrizioni negli spostamenti dovute alla pandemia, tra il 2021 e il 2022 il numero di annunci su Airbnb è cresciuto notevolmente. Secondo i dati forniti dall’azienda, in Italia nel secondo trimestre del 2022 gli host iscritti alla piattaforma erano aumentati del 60 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2021. In buona parte questa crescita è dovuta alla crisi economica, che molte famiglie hanno deciso di fronteggiare affittando stanze vuote e appartamenti sfitti. In un’intervista recente al Sole 24 Ore l’amministratore delegato di Airbnb Italia Giacomo Trovato aveva detto che tra gli host della piattaforma «uno su due indica come motivo per cui affitta la casa quello di poter contare su una fonte di reddito per arrivare a fine mese o coprire costi crescenti».

Allo stesso tempo anche i guest che hanno cominciato o ricominciato a usare Airbnb per viaggiare dopo le riaperture sono aumentati, creando una domanda molto superiore a quella precedente alla pandemia. «Quando si è ripreso a poter viaggiare, la sensazione è stata di un notevole aumento della richiesta, e questo ha ulteriormente generato nuova offerta» spiega Valerio Nicastro, presidente dell’associazione di locatori Host Italia e vicepresidente di Fare (Federazione Associazioni Ricettività Extralberghiera).

Lo stesso è successo in modo simile anche in altri paesi del mondo. In alcuni casi però l’aumento dell’offerta (cioè degli alloggi) non è stata compensata da un uguale aumento della domanda (cioè del turismo), che è cresciuta ma non abbastanza da “riempire” tutti i posti disponibili. Per gli host questo ha significato in alcuni casi un significativo calo delle prenotazioni e dei guadagni. Dalle condivisioni di queste esperienze pubblicate su vari gruppi di host online (e in particolare da un tweet che è stato molto condiviso) è nato il termine “Airbnbust”, che è stato poi ripreso dalla stampa.

In generale si è diffusa l’ipotesi che il modello di Airbnb possa avere fatto il suo tempo, e che sia imminente un’inversione della sua tendenza in crescita.

Dal punto di vista economico, però, per l’azienda gli ultimi anni sono stati un successo. Nel terzo trimestre del 2022, quindi nei mesi estivi di luglio, agosto e settembre, il fatturato è stato di 2,9 miliardi di dollari, il 29 per cento più alto di quello dello stesso periodo del 2021, e i guadagni sono stati i maggiori di sempre (1,2 miliardi di dollari). Sempre in questo periodo, il numero di prenotazioni totali (tra i soggiorni e quelle che vengono chiamate “esperienze”) sulla piattaforma è stato di 99,7 milioni, il 25 per cento in più del 2021 e il più alto di sempre se paragonato allo stesso periodo degli anni precedenti.

Ma il crescente utilizzo della piattaforma ha portato anche a una sovraesposizione dei suoi molti difetti e a un partecipato dibattito online tra le persone che la usano. È stato fatto notare che se alcuni guest perdono prenotazioni potrebbe essere anche perché le condizioni da loro imposte sono diventate inaccettabili.

Sui social hanno cominciato a circolare i racconti di esperienze disastrose con Airbnb (che hanno ispirato anche film horror) e meme che ironizzano sulla vita sempre più faticosa di chi usa la piattaforma. Nell’ultimo periodo per esempio molti hanno lamentato spese eccessive per le pulizie (a volte più alte di quelle del soggiorno), richieste difficilmente praticabili da parte degli host (come lavare le lenzuola prima di lasciare la casa), brutte sorprese e trattamenti poco accoglienti. Per non parlare delle truffe. A fine dicembre su TikTok è diventato virale il video di una donna spagnola che mostra l’ingresso fatiscente dell’edificio dove avrebbe dovuto alloggiare a Napoli.

@kamilakrestnikova6

la habitación no esta tan mal en vd #napoli @Mari

♬ sonido original – Kamila Krestnikova

 

«C’è stata una notevole evoluzione, non tanto del portale, ma della filosofia di Airbnb: è partita come una piattaforma di homesharing (condivisione di case, ndr), ma ora non è più così» spiega Nicastro. «Prima la usavano prevalentemente i giovani, oggi la usano tutti coloro che cercano qualcosa che costi meno dell’albergo. La percentuale di chi usa Airbnb per fare un’esperienza di condivisione, accoglienza, vita locale, è minima».

«Confermo che l’esperienza è cambiata negli ultimi anni» ha raccontato Federica Piersimoni, blogger di viaggi dal 2008 e assidua frequentatrice di Airbnb. «Airbnb nasceva per offrire alloggi, ma anche esperienze umane. Nel 2018 siamo stati in Canada a casa di una signora con un figlio piccolo e la sera di Halloween abbiamo cenato con lei e vissuto l’esperienza tipica di quella ricorrenza, che in hotel ci saremmo persi. Ora è un po’ diverso: è sempre più frequente che si acceda agli alloggi con un codice, senza incontrare il proprio ospite, ed è raro trovare per esempio qualcosa da bere o da mangiare nel frigo, come succedeva una volta. Inoltre anche i prezzi ormai sono equiparabili a quelli degli hotel».

Secondo Airdna, una società che raccoglie ed elabora i dati degli annunci di Airbnb oltre a quelli di altre piattaforme di affitti brevi, nel 2019 mediamente il costo di una notte in hotel era più alta del 43 per cento rispetto a quella di un appartamento di Airbnb, ma questa differenza è scesa al 26,6 per cento nel 2022. Lo scarto rimane però molto evidente nell’esperienza: gli hotel offrono solitamente un servizio di maggior qualità e maggiori comodità, a partire dal fatto che hanno uno staff che ci lavora ed è a disposizione dei clienti, cosa che non vale per Airbnb.

Una delle ragioni di questo cambiamento è che fino a qualche anno fa Airbnb permetteva ai propri host di ignorare completamente le norme che regolamentavano gli affitti brevi nei rispettivi paesi, e molti ne approfittavano, evadendo le tasse e non comunicando ufficialmente la propria attività. Nell’ultimo periodo le leggi sono diventate più rigide e anche Airbnb ha cominciato a collaborare con i governi per evitare di essere sanzionata. L’ultima novità risale a dicembre, quando la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che Airbnb dovrà dare i dati di tutti i locatori e degli immobili affittati alle autorità fiscali dei relativi paesi.

Tutto questo ha creato una situazione per cui gli host che fanno tutto in regola non hanno molti meno adempimenti di quanti ne abbiano gli albergatori. Secondo Nicastro «non è più una cosa che si può fare artigianalmente: è un’attività imprenditoriale a tutti gli effetti».

Una cosa che non è molto cambiata da quando Airbnb è nato è che non ha una grande competizione. Per gli host, la principale alternativa in Italia è Booking, che però fa pagare commissioni più alte ed è meno flessibile: su Airbnb si può decidere di rifiutare una prenotazione, cosa che su Booking non si può fare. La poca competizione ha portato anche a una lenta evoluzione della piattaforma, che sembra disposta a fare molto poco per accontentare l’utente e rendere la sua fruizione più facile. Per esempio, una lamentela molto diffusa è legata al fatto che su Airbnb non è possibile visualizzare gli annunci in ordine di prezzo o in base al numero di stelline (l’indicatore usato nelle recensioni). Gli annunci vengono mostrati come deciso da un algoritmo pensato più per aumentarne i profitti che per rendere la vita facile agli utenti.

Il capo di Airbnb Brian Chesky ha recentemente fatto sapere di aver ricevuto «forte e chiaro» tutte le critiche emerse nell’ultimo periodo e di essere d’accordo sul fatto che gli host non dovrebbero chiedere cose «irragionevoli, come disfare i letti, fare il bucato o passare l’aspirapolvere». Airbnb ha inoltre aggiunto alla piattaforma un bottone che permette di vedere direttamente i prezzi definitivi compresi di tasse (altrimenti mostrati in un secondo momento): una funzionalità che molti utenti chiedevano da tempo.

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