• di Marino Sinibaldi
  • Storie/Idee
  • Martedì 27 settembre 2022

Guardare altrove

«Le risposte tradizionali della sinistra appaiono inadeguate perché parziali (una diversa per ogni emergenza) o inascoltate (troppo esigenti per larga parte della società). Il risultato elettorale sta tutto nella faglia aperta da questa incomunicabilità».

(ANSA/Massimo Percossi)
(ANSA/Massimo Percossi)
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A metà del dicembre 2021 due tra le maggiori sigle sindacali hanno indetto uno sciopero generale nazionale. L’evento ha da sempre una portata storica: a partire dal primo indetto circa 120 anni fa (per un fatto che curiosamente sembra appartenere ai margini della storia e perfino della geografia del movimento operaio), gli scioperi generali hanno scandito la storia del paese, con la loro capacità di paralizzare la vita collettiva e di conquistare il centro del dibattito pubblico.

Nulla del genere è successo nel dicembre 2021. L’impressione generale – come testimoniavano, in assenza di dati certificati attendibili, gli effetti praticamente irrilevanti sulla vita quotidiana di ciascuno di noi – è che lo sciopero fosse per la prima volta nella storia dell’Italia libera sostanzialmente fallito. Si può partire da qui – un evento epocale passato inosservato, di cui non si è nemmeno avuto il coraggio di discutere – per provare a capire le ragioni della sconfitta elettorale della sinistra? Si può provare a limitare il peso che hanno le dimensioni istituzionali e personali (che partiti, che coalizione, che leader), e spostare il centro dell’attenzione altrove, nella sfera sociale e culturale, dove non c’è stata nessuna sorpresa perché lì la sconfitta era già avvenuta? Tanto chiaro questo esito che, come è noto, i risultati elettorali erano da tempo largamente prevedibili: la nostra è diventata una società trasparente.

Errori e responsabilità specifiche non si possono ignorare. Tra i problemi della sinistra italiana c’è una selezione del personale politico che genera effetti disastrosi, divisioni sciagurate, esiti ugualmente avversi (chi in condizioni non proprio sfavorevoli ha sfiorato il proprio minimo storico, chi esulta avendo dimezzato i propri consensi, chi ha testardamente mostrato l’irrilevanza elettorale di ogni opzione radicale). Ma non è questo l’essenziale. L’essenziale è altrove.

Tutto quello che è accaduto in questi anni, la sequenza di traumi che in pochissimo tempo ci hanno colpito (la crisi economica, la catastrofe sanitaria, l’emergenza climatica, il sovvertimento tecnologico, l’angoscia geopolitica), ha generato una nuova umanità globale, instabile, incerta, vulnerabile. Le risposte tradizionali della sinistra appaiono inadeguate perché parziali (una diversa per ogni emergenza) o inascoltate (troppo esigenti per larga parte della società). Il risultato elettorale sta tutto nella faglia aperta da questa incomunicabilità. Che sembra non consentire ripari: per fare un esempio, di fronte al trauma delle migrazioni la sinistra perde sia con Minniti che con Mimmo Lucano ma perde pure dove di Minniti e Mimmo Lucano nulla sanno.

E infatti, sia detta per inciso una osservazione cruciale, la scala di questi problemi è globale quanto è mondiale la difficoltà della sinistra. Appena temperata dove leader locali particolarmente capaci o particolarmente fortunati invertono la tendenza e intercettano bisogni diversi ma senza che emergano modelli davvero alternativi. Anche qui, nulla assolve le responsabilità locali e personali ma attenua molto la rilevanza delle conseguenze di un leader poco attraente o di un mancato accordo elettorale.

Da questo punto di vista, la vicenda controversa di uno sciopero generale fallito senza che nemmeno se ne discutessero le ragioni, ha i tratti di una limpida parabola. Perché indica il problema essenziale: una situazione di sofferenze, insicurezze, paure che non sembra animare solidarietà, condivisione, lotte. Mentre la sinistra non può vivere senza movimenti nella società: nasce per dare nome e forma ai conflitti che le trasformazioni storiche continuamente generano, ha la responsabilità di rispondere a quei conflitti.

Nulla di questo sta accadendo, e da anni ormai. E in realtà viviamo un tempo pieno di trasformazioni e di contraddizioni. La ricerca di stabilità, sicurezza, identità convive con rivendicazioni di libertà sempre più larghe e fluide. Fenomeni come quello delle dimissioni lavorative hanno i tratti del ripiegamento, della rinuncia, perfino della resa ma contengono insieme la ricerca di modelli di vita e lavoro radicalmente diversi. Nel campo dei consumi, davanti alle ricadute energetiche ed ecologiche dei nostri modelli, siamo tutti come strattonati da impulsi contrastanti che è perfino inutile additare. E si potrebbe continuare, tracciando la mappa dei nuovi conflitti – materiali, simbolici, psicologici – del nostro tempo, che attraversano ciascuno di noi e sembrano irriducibili alla tradizionale toponomastica destra/sinistra. Perché non hanno nulla di tradizionale, sono le contraddizioni della contemporaneità, la registrazione delle nostre vulnerabilità, le ragioni dei conflitti che verranno.

Ritrovare i valori e le parole della sinistra significa guardare a questo campo di contraddizioni. E riconoscere che, certo, ci sono risposte differenti, ma un paio sono generali, rimandano a inclinazioni personali ma anche a visioni del mondo che restano diverse: quelle conservatrici, che agiscono sulle paure e le rassicurano – solo temporaneamente, peraltro – restringendo orizzonti e negando diritti che, se il mondo ha un futuro, sono destinati a realizzarsi, magari più lentamente e nel frattempo con maggiori sofferenze. E le risposte progressiste che alle contraddizioni e ai conflitti, con le ferite e le sofferenze che generano, provano a dare una risposta di speranza e di coraggio, allargano gli spazi di ascolto e di inclusione, valorizzano l’emergere anche problematico di nuove libertà, sono capaci di immaginare la necessità e perfino la bellezza di un futuro simile.

Guardare altrove significa non rimanere attoniti, con lo sguardo allibito di fronte a cifre, volti, storie che possono ammutolire, e impegna a portare pensieri ed energie in questo nuovo campo di conflitti. Anche solo per non subire la tendenza dei tempi, qualunque forma (estrema, illiberale, moderata, ansiosa, noiosa) assumerà.

Marino Sinibaldi
Marino Sinibaldi

Marino Sinibaldi è giornalista, saggista, conduttore radiofonico e curatore di eventi culturali. È stato direttore di Radio 3 tra il 2009 e il 2021, è presidente del Centro per il libro e la lettura del Ministero della Cultura e dirige il trimestrale Sotto il vulcano.

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