Perché si parla della maggioranza dei due terzi in parlamento

Consente di modificare la Costituzione senza passare per un referendum, e la coalizione di destra potrebbe andarci vicino

L'aula della Camera, Roma, 15 settembre 2022 (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
L'aula della Camera, Roma, 15 settembre 2022 (ANSA/GIUSEPPE LAMI)
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Da settimane ci si chiede se la coalizione di destra, per ora in largo vantaggio secondo le proiezioni, riuscirà a ottenere in parlamento la maggioranza dei due terzi dei seggi dopo le elezioni politiche del 25 settembre. La soglia è importante perché permette a una coalizione di cambiare la Costituzione senza passare per un referendum e senza il coinvolgimento di altri partiti.

In Senato la maggioranza dei due terzi è di 138 seggi (non 134 perché ci sono 6 senatori a vita), mentre alla Camera è di 267 seggi. Prima del voto si stimava che per avere i due terzi in parlamento la destra avrebbe dovuto prendere circa il 45% dei voti con il 20% di vantaggio rispetto alla seconda coalizione. Secondo le prime proiezioni dopo la chiusura dei seggi, la destra dovrebbe rimanere sotto a queste percentuali, senza quindi ottenere due terzi dei parlamentari. Ma per previsioni più affidabili bisogna aspettare che vengano scrutinate una buona percentuale di voti, e comunque calcolare con un certo grado di accuratezza il numero di seggi ottenuti da ciascuna forza politica sarà impossibile fino a lunedì mattina. Se sarà questione di pochi seggi, insomma, si potrebbe avere la certezza solo tra un po’.

La Costituzione, all’articolo 138, dice che ogni riforma costituzionale deve essere votata due volte da entrambe le camere: in prima lettura, con possibilità di modifica del testo, e in seconda lettura con approvazione “secca” o respingimento. Se nelle seconde votazioni l’approvazione è solo della maggioranza assoluta, quindi più della metà dei componenti, è possibile chiedere un referendum popolare che confermi o respinga la riforma.

Deve essere chiesto «entro tre mesi» e può chiederlo «un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi». A differenza dei referendum abrogativi non è dunque necessario un quorum, cioè che vada alle urne una quota minima di aventi diritto al voto: è sufficiente che la maggior parte di chi l’ha fatto abbia votato a favore della riforma.

Se però nelle seconde votazioni in ciascuna camera la riforma viene approvata dai due terzi dei componenti, «non si fa luogo a referendum» e si considera dunque la riforma o la legge costituzionale definitivamente approvata. Il ricorso al referendum, dunque, non è necessario se la riforma costituzionale, in sede parlamentare, ha già ottenuto la maggioranza dei due terzi.

Una delle proposte fatte durante la campagna elettorale dalla destra è modificare la Costituzione per introdurre in Italia il presidenzialismo, ossia l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Nonostante non sia facile capire in cosa consista concretamente la proposta, perché non è stata elaborata più di tanto, la riforma cambierebbe radicalmente il sistema istituzionale italiano per come è stato dal dopoguerra a oggi: trasformerebbe quindi l’Italia da repubblica parlamentare a qualcos’altro, probabilmente una repubblica semipresidenziale.

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