Cos’è il silenzio elettorale

È una legge che esiste dal 1956, e che non si è mai adeguata ai cambiamenti dell'ultimo decennio

(AP Photo/ Gregorio Borgia)
(AP Photo/ Gregorio Borgia)
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Le candidate e i candidati alle elezioni di domenica 25 settembre hanno concluso la loro campagna elettorale venerdì, con due giorni di anticipo rispetto al voto. Sabato e domenica non ci saranno politici in televisione a parlare delle elezioni e non si terranno nemmeno comizi. Lo si deve al cosiddetto “silenzio elettorale”, una pratica diffusa in molti paesi del mondo che impedisce di organizzare eventi e andare in televisione a fare propaganda subito prima e durante le elezioni: è una norma di cui in Italia si dibatte da tempo perché ritenuta da molti critici anacronistica e inefficace, e che in qualche occasione è stata più o meno esplicitamente violata da diversi politici sui social network.

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La legge che regolamenta il silenzio elettorale in Italia è la 212 del 4 aprile 1956 (PDF). L’idea alla base della legge è consentire ai cittadini un giorno per “riflettere” sul voto, senza l’assillo della propaganda dei partiti.

Oltre a stabilire il silenzio elettorale, la legge norma anche le modalità con cui si può fare propaganda nei giorni prima delle elezioni. Dal momento che fu introdotta in un’epoca in cui esisteva a malapena la televisione e il mezzo di comunicazione più diffuso era la radio, nel corso degli anni è stata rimaneggiata: non è però ancora stata adattata ai cambiamenti sociali e tecnologici dell’ultimo decennio, che hanno stravolto il modo di fare propaganda politica.

In sostanza, la legge stabilisce che nel giorno in cui si vota e in quello precedente non si può fare propaganda in televisione e in radio, non si possono tenere comizi in luoghi aperti al pubblico e non si può fare alcuna forma di propaganda elettorale entro 200 metri dai seggi. Nel dettaglio, l’articolo 9 della legge stabilisce che in questo periodo di tempo «sono vietati i comizi, le riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, la nuova affissione di stampati, giornali murali o altri e manifesti di propaganda». All’articolo 9-bis, specifica che «nel giorno precedente e in quelli stabiliti per le elezioni è fatto divieto anche alle emittenti radiotelevisive private di diffondere propaganda elettorale».

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Il divieto assoluto di propaganda vige solo entro 200 metri dai seggi, e questo significa che oltre questa distanza si possono distribuire volantini e fare altri tipi di propaganda mobile, per esempio attraverso camion con insegne o aerei con striscioni. Nulla inoltre vieta la propaganda sui social network, che oggi sono lo strumento più utilizzato dai leader e dai partiti politici per comunicare direttamente con il pubblico, per molte e molti ancora più importanti rispetto alla televisione. Per questo può capitare che nei giorni del voto i leader politici si esprimano comunque usando le piattaforme social, nonostante le campagne elettorali siano formalmente concluse.

È capitato anche che il silenzio elettorale non venisse rispettato dalle televisioni, quasi sempre senza conseguenze. La legge stabilisce che chi rompe il silenzio elettorale «è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 103 a euro 1.032», ma di solito anche nel caso in cui la violazione è palese l’unica conseguenza concreta è qualche polemica politica.

Il silenzio elettorale esiste in forme simili a quella italiana anche in altri paesi, tra cui Francia e Spagna. Non si è invece affermato nel Regno Unito e negli Stati Uniti, dove si ritiene che limiti la libertà d’espressione. Un’altra critica che spesso viene mossa nei confronti della norma del silenzio elettorale sarebbe la sua natura “paternalista”. In sostanza, è come se lo stato ritenesse i cittadini troppo influenzabili: in questo senso, la legge servirebbe per tutelarli e permettere loro di farsi un’idea in libertà.