Chi sono poi i lavoratori dello spettacolo?

Non lo sa nessuno con precisione, ma vengono incluse persone con mansioni e contratti molto diversi: quasi tutte sono state duramente colpite dalla pandemia

di Gianluca Notari

La manifestazione nazionale del settore dello spettacolo e degli eventi in crisi la pandemia in piazza del Popolo, Roma, 17 aprile 2021 (ANSA/ANGELO CARCONI)
La manifestazione nazionale del settore dello spettacolo e degli eventi in crisi la pandemia in piazza del Popolo, Roma, 17 aprile 2021 (ANSA/ANGELO CARCONI)

Il settore della cultura e quello dello spettacolo sono stati tra i più colpiti dalla pandemia. La stima dell’INPS è che tra il 2019 e il 2020 circa settantamila lavoratori del settore abbiano perso il proprio lavoro a causa dell’interruzione delle attività culturali e della chiusura di cinema, teatri e musei. Da marzo 2020 in poi il dibattito pubblico si è occupato molto della precarietà e delle poche tutele dei lavoratori di questi ambiti, ma gli interventi del governo in loro aiuto non sono stati sempre efficaci. Questo anche perché tra quelli che chiamiamo comunemente “lavoratori culturali” o “professionisti dello spettacolo” ci sono lavoratori con mansioni e contratti molto diversi tra loro.

L’Osservatorio gestione lavoratori dello spettacolo, un rapporto annuale dell’INPS dedicato ai professionisti culturali, affianca ad attori, cantanti e tecnici anche dipendenti di ippodromi, sale giochi, sale scommesse e circoli sportivi. Ma tra i primi e i secondi ci sono differenze che riguardano sia il tipo di lavoro che le condizioni contrattuali dei lavoratori.

Il lavoro di attore o musicista è per sua natura precario e con retribuzioni riconosciute alla giornata, a differenza di quello degli impiegati nello stesso settore che solitamente ricevono uno stipendio mensile e lavorano a contratto. Per fare un esempio, se le giornate di lavoro medio degli attori, nel 2019, erano state quindici, quelle degli impiegati erano state più di duecento. Gli impiegati di ippodromi, sale giochi e sale scommesse nel 2019 erano circa 96.000: da soli rappresentavano quasi un terzo di tutto il settore, del quale fanno parte circa 330.000 lavoratori compresi cantanti, musicisti, attori e tecnici. Tra questi diversi ambiti ci sono anche notevoli differenze negli stipendi. Cantanti, attori e tecnici nel 2019 avevano guadagnato in media poco più di 27mila euro, la metà rispetto a impiegati e altri dipendenti del settore.

I lavoratori meno contrattualizzati, inoltre, hanno meno tutele e tra loro è maggiormente diffuso il lavoro nero. Demetrio Chiappa, presidente di DOC Servizi, la più grande cooperativa italiana che si occupa di tutela degli artisti, ha detto che secondo le loro stime «il lavoro nero produce all’anno circa tre, quattro miliardi di sommerso».

La pandemia ha aumentato queste differenze. Il Centro Studi di DOC Servizi ha stimato che a causa della pandemia il settore dello spettacolo abbia perso 8 miliardi di euro e il 21 per cento dei lavoratori, di cui circa il 13 per cento erano tecnici dello spettacolo. In base ai dati dell’INPS, i cantanti che tra il 2019 e il 2020 hanno perso il lavoro sono stati più di tremila, il 30 per cento del totale, e anche il loro stipendio medio si è abbassato di molto. Similmente, quasi un terzo degli attori attivi nel 2020 ha perso il lavoro durante la pandemia e anche in questo caso gli stipendi medi si sono ridotti, così come successo ai tecnici.

È molto diversa la situazione dei lavoratori impiegati in sale scommesse, sale giochi, ippodromi, scuderie e circoli sportivi. Anche queste strutture sono rimaste chiuse durante il lockdown, ma la perdita di posti di lavoro è stata minore (del 15 per cento circa) e con la possibilità per le persone licenziate di usufruire della cassa integrazione e di altri ammortizzatori sociali.

Durante il primo periodo della pandemia, i lavoratori dello spettacolo erano stati inseriti nei primi provvedimenti di aiuto economico del governo. Il ministro della Cultura Dario Franceschini aveva detto che «nessuna categoria sarebbe stata esclusa» dai sussidi e i più importanti provvedimenti di aiuto avevano garantito ai lavoratori del settore culturale entrate talvolta anche sostanziose. Ma data la difficoltà di definire e raggiungere con precisione tutti i lavoratori culturali, il governo aveva inizialmente escluso dai sussidi circa 200mila lavoratori intermittenti e con contratti “a chiamata”.

A parlare di «storture» nelle «tutele assistenziali e previdenziali ai lavoratori dello spettacolo» è stato lo stesso Franceschini, che nel maggio 2021 ha presentato un disegno di legge per provare a migliorare le cose. Lo scorso 13 luglio la Camera ha approvato in via definitiva la nuova legge di riforma del mondo dello spettacolo che introduce importanti novità per tutti i lavoratori, come i sussidi di disoccupazione, di maternità e l’indennità di discontinuità, il meccanismo con cui l’INPS garantisce a chi ha un lavoro discontinuo un reddito pari ai giorni in cui ha lavorato: «se ad esempio un tecnico della luce lavora per dieci giorni» ha spiegato Demetrio Chiappa di DOC Servizi «per altri dieci giorni verrà pagato dall’INPS».
Un altro aspetto importante della nuova legge è legato alla pensione: «Per andare in pensione serve una media di novanta giornate di lavoro annue per venti anni. Se un giovane musicista ne lavora cinquanta l’anno, l’INPS integra le restanti quaranta. Se invece ne facesse duecento in un anno è come se avesse lavorato due anni e due mesi». «Durante la pandemia abbiamo collaborato con altre associazioni [..]. È stato fatto un grande lavoro sulle proposte – conclude Demetrio Chiappa – e Franceschini le ha accolte».

Questo e gli altri articoli della sezione Tra cultura e pandemia sono un progetto del workshop di giornalismo 2022 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.