Una canzone degli Isley brothers

Tempi in cui speravamo di meglio

(Chris Ware/Keystone Features/Hulton Archive/Getty Images)
(Chris Ware/Keystone Features/Hulton Archive/Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Fabio De Luca, che ne sa, mi segnala la serie di programmi su BBC sulla musica dei paesi europei condotta da Neil Hannon dei Divine Comedy: che è cominciata con l’Italia e con – tenetevi forte – i Rondò veneziano (ma ci sono altre sorprese, e buffe goffaggini). Sulle consonanze italiane di una band che si chiama Divine comedy ho un aneddoto lusinghieramente reso pubblico qualche anno fa da Maurizio Blatto in un suo libro.
Oggi ha 80 anni Carole King, che ha sparpagliato canzoni nella storia e in questa newsletter: qui è quando sul Post ne dicemmo, dieci anni fa (invecchiamo tutti).

Harvest for the world
Isley brothers

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Una ventina d’anni fa ci fu un piccolo dibattito intorno al fatto che l’ironia stesse rovinando il mondo. L’ironia nel senso del suo significato, ovvero l’usare sarcasticamente delle affermazioni per intendere il contrario o per sprezzare qualcosa: non nel generico ed erroneo senso che ha attecchito – giornali compresi – da tempo, di sinonimo di “senso dell’umorismo”.
L’ironia e ogni modo di alleggerire le cose o di discutere con toni non troppo gravi, il non prendere le cose sul serio, sono naturalmente dei grandissimi attributi della civiltà, che evitano – quando ci sono – un sacco di disastri. Però è vero che dall’usare l’ironia quando è il caso a buttare sempre tutto in vacca il passo è breve: e la sensazione è che la nostra civiltà attuale si sia polarizzata pure su questo, dividendosi tra una trombona, grave e autocompiaciuta inclinazione a trattare tutto come drammatico e degno di indignazione solenne, e uno speculare sbracamento per cui tutto viene irriso, sfottuto, trattato come un’esagerazione (le due cose convivono spesso nelle stesse persone, e il discrimine è quanto le riguardino personalmente). Alla fine di serio col senso della misura non resta niente.

Ok. Vi sembra una newsletter sulle canzoni, questa? Avete pure ragione.

Ma pensavo all’ingenuità datata dei testi di certe canzoni di mezzo secolo fa, che oggi non scriverebbe nessuno: prendete Imagine, trovereste realistico oggi pubblicare una canzone che dice “immagina che tutti quanti vivano in pace”? Qualcuno direbbe, forse pure giustamente, “ancora me stai a vive’n pace? Eddài“. Diventiamo più cinici, ci imbarazzano le retoriche, le utopie, il candore, che un tempo andarono per la maggiore. Magari è una questione di cicli: allora ci eravamo appena massacrati e c’era ancora il dito sul grilletto, e il candore utopistico suonava rivoluzionario. Oggi sembra banale e sempliciotto. “Ma che davéro vuoi cambiare il mondo?”.

E insomma, in quel periodo lì in molti si cimentarono in testi di quel tenore, gran semplicità e messaggi elementari sul tema “che bello sarebbe ci volessimo tutti bene”: What’s going onWhat a wonderful worldA change is gonna come, persino Elvis.
Pure i meno illustri e più leggeri, ma rispettabilissimi, come gli Isley Brothers, qualche anno dopo.
All babies together, everyone a seed
Half of us are satisfied, half of us in need
Love’s bountiful in us, tarnished by our greed
When will there be a harvest for the world

Che erano davvero tre fratelli di Cincinnati (con altri fratelli di rincalzo e Jimi Hendrix con loro nei rispettivi inizi), che occuparono un loro eccellente posto nel soul americano e nella programmazione radiofonica di mezzo mondo, oltre a vendere milioni di dischi ed essere arrivati a oggi (in due) con una carriera di oltre sessant’anni e ancora in circolazione stupendi. Harvest for the world è del 1976, tempi in cui speravamo di meglio, ma guardiamo il bicchiere mezzo pieno, senza ironia e con l’allegria della canzone (vi aggiungo un’altra loro cosa ottima, campionata assai nell’hip-hop).
Gather everyman, gather everywoman
Celebrate your lives, give thanks for your children
Gather everyone, gather all together
Overlooking none, hopin’ life gets better for the world

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