• Media
  • Mercoledì 29 dicembre 2021

Com’è la giornata di una giornalista che segue il processo a Elizabeth Holmes

L'ha raccontata Erin Griffith del New York Times: è fatta di molti snack e di poco sonno

Elizabeth Holmes (AP Photo/Nic Coury)
Elizabeth Holmes (AP Photo/Nic Coury)

Erin Griffith è una giornalista del New York Times che da diverse settimane sta seguendo il processo a Elizabeth Holmes, fondatrice e CEO di Theranos, accusata della «più grande truffa» di sempre della Silicon Valley. Holmes, che è sotto processo federale a San Jose, in California, è accusata di avere mentito e ingannato per anni clienti e investitori di Theranos, promettendo loro una tecnologia che avrebbe potuto rivoluzionare la sanità ma che non fu mai sviluppata.

In un articolo pubblicato il 28 dicembre, Griffith ha raccontato un po’ il dietro le quinte del processo, che sta attirando grandi attenzioni negli Stati Uniti e in particolare nel mondo delle aziende della Silicon Valley: ha scritto di quanto sia complicato seguirlo, soprattutto per la fama raggiunta negli anni da Holmes, e di come si svolga la complicata giornata dei giornalisti in tribunale, che inizia prima dell’alba e finisce dopo il tramonto.

Solitamente, ha scritto Griffith, coprire le notizie dell’industria tecnologica può offrire a un giornalista uno «sguardo sull’opulenza» di quel mondo spesso privilegiato, tra cene in palazzi di stile europeo e feste su yacht di lusso. «Ma durante questo processo ho passato gran parte del tempo seduta sul pavimento in moquette del corridoio dell’aula di tribunale, ingurgitando snack e scrivendo storie sul mio laptop».

Le giornate di Griffith iniziano prestissimo, verso le 3 di mattina, perché assicurarsi un posto non è facile. Non ci sono solo giornalisti a seguire il processo. Nel corso degli anni Holmes è infatti diventata un personaggio molto noto, grazie al suo carisma, a una serie di amicizie importanti, ad articoli giornalistici entusiastici che celebravano la sua società, e ora a un film e una serie con protagoniste Jennifer Lawrence e Amanda Seyfried.

I 34 posti della sala di tribunale in cui si sta svolgendo il processo sono quindi molto richiesti: ci sono i lavoratori del servizio TaskRabbit che sono pagati per tenere i posti agli amici di Holmes; gli appassionati di grossi processi e vicende giudiziarie (che Griffith chiama “gavel groupie”, traducibile più o meno come “groupie del martelletto”); i gruppi di lettura che hanno letto insieme Bad Blood, il bestseller sulla storia di Holmes; e i «fan dei crimini compiuti dai colletti bianchi», che vogliono seguire dal vivo il processo. Griffith ha raccontato che una mattina fuori dal tribunale c’era anche un gruppo di persone intenzionate a vendere dolcevita neri, il capo di abbigliamento che Holmes aveva iniziato a indossare a un certo punto per imitare lo stile di Steve Jobs, che lei ammirava e aveva preso come punto di riferimento per moltissime cose.

Una volta arrivata in tribunale, molto presto per non perdere il posto a sedere, Griffith si unisce agli altri giornalisti presenti e riceve un numero che indica il posto in coda: i primi che arrivano sono anche i primi che entrano. Aspetta fino alle 5 del mattino l’apertura del vicino Starbucks, e poi alle 6.20 quella delle porte del tribunale. Elizabeth Holmes arriva alle 8, e un’ora dopo i giornalisti e il pubblico vengono fatti entrare in aula. Sono passate sei ore da quando si è alzata dal letto.

Nel corso del dibattimento, ha scritto Griffith, il tribunale si è attrezzato per il grande afflusso di persone, per esempio aggiungendo sedie e panchine fuori dall’aula. Dopo le lamentele di un giurato, sono comparse anche delle coperture per tastiere per attenuare il rumore prodotto dai giornalisti. «Quando il tribunale è in sessione, mi siedo in galleria, curva sul mio laptop, muovendomi a malapena ad eccezione delle dita. Ma il mio cervello è in cinque posti contemporaneamente»: Griffith prende appunti («silenziosamente»), invia messaggi al suo capo («silenziosamente»), pubblica aggiornamenti in tempo reale sul processo per il New York Times («silenziosamente»), invia email alle sue fonti esterne («silenziosamente») e scrive l’articolo che dovrà essere consegnato secondo i tempi della costa orientale, dove si trova la sede del giornale.

«Non ci sono finestre in tribunale, e quando lasciamo l’edificio più di 12 ore dopo il nostro arrivo il sole è già tramontato. E poi ricominciamo tutto daccapo», ha concluso Griffith.