Un gruppo di scienziati vuole mappare il micelio

Cioè la parte dei funghi che sta sottoterra, nel suolo di tutto il mondo, per conoscerli meglio e capire come possono aiutare col cambiamento climatico

Parte di una rete di micelio fotografata con un microscopio elettronico (Loreto Oyarte Galvez/AMOLF, SPUN)
Parte di una rete di micelio fotografata con un microscopio elettronico (Loreto Oyarte Galvez/AMOLF, SPUN)

Generalmente quando si parla di funghi si pensa a quelle cose con gambo e cappello che crescono nei boschi e che, in alcuni casi, si mangiano. Quando però si parla di funghi in biologia ci si riferisce a un regno di organismi viventi che comprende più di 3 milioni di specie, e le cose con gambo e cappello sono solo i “frutti” di un sottogruppo di questo regno: i funghi micorrizici. Il vero e proprio “corpo” di questi organismi è costituito dalla loro parte sotterranea, il micelio, che è una complessa rete di filamenti che ricorda le radici degli alberi e con esse si intreccia.

Il micelio svolge un ruolo fondamentale nella vita delle piante, e quindi di tutti gli esseri viventi, ma è ancora poco conosciuto e studiato. Per questo un gruppo internazionale di scienziati, la Society for the Protection of Underground Networks (SPUN), ha avviato un’iniziativa per mappare la sua presenza nel suolo, in tutto il mondo, a partire da alcune zone in cui vivono molte diverse specie di funghi.

I reticoli miceliari si possono estendere per chilometri e hanno una grande importanza negli ecosistemi perché intrattengono con le piante un proficuo rapporto di scambi che beneficia entrambi.

I funghi sono organismi che ricavano le sostanze nutritive dall’ambiente esterno, principalmente partecipando ai processi di decomposizione. Sono in grado di ottenere dal suolo fosforo e azoto, ma non possono produrre zuccheri come invece fanno le piante attraverso la fotosintesi. Grazie ai collegamenti tra le radici e i reticoli miceliari tuttavia funghi e piante scambiano tra loro queste sostanze. I funghi fanno arrivare alle piante acqua, fosforo – alcune specie forniscono alle piante a cui sono associate l’80 per cento di tutto il fosforo di cui hanno bisogno – e azoto. Le piante invece “cedono” ai funghi gli zuccheri.

Gli zuccheri sono le sostanze da cui i funghi (così come le stesse piante e gli animali) ricavano, oltre all’energia per vivere, il carbonio, che è una delle sostanze principali di cui sono (e siamo) fatti. Il carbonio è anche uno degli elementi presenti in alcuni gas serra, quelli che causano il cambiamento climatico, principalmente nell’anidride carbonica. È proprio a partire da questo gas, prelevato dall’atmosfera attraverso la fotosintesi clorofilliana, che le piante producono gli zuccheri. Il carbonio che contengono poi viene usato dalle piante per crescere, cioè per produrre rami, corteccia e foglie. Per questo si dice che le piante sequestrano carbonio dall’atmosfera: diventa parte di loro. Lo stesso accade con il carbonio degli zuccheri che le piante passano ai funghi: va a costituire nuovo micelio e rimane quindi immagazzinato all’interno del suolo.

Sappiamo che circa il 75 per cento del carbonio terrestre – dunque né atmosferico, né oceanico – si trova nel suolo e si stima che dopo che, nella storia dell’evoluzione biologica, le piante e i funghi iniziarono a “collaborare”, ci fu una riduzione del 90 per cento dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera. Sappiamo inoltre che alcuni ecosistemi con reticoli miceliari in salute possono immagazzinare 8 volte più carbonio degli ecosistemi che non ne hanno, ma in generale il ruolo dei funghi negli scambi di carbonio con l’atmosfera non è ancora molto noto, perché sono organismi poco studiati.

L’iniziativa della SPUN ha l’obiettivo di porre rimedio a questa situazione e di cercare di capire quanto carbonio viene trattenuto dai funghi sottoterra, quali specie di funghi tollerino di più la siccità e un aumento delle temperature e come si stiano spostando in risposta ai cambiamenti climatici (anche gli alberi lo fanno) e alle attività umane, ad esempio.

«La distruzione delle reti di funghi sotterranee accelera sia il cambiamento climatico che la perdita di biodiversità, e interrompe i cicli di sostanze nutritive indispensabili per la vita sul pianeta», hanno spiegato in un articolo d’opinione sul Guardian Toby Kiers, biologa olandese e co-fondatrice di SPUN, e Merlin Sheldrake, autore del saggio L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi. «Queste reti devono essere considerate un bene pubblico globale, che deve essere mappato, protetto e ripristinato con urgenza».

La SPUN è stata fondata da Kiers insieme al biologo americano Colin Averill, con la consulenza del noto divulgatore scientifico Michael Pollan e della famosa etologa Jane Goodall: riunisce scienziati da Canada, Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti. Ha cominciato il suo lavoro di mappatura partendo dalle 10mila osservazioni raccolte nella banca dati Global Fungi, che raccoglie tutti i dati genetici sui funghi presenti nelle pubblicazioni scientifiche. Questi dati sono stati affidati a un sistema di intelligenza artificiale perché stimasse la distribuzione delle diverse specie e individuasse alcuni ambienti – circa una ventina – in cui dovrebbe esserci una particolare biodiversità fungina.

Molti di questi sono considerati minacciati, perché si trovano in zone in cui l’agricoltura e l’urbanizzazione si stanno espandendo, dove l’inquinamento è in aumento o il clima sta cambiando, tutte circostanze che possono danneggiare o distruggere i funghi. In particolare l’agricoltura che fa uso di fertilizzanti di sintesi, pesticidi e fungicidi riduce la diffusione e la diversità di specie di funghi nel suolo.

A partire dal 2022 e per 18 mesi, saranno fatte nuove raccolte dati sul campo in questi ambienti, a partire dalla Patagonia, in Sud America. Successivamente saranno fatti studi nella tundra canadese e sugli altipiani messicani, sulle Ande e in Marocco, nel Sahara occidentale e nel deserto del Negev, nelle steppe del Kazakistan, nella taiga russa e in Tibet.